“Tutti sul Monte Penna” (trent’anni dopo)

…allunghiamo un secondo questa cinghietta qua, fissiamo bene questa, clicchete, clacchete, et voilà: siamo pronti per partire.
Monte Penna arriviamo.
Formazione delle grandi occasioni: Manu Luca e Tabata, tutti e tre con il proprio zainetto, io il mio Eastpack fucsia, Luca sobriamente in grigio, e Tabata con una sella da cani con tasche nere con disegnati tanti piccoli ossetti. Un amore, vale la pena perdersi nei boschi solo per guardare lei e quanto è deliziosa. Perplessa, ma deliziosa.
Secondo me da Arcaplanet quando siamo usciti orgogliosi dei nostri acquisti, hanno stappato una bottiglia: quando mai gli ricapitano due idioti che in un colpo solo comprano: uno zainetto da cane, una piscinetta per il suddetto (che scopriremo poi, ha paura di entrarci), elegante guinzaglio beige con applicata madaglietta fucsia a forma di cuore e le crocchette ma quelle light, da cane adulto, consigliate dal veterinario che, a conti fatti, ci costerebbe meno nutrirla a filetto….
Ma soprassediamo, anche se le nostre incursioni da Arcaplanet meriterebbero più spazio.
Del Monte Penna si diceva.
In preda a una specie di trance alpina, la sera prima ho preparato gli zaini, ignorando il fatto che il Penna è poco più alto di un pandoro, ho messo dentro: pantaloni impermeabili (potrebbe piovere), giacca imbottita (potrebbe precipitare la temperatura fino allo zero), spray anti zanzare, burro cacao, acqua come se partissimo per la traversata del deserto (ignorando il fatto che da quelle parti è tutto un tripudio di fontane e fontanelle), macchina fotografica, binocolo, un pile per Luca (che come tutti sanno gira in maniche corte anche d’inverno e quindi totalmente inutile) e calze di ricambio per me, polo di scorta per lui. Non chiedetemi il perché di questo delirio, in compenso, per non smentirmi: scorte alimentari ZERO. Giusto qualche fetta biscottata, le crocchette della Tabata, e una piccola pizzetta avanzata da una voglia improvvisa venuta a Luca lungo la strada.
Carichi di un notevole ottimismo si parte.
Prima tappa: farmacia.
Io soffro il mal d’auto, e quindi mi doto di ogni possibile rimedio, stavolta si va sul classico con la Xamamina, però, quasi quasi….mi avvicino alla farmacista e sottovoce le chiedo se ha i braccialetti magnetici.
Sottovoce perché ho paura che Luca possa sentire e darmi una botta di credulona, paura infondata visto e considerato che è chiuso in macchina con l’aria condizionata al massimo, la radio accesa, un cane, due pizzette e coca cola: in questo momento lui non sa che io esisto, è nel suo Nirvana privato, un uomo felice. Li compro e mi avvio verso la macchina.
Cintura allacciata, pronti partenza via.
Luca si troverà come compagna di viaggio una strana con due polsini con all’interno due pallette che devono essere posizionate in un preciso punto del polso affinché possano stimolare il punto preciso che blocca la nausea. A trovarlo il punto: palmo rivolto in alto, il mignolo deve scivolare sotto la mano, e anulare, medio e indice sono appoggiati sul polso, proprio a un passo da dove finisce l’indice, ecco il punto magico. Ci piazzo sopra la pallina (che ogni tanto dovrò ricordarmi di strufugnare) e, a questo punto, io e il mal d’auto non abbiamo più niente da dirci. Maledetto compagno di avventura per tanti troppi anni….ma ora ho i miei super braccialetti, non mi avrai più. Mai più.
E così mentre io mi godo il mio non-mal-d’auto, alla guida, un galvanizzato Luca per l”impresa portata a termine il giorno prima (è andato a Santo Stefano in bicicletta:un miliardo di chilometri in salita), mi fa la radiocronaca in diretta di ogni singola curva, ogni salita, ogni panorama, ogni-qualsiasi-cosa che ha percorso, e per rendere il tutto più colorito, lo fa imitando la voce di Aldo Rock, un tipo che ogni tanto interviene a Radio Deejay e parla di triatlon, maratone, e altre cose che io sudo e fatico solo a sentirne parlare. La Tabata, comoda nel suo sedile posteriore, si gode il viaggio insieme a noi.
Comunque sappiate che i bracciali magnetici funzionano alla grandissima, quando arriviamo a Santo Stefano sono fresca come una rosa, allegra e baldanzosa, in altre circostanze sono arrivata bianca come uno straccio, a un passo dal pianto isterico e con un unico desiderio: morire subito.
