Crescete dei figli curiosi

Venerdi 11 aprile 2014, Magda e Furio organizzano una estemporanea gita fuori porta, e partono alla volta di Milano, destinazione: Salone del mobile, con relativi annessi e connessi. In occasione del Salone del mobile Milano è come se si svegliasse dal letargo e, ad ogni angolo di strada, in ogni palazzo, piazza o ateneo è tutto un pullulare di eventi e manifestazioni aperte al pubblico. Si respira arte, fermento e creatività e la voglia di farsi coinvolgere è inevitabilmente tanta, anche per una come me, che non vanta particolari conoscenze in questa materia, ma sono curiosa, e questo  può bastare. Non sono una intellettual-radical-chic, non sono una di quei tipi strani che vagavano ieri per Milano all’urlo “strano è bello” abbigliati in maniere che definire strambe è totalmente riduttivo, perché più sei strano, più ne sai, o perlomeno questo è il messaggio che vogliono far passare. Comunque, facendo una piccola digressione, il look stramboide più gettonato di ieri era: palesemente gay, con barba da accarezzare ossessivamente come se si fosse rapiti da pensieri e concetti profondissimi, maglietta nera con collo stracciato e sfilacciato come se “sai non riuscivo a farci passare la testa e allora ho tirato tirato tirato e alla fine si è strappata, ma io me ne fotto perché per me non conta apparire, conta essere” anche se in realtà la sgualcitura è fatta ad arte da uno stilista di nicchia, e quella t-shirt costerà mezzo del mio stipendio, pantalone lunghezza acqua in casa, con risvoltino, o jeans o ancora meglio: nero, scarpe di pregiatissima fattura inglese nere pure loro, portate senza calze con caviglia in vista e, povero piede starà soffrendo le pene dell’inferno costretto in due morse che per durezza e rigidità ricordano i ceppi medioevali, antichi strumenti di tortura, usati per far confessare anche i crimini non ancora commessi. Mazzi di braccialetti, occhiale da vista con maxi montatura, in opzione un cappello nero o una maxi borsa. Non possono mancare chili e chili di cataloghi di mostre e eventi imperdibili portati con malcelata fatica sotto braccio. Le donne sono vestite praticamente alla stessa maniera, quindi non perdiamo tempo e andiamo avanti, anche se appare ormai ovvio che il futuro è gay. E’ un’evidenza innegabile.

La prima tappa è stata a Palazzo Reale, abbiamo visto la mostra su Piero Manzoni (ce l’avete presente l’opera “Merda d’autore”? ecco, proprio lui) e anche “100% original design”, in mostra i pezzi più significativi del design italiano dal ’45 ai giorni nostri. Ammetto senza vergogna che io sono un’ignorantona in fatto di storia dell’arte e del design, e quindi il mio approccio è tale e quale a quello di un bambino, ed ecco svelato il perché del titolo di questo post; i bambini non si fanno problemi, non hanno paura di fare domande e soprattutto non sono assillati dall’ansia di dover far finta di sapere tutto, se vedono un oggetto che li incuriosisce, gli girano intorno, lo osservano e lo studiano, provano a cercare in quell’oggetto un significato e una spiegazione e, se non riescono a darglielo, allora chiedono. I bambini rompono gli schemi, e in questo sono più artisti degli artisti stessi: una scatola vuota, per noi è solo una scatola, per loro può essere: una casa, una macchina, un’astronave, un guscio di tartaruga gigante, una barca e avanti così all’infinito: tanto più in là spostano i confini della loro immaginazione, tanto più un oggetto qualsiasi assume forme e utilizzi diversi. Non è forse questo uno dei principi ispiratori dei grandi designers? scope che diventano gli schienali di bellissime sedie, un lampadario a gocce che al posto delle gocce ha tanti foglietti su cui scrivere e disegnare, cassettiere curve che sembrano uscite da una fiaba, una lampada formata da una lampadina e un paio d’ali di piume vere, e con un gioco di parole si trasforma da “l’uccellino”, in “lucellino”: basta spostare un apostrofo e la fantasia regna sovrana.

