Vedo i bambini di oggi, quelli intorno ai nove dieci anni, e mi spiace dirlo, ma mi sembrano rimbambiti. Frignoni (e a Roma direbbero pure frEgnoni), viziati, imbranati, ancora totalmente dipendenti dai genitori, uno strazio.
Poi di colpo la mente cambia scenario, e mi viene in mente la mia infanzia, quando alla stessa età di questi marmocchi, io, ma non solo io, TUTTI eravamo decisamente più svegli.
Non avevamo telefonini, computer, consolle per i video game, avevamo una bicicletta, una casa dove spesso si invitavano gli amici e la voce, tanta voce.
Mi ricordo che la prassi era questa: si usciva di casa e si andava a suonare il campanello dell’amico o dell’amica, ma prima ancora del suono del citofono, il nostro arrivo, mio in questo caso, era annunciato da “Stefaniaaaaaaa, scendiiiii!” Urlato a gran voce sotto il suo terrazzo. Tempo un paio di minuti e Stefania, la mia compagna di avventure faceva capolino da dietro il portone. E ci aspettava un lungo pomeriggio di giochi, che erano vere e proprie avventure, tipo, andare a cercare i gattini che le varie micie del quartiere scodellavano qua e là, inventarsi fantomatici passaggi segreti da fare in bicicletta, ci infilavamo nei garage dei vari condomini, affrontando discese, tante volte concluse con ginocchia e gomiti sanguinanti, ma non era un dramma, si risaliva sulle bici, la mia era rossa e quella della Stefy verde, me lo ricordo nitidamente, si andava dai giardinetti dove c’era una fontanella, una passata con l’acqua e via, pronte a ripartire.
Per merenda, andavamo da Berto e Carmen, il negozio di paese, ci facevamo un panino con la mortadella, senza un soldo, solo una frase “ha detto mamma di segnare” e loro tiravano fuori un quaderno e prendevano nota. Era tutto semplice.
Ricordo che capitava spesso che mia mamma mi mandasse a fare la spesa, di anni forse ne avevo anche meno, forse sei, mi scriveva su un foglietto cosa comprare, mi dava i soldi che io mettevo nel mio borsellino di perline rosa con catenella dorata per appenderlo al polso, ed ero felice come non mai perché mi sentivo grande. Tornavo a casa con la sporta della spesa e il mio borsellino con il resto che il più delle volte finiva nel mio salvadanaio come ricompensa.
Per un Natale mi avevano regalato un grembiule come quelli che usava mamma, ma più piccolo, da bimba: rosa con un fiorellino rosso ricamato sulla tasca messa a destra e tutta orlata di pizzo Sangallo, mi piaceva metterlo e aiutare nelle faccende di casa; mi piaceva pulire il bagno e passare la lucidatrice anche se pesava più di me, oppure stirare le cose più semplici, o aiutare in cucina anche se una volta ho sfondato lo sportello del forno perché mi ci ero seduta sopra e saltellavo….non hanno reagito benissimo quella volta i miei genitori, anche perché abbiamo dovuto cambiare la cucina…
Poche regole ma insindacabili, nessuno osava trasgredirle: non dare confidenza agli sconosciuti, e ovviamente non accettare niente da loro. In caso di situazione sospetta raggiungere il primo adulto che passa e spiegare quello che stava accadendo, se non si conosceva nessuno bisognava raggiungere il primo uomo in divisa, fosse stato anche lo spazzino o il prete, per me erano divise e basta.
Se ci lasciavano da soli in casa non dovevamo aprire a nessuno, nel caso suonassero alla porta guardare prima dallo spioncino, se suonavano al citofono dovevamo prima affacciarci dal terrazzo e guardare chi fosse e in caso di viso conosciuto andare a rispondere al citofono, prima di aprire dovevamo avvisare la nostra vicina di casa (la nostra adorata Tata) e con lei aspettavamo l’ospite. Se non si conosceva chi suonava, non si rispondeva, non si apriva e si chiudeva bene la porta mettendo tanto di cricchetto.Io avevo cinque sei anni e mio fratello tre in più, e non avevamo paura di stare da soli in casa, anzi ci faceva sentire più grandi, più forti e più uniti.