Piccolo spuntino, un saluto ad alcuni amici, pit-stop canino, e via: che l’avventura inizi.
Luca mi chiede se conosco la strada.
Certo che la conosco, ci sono stata mille volte sul Penna…trent’anni fa, ma per sicurezza mi sono fatta spiegare la strada da mia mamma che ai tempi aveva più o meno la mia età attuale, e quindi i suoi sono ricordi attendibili. Ma in tutta onestà voi vi fidereste a chiedere indicazioni a una persona il cui senso dell’orientamento è prossimo allo zero assoluto, e rischia di perdersi anche dentro casa sua?
Ma soprattutto vi fidereste di chiedere indicazioni su un sentiero alpino a una strana stranissima che le arrampicate sul Penna le faceva con la gonna di jeans a tubo, un vezzoso foulard messo a fascia in testa e le zeppe alte un palmo? Leggenda narra che io in quelle circostanze la ripudiassi, prendendo per mano un’amica di famiglia, con abiti consoni alla situazione, e esordiendo con una frase così: “ecco tu sei la mia mamma di scalata”. Ridevano tutti divertiti, una bambina adorabile e simpatica…a me l’unica cosa che mi interessava era riportare la pelle a casa, e anche se la mia mamma era super trendy e ultra gnocca, non mi garantiva il risultato. E io non sono il tipo di persona che corre rischi inutili, nè ora, nè allora.
E così quando al primo bivio, alla domanda “da che parte giro?, Luca si è sentito rispondere dalla sottoscritta “bhò, prova di qua”, deve aver capito all’istante che la giornata si prospettava essere indimenticabile.

Fine prima parte.

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Magda, hai voluto la bicicletta? Mo’ pedala…

Devo fare una doverosa premessa: devo scrivere questo post da in piedi.
Perché vi domanderete voi.
Provate voi a fare 20 chilometri di pista ciclabile in mezzo ai boschi, dopo esattamente 26 (leggi: VENTISEI) anni che non salite su una mountain bike e poi ne riparliamo. Sicuramente in piedi appoggiati al bancone di un bar…
Il trip furiano pro-bike è cominciato il suo primo giorno di ferie quando, sbattendo gli occhioni, mi ha chiesto se lo accompagnavo in macchina da un rivenditore di mountain bike, perché voleva dare un’occhiata, per farsi un’idea, e solo se ne trovava una perfetta che faceva al caso suo, la avrebbe comprata.
Mi sarei dovuta insospettire quando l’ho visto vestirsi: Luca si mette la polo con il colletto in piedi anche per tagliare il prato, invece quel giorno si è presentato con t-shirt da lavori pesanti, pantaloncino da sport, scarpa da ginnastica al posto delle infradito di ordinanza da aprile a settembre. In poche parole lui sapeva che sarebbe tornato a casa con una mountain bike nuova fiammante sotto il sederino.
Un piccolo inciso: l’autostrada quella mattina era piacevolmente deserta andando verso Sestri Levante dal casello di Lavagna. Un relax…nemmeno una macchina, e io che dicevo a Luca “ma che poco traffico che c’è, si vede che i vacanzieri sono tutti già arrivati a destinazione”…io non potevo immaginare che due gallerie dietro un’auto andava in fiamme e l’autostrada era stata chiusa. Mi spiace per i proprietari dell’auto e per quanti ne hanno avuto un qualche disagio, ma noi abbiamo viaggiato da dio.
Ovviamente la bici dei suoi sogni c’era, ovviamente l’abbiamo comprata e Luca felice come un bambino è partito pedalando di gran carriera alla volta di casa, e da quel momento non ha più smesso. Peggio di Forrest Gump quando ha cominciato a correre.
La mountain bike che aveva prima di questa (quella in teoria destinata a me) giaceva sgonfia e acciaccata nel capanno degli attrezzi, e io dormivo sonni tranquilli.
Fino a ieri.
Il punto è che ti mandano sempre dei segnali. Sabato guardava dei video su You tube, mica dei video porno (magari), piuttosto dei video su come risincronizzare il cambio di una bici ferma da tempo, tutto spiegato per filo e per segno. Inoltre, ieri mattina, alla Coop nel carrello della spesa ha buttato furtivamente una bomboletta di lubrificante spray per catene e ingranaggi…avrei dovuto capirlo, in modo da non essere colta di sorpresa quando dopo pranzo mi ha proposto a bruciapelo “andiamo a sistemare la TUA bici?” Io NON HO bici.
Errore: da quel preciso istante ce l’ho.