Le opere stesse di Manzoni, senza voler fare gli Sgarbi della situazione, sono riconducibili a una forma ludica di interpretazione della realtà: tutto il mondo è un’opera d’arte, basta che io gli costruisca un piedistallo su cui appoggiarlo. Io stesso posso diventare un’opera d’arte se salgo su una base magica. Per non parlare della manipolazione della materia dei suoi “Achrome”, date ad un bambino qualcosa, ma veramente qualsiasi cosa , con cui possa pasticciare e vi stupirete di quante cose riesce a fare e a creare con, per dirne una, due pezzi di stoffa. I bambini sono attratti dalla materia, hanno un appercezione tattile molto sottile perché non è ancora contaminata dalla conoscenza tecnica. Per noi adulti un pezzo di legno, è legno, punto, stop, fine della discussione. Provate a dare lo stesso pezzo di legno ad un bambino: prima lo guarda, poi lo annusa, poi lo assaggia, poi lo accarezza, poi proverà a farlo stare in piedi, poi ci appoggerà sopra qualcosa; non gli interessa sapere cosa è, ma piuttosto che cosa ci può fare, che scopo può avere quel pezzo di legno e, meraviglia delle meraviglie, che cosa ci può fare lui, con quel pezzo di legno. E questa per me è arte.

Certo che, se invece siete quei genitori che il bambino non deve toccare, non si deve sporcare, non deve disturbare i grandi, deve solo essere il composto esempio di quanto siete bravi a educare un figlio, allora poi non lamentatevi se poi sarà un adolescente apatico, e un adulto senza interessi, non date la colpa alla società se vostro figlio sarà un adulto piatto come una tavola da surf. Io tengo stretta nel cuore una foto, scattata da un’amica, di sua figlia che ai tempi aveva forse un anno, che cammina scalza con addosso solo il pannolino, nei corridoi della Biennale di Venezia: così vanno cresciuti i bambini, sono delle spugne, i loro occhi vedono, le loro manine toccano, le loro orecchie sentono e il loro cervello immagazzina tutto, e poi chissà quando, quel ricordo tornerà a galla trasformandosi in chissà cosa, al momento non ci è dato di saperlo. Rachele, così si chiama, non ha ancora due anni, eppure ha già maneggiato pennelli e colori, si è sporcata, è entrata in contatto con la realtà perché i genitori non si sono condizionati la vita con il suo arrivo, ma hanno reso lei partecipe della loro. Rachele ha annusato fiori e ne ha anche mangiato i petali, ha usato un cane grande il doppio di lei per aiutarsi a stare in piedi e camminare, ha affondato le mani nella sua pelliccia e poi si è messa le dita in bocca, ha dormito sdraiata sull’erba del nostro giardino e sui prati, è andata a concerti e quando dorme non è che il mondo si ammutolisce per non disturbare il suo sonno, ma anzi la musica e i suoni accompagnano la sua quotidianità.

Ieri, davanti ad un installazione all’Università Statale di Milano, ho visto gli occhi dei bambini di una scolaresca farsi enormi di stupore e meraviglia, mentre alcuni adulti passavano di fianco senza nemmeno accorgersi che c’era un’opera d’arte, e penso che sarebbe stato bello chiedere a ciascuno di loro che cosa ci vedesse dentro a quel gioco di specchi. Poco più in là c’era un’altra installazione che illustrava quella che, secondo un designer giapponese, può essere l’evoluzione degli ambienti di casa nel futuro: era spassosissimo osservare i bambini spiegare agli adulti a cosa servisse quell’aggeggio piuttosto che quell’altro: ciò che per i bambini era ovvio, per gli adulti era incomprensibile. Paradossale e meraviglioso. Spero che nessuno spenga quella fiamma di stupore e curiosità, spero che una volta a casa, quando smanieranno per raccontare ciò che hanno visto, non trovino genitori distratti dalla partita o dalla serie Sky di turno, spero che ci siano un papà e una mamma pronti ad ascoltarli e a far loro domande, spero che quei bimbi si addormentino sfatti dalla stanchezza causata da una giornata adrenalinica, non sopraffatti dalla noia.