A dieci anni prendevo la corriera da sola per andare a Chiavari a fare ginnastica artistica, sapevo che durante il viaggio dovevo stare vicino al bigliettaio o all’autista e non dare confidenza a nessuno, sapevo a che fermata scendere e la strada da fare per arrivare alla palestra; ma non era un dramma, era normale farlo.
Ora non sanno nemmeno andare in bagno da soli..
A tavola si stava composti e si mangiava tutto quello che ci veniva messo sotto al naso, i capricci erano proibiti (certe sberle…) e finito di pranzare si aiutava a sparecchiare, riordinare la cucina (odiavo asciugare i piatti, le posate e le pentole) e si faceva il caffè per papà, con la moka, perché le macchinette espresso ai tempi erano roba da ricchi.
Se si andava in giro per negozi si stava vicino alla mamma, ovviamente in silenzio e altrettanto ovviamente senza toccare niente (in caso contrario erano le sberle di cui sopra),e se si doveva comprare qualcosa per noi figli, si comprava quello che piaceva alla mamma…solo una volta mi ricordo di essere uscita di corsa dal negozio con ai piedi un paio di scarpe che mi piacevano troppo e lei era invece indecisa, non potevo correre rischi, ho camminato sul marciapiede in modo da sporcare le suole e la mamma è stata costretta a comprarle. Il suo sguardo era furente, ma ne è valsa la pena. Promettevo bene già da piccola.
Quando eravamo con i nonni o i parenti dovevamo essere ancora più educati e composti del solito, altro che nonni in balia di nipoti schizofrenici, le mie nonne erano brave e buone ma quello che dicevano loro era legge, vangelo, verità assoluta, nessuno osava sfidare le ire delle nonne. Si rispettavano gli anziani di casa, mica come adesso, che vengono trattati come dei ritardati mentali.
Qualcuno potrà obiettare che si diventava grandi a suon di sberle, a onor del vero devo dire che io ne ho prese proprio poche e non mi hanno ucciso, eppure ero una bambina piuttosto vivace, semplicemente sapevo stare al mio posto e i vizi non erano ammessi così come i capricci: se era sì era sì subito, e se invece era no era no e basta, senza tanti ma e senza tanti se.
Fine della storia.
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Son tutte belle le mamme del mondo…ma anche no…
E poi ci sono le altre mamme, quelle che da quando vedono la fatidica linea rosa sul test, si dimenticano di essere donne, ragazze, femmine. Sono gestanti prima, puerpere subito dopo, mamme dopo poco: pesanti come pietre sempre. Ti viene naturale il dubbio: ma di cosa parlavamo prima che tu scoprissi di essere incinta? No perché non parliamo di nient’altro. Interessanti le tue nausee, da non credere il fatto che hai i piedi gonfi, incredibile le tettone che ti sono venute, ma ti prego, possiamo almeno provare a cambiare discorso per cinque minuti?
C’è un’amica che quando era incinta mi chiamava e mi chiedeva di non parlare della sua pancia, parlavamo di rossetti e scarpe con il tacco, di scemate da ragazze insomma, perché lei fra i corsi pre-parto e le conoscenze fatte in piscina ai corsi per gestanti, passava le giornate a non parlare di altro. Roba da alienate. Però io le foto della sua bella pancia le ho conservate tutte.
Senza cattiveria, ma è come parlare di tacchi con un uomo, o di bistecche con un vegetariano, quindi per tanto che io chiami a raccolta tutta l’empatia di cui sono capace, sulla distanza potrei annoiarmi, ma non per cattiveria, ma perché piuttosto mi rimane difficile farmi coinvolgere, perché son argomenti a me estranei.
