Facciamolo Mahu

Noi avevamo semplificato il tutto definendolo “o femminiello”…però era uno solo… Manuel. Poi si è aggiunto Danitha, poi un altro, Maheta, mi pare, e poi arriva Angelo…
Ma quanti sono?
O la Polinesia è il paradiso dell’omosessualità, oppure veramente non si spiega l’altissima concentrazione di queste figure gentili e servizievoli che abbiamo trovato nei vari hotel che abbiamo visitato. Sono assolutamente a cavallo fra il maschile e il femminile, non si possono definire donne in quanto i tratti sono palesemente maschili, non si possono definire uomini perché i modi di fare e il tono della voce sono femminili (a dire il vero, io compresa, pagherei per avere un decimo della loro grazia).
Anche il loro modo di vestire è “ibrido”: non è sfacciatamente iperfemminile come nella transessualità ma neppure costretto in abiti maschili. Quelli che abbiamo incontrato noi, indossavano un lungo pareo legato sui fianchi nei toni del beige e una camicia in fantasie floreali dove l’unico dettaglio femminile erano le maniche a sbuffo. Un fiore fra i capelli, chi li aveva acconciati in maniera femminile e chi impomatati di gel, qualcuno indossava collane di perle tahitiane per coprire il pomo d’Adamo, alcuni avevano pure un filo di trucco, altri la barba fatta di fresco. Insomma un caleidoscopico mix fra maschile e femminile.
Parlandone con un altro turista incuriosito come noi da questo strano mondo, ci viene svelato l’arcano e cioè che è nella tradizione Polinesiana allevare un figlio, normalmente il quinto o il settimo (ma non esiste una regola fissa), come se fosse una figlia era la prassi. Indosserà abiti femminili sin da piccolo e gli verrà insegnato ad accudire la casa e i bambini. Non sarà più un uomo o una donna, sarà un Mahu. Tre le ipotesi spiegare questo fenomeno: la prima è che lo facevano per preservare qualche maschio, visto le ingenti perdite nella lotta fra clan, la seconda ipotesi è che tutto sommato faceva comodo avere un aiuto domestico, la terza è che era un modo sicuro di controllare le nascite.
Una volta adulti venivano assunti nelle case dei nobili (Arii) come maggiordomi e vivevano un’esistenza più che decorosa.
A rovinare il tutto come sempre ci abbiamo pensato noi occidentali, e quando soldati e marinai sono giunti in Polinesia, il Mahu, cominciando a prostituirsi si è trasformato in Rae Rae, molto più sfacciato e femminile. E il resto è storia dei nostri giorni.
Quindi non è che in Polinesia ci siano più omosessuali che altrove, la differenza sta nel fatto che qui, per tradizione culturale non si nascondono, ma anzi vivono un’esistenza perfettamente integrata nel tessuto sociale. I Mahu vengono assunti nelle strutture turistiche perché gentili ed educati. Quindi se vi capiterà di andare in Polinesia e incontrerete un Mahu non ridacchiate alle sue spalle e non guardatelo con eccessiva curiosità, urtereste solo la sua sensibilità, come per qualsiasi essere umano.

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Cose da fare a Le Taha’a

In ordine sparso:
Fare il pranzo di Natale con pesce crudo, cocco, ananas sorseggiando un cocktail
Dormire con tutte le tende aperte per essere i primi a vedere sorgere il sole
Fare il bagno dal proprio pontiletto MENTRE sorge il sole
Dimenticarsi l’esistenza del phon asciugacapelli
Dimenticarsi che esiste uno strumento che si chiama orologio
Dimenticarsi parole come: E-mail, Sms, Facebook, cellulare
Passeggiare senza meta mano nella mano
Giocare con i granchi
Scottarsi con il sole
Raccogliere conchiglie
Vedere arrivare la “bassissima marea”
Mettersi un fiore appena colto fra i capelli
Commuoversi davanti a un tramonto
Essere i soli due italiani in tutta l’isola
Parlare inglese, francese e polinesiano
Guardare arrivare un acquazzone tropicale
Fare il bagno DURANTE l’acquazzone tropicale
Eccitarsi come bambini vedendo una famiglia di mante passare a un metro da te
Bersi una birra al bancone del bar della piscina con il sedere a mollo
Bensi una birra nel patio del bungalow ridendo come scemi
Bersi una birra nel patio del bungalow sotto il diluvio ridendo come scemi
Fare snorkeling in un metro d’acqua
Fare snorkeling in un metro d’acqua con i pesci che ti circondano perché hai del pane per loro
Fare snorkeling in un metro d’acqua assediati dai pesci che ti mordicchiano le mani dove tieni il pane
Scattare mille foto sapendo benissimo che 950 verranno cancellate
Ordinare da mangiare senza sapere con precisione cosa stai ordinando
Fare commenti sugli altri ospiti dell’hotel e ridere a crepapelle tanto loro non capiscono l’italiano
Cercare una fantomatica foresta di mangrovie, non trovarla e farsi divorare dai mosquitos
Ridere ridere ridere
Abbracciarsi abbracciarsi abbracciarsi
Essere felici felici felici