E poi, l’Accademia di Brera: quando mai mi ricapita di poter vagare nei suoi corridoi a me che so a malapena tenere in mano una matita? Ero io a questo punto la bambina: ho sbirciato in ogni angolo che mi è stato possibile, ho letto targhe, commentato statue, girovagato nel giardino botanico e inciampato in mille gradini perché avevo sempre il naso per aria, ho respirato un po’ di quell’atmosfera bohémienne che circonda gli studenti dell’Accademia, mi sono incantata osservando due ragazzi che intagliavano  il legno, e li ho invidiati: io riuscirei solo a ferirmi gravemente con quegli strumenti che loro maneggiavano con tanta facilità. sono convinta che la più alta forma d’arte, ai giorni nostri dove tutto è pronto e preconfezionato, è saper fare, saper usare le mani: con lo stesso stupore con cui osservavo i due intagliatori, osservo e ammiro chi da un semino riesce a far nascere un pomodoro, chi da un gomitolo e due ferri ci fa uscire fuori un maglione, chi con due pezzi di legno e qualche chiodo si inventa un mobile, chi con un po’ di acqua e farina crea il pane…

Per questo dico e insisto: fate fare quante più cose possibile ai bambini, affinché nulla di tutta questa arte vada persa, perché i bambini sono il nostro futuro, e un bambino curioso, sarà un adulto prodigo di risposte per chi a sua volta gli porrà delle domande; e siccome ogni singolo bambino è un’opera d’arte, è preciso compito di un genitore aiutarlo a trovare il suo significato.