Tranquilli, non sono una quarantenne incattivita dal fatto di non avere (ancora) figli, vi giuro che non sono pervasa da sentimenti di invidia o rancore, amo i bambini e sono categoria masterclass come zia, mi diverto con loro e mi piace passare del tempo in loro compagnia, ma con altrettanto piacere poi li riconsegno ai legittimi genitori per tornare a coltivare il mio edonistico “ménage a deux” con mio marito, il quale davanti al legittimo interrogativo “figli sì, figli no” ha così sentenziato: se restiamo in due ci compriamo un coupè e passiamo la vita a viaggiare”, non male come prospettiva, vi pare?
Per carità, io lo dico con molta allegria e affetto, ma credetemi, per una che non è addetta ai lavori parlare di cacche belle o brutte, di tette o non tette, di intolleranze al lattosio e compagnia cantando, ha lo stesso appeal che per un uomo può avere parlare di cere depilatorie. Ammazza l’allegria.
Che ne è rimasto di quelle ragazze piene di entusiasmo che eravate prima di diventare mamme? Dove avete nascosto la vostra allegria e spensieratezza?
Io lo dico sempre a mio marito: se mai diventerò una di quelle donne chiocce che piangono quando spediscono il figlio all’asilo, che rinunciano a tutto in nome del loro essere madri, che diventano maniache dell’igiene, che hanno una crisi di nervi se qualcuno tocca la loro creatura, che sembra non siano capaci di fare più niente di ciò che facevano prima, ecco, se divento tutto questo Luca è autorizzato a farsi un’amante.
Ci sono mamme che passano più tempo a passare e ripassare viso e manine del bimbo con le salviettine umidificate che a mangiarsele di baci quelle manine e quel faccino…mamme che invocano il silenzio totale per far dormire l’erede, mamme che si stracciano le vesti al minimo accenno di pianto, mamme che si trasformano in scudi umani se incrociano un cane innocuo, mamme che si votano ad una vita claustrale fino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio, anno in cui lui andrà per la sua strada mandandovi a spigolare.
State calme, riavvolgete il nastro e tornate a ciò che eravate: i bimbi si abituano a tutto se li allenate poco alla volta.
Siete mamme non schiave vittime di un tiranno che si fa la pipì addosso, e poi una riflessione: o siete tendenti al melò voi che arrancate, o hanno i super poteri quelle che cavalcano l’onda della maternità con il sorriso sulle labbra e che magari approfittano dello stop al lavoro dovuto dalla maternità per scoprire nuovi hobby: un’amica ha aperto un blog molto carino, un’altra si è ri-data alla pittura, un’altra è diventata una bio-cuoca provetta. Insomma si può fare, basta organizzarsi.
Un pizzico di sano egoismo non farà di voi una madre indegna, anzi…
E ricordate ai papà che c’erano anche loro quando avete concepito il vostro erede (e si sono pure divertiti a farlo), quindi mettete a tacere i sensi di colpa e mollategli l’adorata creatura, farà bene a lui, a vostro figlio e a voi.
Lasciate che si arrangino e che trovino il loro equilibrio, e voi fatevi una bella battuta di shopping con un’amica come ai vecchi tempi, prendetevi un aperitivo insieme e parlate di sciocchezze, ma con calma e senza guardare il cellulare ogni cinque minuti, si arrangeranno loro e sopravviverete voi.
Garantito.
Son tutte belle le mamme del mondo…ma una di più!
Avevo in mente altro da scrivere oggi…ma poi un’altra idea si è fatta strada nella mia testa ed ecco qua.
Oggi si parla di mamme.
Mamme di oggi, amiche, conoscenti e anche semplici passanti, tutte ma proprio tutte hanno in loro personale approccio alla maternità, e fra queste ce n’è una in particolare che adoro. Ecco se un giorno sarò mamma, io voglio essere come lei.