Tahiti e Raiatea

Ancora con gli occhi pieni e il cuore gonfio delle meraviglie dell’Isola di Pasqua ( andateci andateci andateci), ci prepariamo a vivere la parte relax del nostro viaggio. All’aeroporto di Hanga Roa conosciamo Andrea un ragazzo di Ancona che viaggia da solo e fa un giro simile al nostro, lo incontreremo probabilmente di nuovo sul volo per Aukland. Vi faremo sapere.
Il viaggio per Raiatea si divide in due tranches: Hanga Roa- Papeete, Papeete-Raiatea. Sulla prima parte niente da raccontare, ma sulla seconda…dai su, cominciamo.
Dentro all’aeroporto incrociamo il secondo ubriaco tirato giù di peso dall’aereo del nostro viaggio, però stavolta è poco di più che una bambina, shorts fucsia e top giallo, due codini con elastici colorati e un faccino che stride miseramente con il suo stato di pesante ubriachezza. A un certo punto crolla sui divanetti nella sala d’aspetto del gate per gli imbarchi, scomposta e sgangherata come una bambola di pezza, quando la hostess la va a svegliare, dopo aver chiamato più volte il suo nome al microfono, la accompagna sull’aereo e tempo un minuto, le vediamo tornare indietro…niente aereo per lei oggi.
Partiamo da Papeete con quella che è a tutti gli effetti una corriera con le ali, sotto una tempesta di pioggia, vento, fulmini e saette, ci sono alternative? No. Appunto, saliamo.
All’orizzonte si vede che il cielo si sta rasserenando (ma poco), il tempo di prendere quota e dobbiamo fare la prima fermata: Moorea. Noi scendiamo alla prossima. L’aeroporto di Raiatea è da morire dal ridere, praticamente una striscia di terra disboscata e un garage a uso arrivi e partenze. Ma è il ritiro bagagli la vera perla: una saracinesca si alza e su un trespolo uguale a quello che nei supermercati si usa per mettere le cassette di frutta e verdura, in tempo reale, un omino prende le valige dalla stiva dell’aereo e le ce le appoggia sopra, tu prendi le tue e te ne vai.
Dopo un’ora di corriera con le ali, ci tocca mezz’ora di motoscafo, ma qui la musica comincia a cambiare: poltroncine in pelle bianca imbottite, equipaggio in divisa linda e lustra… mmmmhhhh, interessante…
A farla breve: arriviamo in Paradiso, e qui mica ti danno una collana, no no, cari miei, qui siamo passati diretti all’upgrade, una corona di fiori e foglie. Mi piace e mi adeguo. Ci viene offerta una bibita rinfrescante (sempre meglio) e una salvietta fresca imbevuta di una soluzione con un profumo paradisiaco (sempre sempre meglio). Incaricato della nostra accoglienza è Manuel detto da noi “o femminiello” inutile che vi spieghi il perché… vi do un indizio: un fiore nei capelli e un parlare tutto mellifluo e smielato (scopriremo poi però, che qui tutti parlano così… Sembrano rincretiniti, ma è bello) e la manina sempre a mezz’aria. Comunque è adorabile. Ci incamminiamo sul pontile da cui si diramano gli ingressi ai bungalow, il nostro è l’ultimo in fondo, davanti a noi solo il mare. Un posto fantastico, non si può aggiungere altro. Il nostro pontiletto privato per fare il bagno, il nostro patio privato per stare soli al fresco, il nostro solarium privato per prendere il sole come ci pare, e poi la perla: un oblò ai piedi del letto con un vetro apribile da cui possiamo guardare il fondale marino senza scomodarci, ovviamente privato pure questo.
Siamo ufficialmente insigniti della carica di Honey Mooners, a suggellare la cosa troviamo in camera un cestello di ghiaccio con champagne e cioccolatini, fuori si scatena un acquazzone pazzesco, noi ce lo godiamo dalla nostra finestra con vista sulla baia.
Benvenuti in Polinesia.
Maururu
(che vuol dire grazie in polinesiano, e per dirlo alla loro maniera, bisogna pronunciarlo con la stessa inflessione con cui Tosca Daquino ne “il ciclone” nella scena del ristorante dice “piripiiiii” – ecco bravi, avete capito, ora mettete pure giù la manina).