Avevo ancora una speranza: le ruote sgonfie, magari per colpa dell’usura del tempo, erano danneggiate e quindi irrecuperabili…macchè, maledette, è bastato dare due vigorosi colpetti alla pompetta e via, ringalluzzite come non mai…ma magari il cambio è ballerino e quindi pericoloso…niente da fare…Luca sa fare tutto, ora so che sa anche aggiustare i cambi Shimano a tremila rapporti, che io non so fare funzionare, come scopriremo fra poco.
Con un sorriso grandioso mi guarda e mi dice “allora, andiamo?” In quel preciso istante capisco che non ho scampo, giusto il tempo di un paio di scene isteriche perché lui non vuole abbassarmi il sellino e io non salgo su una bici se non tocco in terra almeno con la punta delle dita, poi finalmente, davanti alla minaccia di un ammutinamento, si arrende e abbassa la mia sella.
Possiamo partire, e che il Signore mi assista.
Le prime pedalate mi servono per capire come funziona il cambio e comunque me lo dimenticherò subito dopo ogni volta. È inutile, ci sono cose che il cervello di una donna non memorizza affatto, e il funzionamento di un cambio Shimano è una di queste, a seguire la regola del fuorigioco a calcio e poi il concetto di “tutto sotto” quando ti danno le indicazioni per aiutarti a posteggiare la macchina.
Il secondo chilometro lo passo a cercare di darmi una spiegazione plausibile circa il fatto del perché io sia appollaiata su un sellino scomodissimo, aggrappata a un manubrio snodatissimo, in una posizione scomodissima, proprio il giorno in cui dovrei pensare solo a riposare le mie stanche membra.
I chilometri a seguire sono un misto di sentimenti contrastanti: una parte di me si sta divertendo (escludendo la parte che poggia sul sellino, lì è tutto “pessimo e fastidio”), un’altra è piena d’amore persa nella contemplazione di quel gigante che pedala davanti a me, felice come un bambino, solo perché stiamo facendo un giro in bici insieme, un’altra ancora è cieca di rabbia per la fatica che sta facendo e quel gigante che pedala davanti a lei vorrebbe buttarlo nel fiume, lui e le bici.
E poi c’è la parte prevalente: quella che pedala, pedala, pedala, cercando di non cadere fra i rovi prima, nel fiume durante, sotto una macchina poi, quella che cercando di affrontare una salitina, nel tentativo di cambiare rapporto fa saltare la catena e non sa che pesci prendere, quella che quando Luca con gli occhi pieni di stelline della felicità le dice “andiamo fino a San Martino del Vento, la salita è un PO’ dura ma il panorama è fantastico” invece di dirgli “vai vai, che io ti aspetto a valle” si fa la salita spingendo la sua bici giacchè le le gambe non ne vogliono più sapere di pedalare, ma lui ha un sorriso troppo grande per mandarlo al diavolo e questa dannata mountain bike la spingeresti anche in cima all’Everest pur di tenere acceso quel sorriso.
Abbiamo pedalato per un totale di venti chilometri (lo so sono pochi, ma io vi ripeto che erano centomila anni che non salivo su una mountain bike) su una pista ciclabile dove in alcuni tratti era interdetto il passaggio alle biciclette (!), dove per proseguire il percorso, bisognava percorrere alcuni tratti in contromano rispetto alla circolazione stradale, dove ad un certo punto devi tagliare in pieno un incrocio e speriamo che la morte cicchetta non abbassi lo sguardo proprio in quel momento, altrimenti: “addio mondo”. Alcuni chilometri di sterrato, altri invece lastricati di ghiaietta che a ogni singola pietruzza non vi ripeto gli anatemi che ho lanciato, altri tratti erano belli lisci d’asfalto, che lo so che non è poetico, ma è un toccasana per sederini poco allenati.
A casa ho fatto il computo dei danni, praticamente una strage:
-ciocche nelle dita delle mani non abituate a tenere stretto un manubrio
-sedere in fiamme (e non solo lui…)
-schiena a pezzi che ci vorranno anni prima che torni a posto
-collo bloccato che ogni volta che provavo a girare la testa era una sinfonia di scricchiolii
-braccia indolenzite
-gambe in fiamme
-lividi dappertutto
Un grande applauso a Luca che ha ignorato tutti i miei numerosi mugugni, disinnescando così ogni possibile nascente discussione e garantendoci una domenica divertente, perché io lo so che quando sono in difficoltà divento insopportabile.
Una standing ovation a me che ho vinto la mia pigrizia e ho portato a casa il risultato.
Lo rifaremo, lo so, anche perché Luca mi ha comprato il caschetto, i guanti e i pantaloncini imbottiti: ha anticipato ogni mio possibile tentativo di sabotaggio. Mi ha fregato.
Non ho scampo.