Sorridente e serena, leggera ma non frivola , ha accolto prima la sua gravidanza e poi il suo essere mamma con una naturalezza meravigliosa. Come dovrebbe essere. Nulla la fermava quando era incinta e niente la ferma ora che sua figlia ha quasi un anno. Il giorno prima del parto era al mare che sguazzava come una balenottera felice e tre giorni dopo il parto era a prendersi un aperitivo con carrozzina al seguito, marito adorante e amici entusiasti per la nuova arrivata.
Non ho mai mai mai sentito questa ragazza lamentarsi per una notte insonne, o per una colica della piccola, non ho mai percepito in lei la fatica che l’essere mamma sicuramente comporta, non si è mai isolata nel microcosmo “mamma e figlio”. Così tanta serenità non poteva far altro che ricadere generosamente sulla figlia che è infatti la creaturina più adorabile che io abbia mai visto. Un folletto sorridente e giocoso, che sin da piccolissima ha imparato a interagire con gli adulti, e a far parte del gruppo, senza timore. Questa bimba non piange mai, non fa capricci, è libera di sporcare, sporcarsi, sperimentare, toccare, accarezzare animali, gattonare su qualsiasi superficie, mangiare da sola con le mani anche se pochissimi bocconi raggiungono la bocca, i più finiscono in terra, sulla fronte e sul naso; e con fiducia accetta la mano che le viene tesa per provare a fare i primi passi. Questa bimba non ha paura perché la mamma le ha insegnato a non averne, e perché sa che la mamma c’è. Una bimba sicuramente non viziata ma meravigliosamente felice, che vanta già un curriculum impressionante: ha assistito a conferenze sull’arte, ha già visitato mostre e palazzi antichi, ha già dormito fuori casa da sola, ha assistito a concerti (grandiosa l’idea delle cuffie insonorizzanti), esce la sera e non si fa menate tipo l’esigenza del silenzio totale per dormire o che bisogna correre a casa per mangiare.
E la mamma? Secondo me la sua marcia in più è vivere questa maternità come completamento della sua vita e non come esperienza totalizzante, esce e vede gli amici esattamente come prima, dipinge e crea piccoli capolavori proprio come prima, si organizza con la nonna “posteggia” la figlia e va a farsi una corsetta sul lungofiume, e se la nonna non può, nessun problema, mette la piccola nel passeggino e sul lungofiume ci si va insieme. Con il papà sembrano ancora due piccioncini e sono bravissimi a ritagliarsi i loro spazi senza sensi di colpa, e soprattutto continuano a chiamarsi per nome non mamma e papà anche fra di loro…oltre a essere famiglia, continuano a essere coppia. Bravissimi!
Non sono maniacali nei confronti di questa bimba, quando usciamo tutti insieme questa piccina passa dalle braccia di uno a quelle dell’altro e loro, saggiamente, ne approfittano per tirare il fiato e quando magari si stufa un pochino, le basta sentire la voce o incrociare lo sguardo della mamma e torna il sereno e poi fa dei sorrisi che ti spalancano il cuore, un toccasana per l’anima.
Gibran ha scritto questo passo sul rapporto genitori/figli, ve lo riporto pari pari perché lo trovo bellissimo:
VOI SIETE GLI ARCHI DAI QUALI I VOSTRI FIGLI ,
VIVENTI FRECCE,
SONO SCOCCATI INNANZI.
L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito,
e vi tende con la sua potenza affinchè le sue frecce possano
andare veloci e lontano.
Sia gioioso il vostro tendervi nella mano dell’Arciere;
poiché se ama il dardo sfrecciante,
così ama l’arco che saldo rimane.
Questa bimba andrà sicuramente lontano, perché la mamma e il papà con gioia l’hanno consegnata al mondo, e le stanno insegnando che per conoscerlo a fondo questo mondo, un po’ bisogna sporcarsi, ma che è giusto così. E prima lo imparerà, prima imparerà a non averne paura.