Quando saremo vecchi

Quando saremo vecchi, ma vecchi veramente, vecchi che cammineremo curvi e mi sarò arresa all’inutilità della tinte per capelli, vecchi che i ricordi peseranno sulla bilancia molto più dei sogni futuri, cosa ci ricorderemo di questa casa?
Ci ricorderemo forse di quanto era lindo e lustro lo specchio del bagno? Di quanto era gratificante pulirlo col lo straccio e lo spray per i vetri? O sarà molto più vivo e bello il ricordo delle nostre facce riflesse in esso, al mattino, mentre tu ti fai la barba e io mi trucco per uscire, la radio accesa di sottofondo e la quiete intorno a noi? peserà di più una goccia d’acqua da levare immediatamente, o il tuo sorriso che riflesso mi si incastonava nel cuore come la più preziosa fra le gemme?
E del tappeto del soggiorno che vogliamo dire? La mia sfida quotidiana (quasi quotidiana, ok). Mi piaceva vederlo pulito e lucido nel suo algido color grigio perla, però poi a ben pensare era molto più bello quando ci mangiavamo sopra la pizza nel cartone,bevendo Coca Cola dalla lattina, guardando un bel film alla tv, e Tabata che si acciambellava vicino a noi, era il prato immaginario su cui ci siamo sdraiati, rilassati, addormentati, fatto l’amore, era la nostra isola, e sulle isole deserte non esistono gli aspirapolvere, bisogna accettarlo e farsene una ragione.
Non penso nemmeno che ci ricorderemo con un brivido l’invisibile splendore dei vetri di casa nostra. Anche perché forse, perfettamente puliti lo sono stati poche ore in una vita intera. Però Tiger, il nostro gattone che ci chiamava per aprire le finestra della cucina strusciandocisi sopra, sicuramente ce lo ricorderemo, così come ci ricorderemo il rumore della pioggia che batteva sui vetri e di come ci incantavamo a guardarla ipnotizzati. Per non parlare della lavastoviglie, e delle strategie perfezionate nel corso degli anni per lasciare all’altro l’ingrato compito di svuotarla: finti ritardi, corse al lavoro, immotivate e prolungatissime soste in bagno. Tazzine del caffè, coppe gelato, bicchieri e cucchiaini l’hanno fatta da padroni per anni, se vogliamo, la lavapiatti è stata la muta testimone di quanto siamo stati lussuriosi e gaudenti, quasi come la bilancia, che, della nostra golosità è stata il giudice implacabile ogni mattina per mesi, quando abbiamo capito che bisognava mettere un freno alla nostra gola.
Le mie scarpe sempre tra i piedi e te che ti lamenti, io che lì per lì le tolgo, ma il giorno dopo sono esattamente dove erano il giorno prima, così come la mia borsa, la mia giacca, i miei occhiali e le interminabili cacce al tesoro per trovarli, perché chissà come mai, all’improvviso spariscono dalla circolazione; io che vado in panico e tu che con calma ricostruisci i miei ultimi movimenti e li trovi.
Ti ho mai confessato quanto mi piaceva disegnare con il dito sul vetro del tavolo della sala da pranzo? un sole, un cuoricino, l’iniziale del tuo nome, poi superato il momento di dilagante romanticheria lo pulivo per bene; devo ammetterlo, non sono mai stata una perfetta donna di casa, se dovevo scegliere fra spolverare da cima a fondo casa o andare in giardino a giocare con Tabata, io non ho mai avuto dubbi, così come non mi sono mai sentita in colpa se un giorno, ma anche due, non ho passato la lucidatrice sul parquet.
Eppure casa nostra ha sempre accolto e abbracciato tutti, e tutti si sono sempre sentiti a loro agio. Casa nostra è sempre stata una casa sorridente, viva, allegra, pulita quel che basta, ordinata il giusto, senza paranoie e eccessi.
Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello di tirare tardi la sera a lucidare i sanitari del bagno quando magari l’alternativa era stare appiccicata a te sotto il piumone a guardare la televisione o a dire stupidate senza senso ridendo come scemi, cosa credi: la vita è una sola e io sono felice di aver speso la mia a seminare in ogni angolo della nostra casa tracce del nostro amore e della nostra esistenza, come un quadro fatto da noi due a quattro mani, o un disegno fatto con i pennarelli su uno specchio, e non importa se quella che per me era una farfalla perfetta, per te non era niente di più che uno scarafaggio, perché i tuoi occhi brillavano mentre mi prendevi in giro sul fatto che io a disegnare sono proprio negata.
Sarà che sono sempre stata convinta di una cosa: le persone fissate con l’ordine e la pulizia secondo me nascondono più gravi e pericolosi disordini interiori, e allora hanno bisogno di dissimulare questa realtà rendendo l’ambiente che le circonda il più ordinato e asettico possibile. Se sia vero o falso non lo so, so che per me è sempre stato un alibi perfetto, e me ne sono sempre stata. Anzi, quando esponevo questa teoria ad altre persone, ero talmente convinta io da persuadere anche loro, forse perché a tutti piace da matti avere a disposizione una scusa perfetta per allontanare ancora un po’ l’antipatico dovere per fare spazio ad un gioioso piacere. E le persone che dicono che per loro pulire casa è fonte di gioia sono persone pericolose, bombe inesplose, potenziali serial killer: meglio evitarle, star loro alla larga, che non si sa mai cosa gli può frullare in testa.
Quindi, amore mio, quando saremo vecchi ma vecchi veramente, ricordiamoci di quanto era bella la nostra casa, ma con la consapevolezza che a renderla così bella eravamo noi, con la nostra felicità che diventava creatività, intuizione e fantasia, dentro questa casa i bambini che erano in noi non sono mai cresciuti,non glielo abbiamo permesso, e non hanno risentito degli anni che passavano uno dopo l’altro, dopo l’altro e un altro ancora. Questo sì che è stato un risultato portentoso.
E’ un’esperienza entusiasmante diventare adulta al tuo fianco, e mentre te lo dico faccio una nuvoletta di fiato contro il vetro e con un dito ci disegno dentro un sole.