Magda e Furio al corso di cucina thai

Cosa ci fa una che non mangia piccante ad un corso di cucina thai?
Me lo sono chiesta anche io ieri sera, quando MariaSole la cuoca insegnante del corso, ha esordito con “la cucina thai è la cucina più piccante del mondo”.
Molto bene, siamo a cavallo….
Ormai ho imparato, se dichiari subito i tuoi punti deboli sei salvo, quindi ho esordito con “non è che non mangio piccante, diciamo piuttosto che il mio approccio è uguale a quello di un bambino di otto anni”.
Ed è così che senza volerlo ho sabotato il corso di cucina thailandese, cosa simpaticamente (ma simpatica sul serio) sottolineata da MariaSole, che durante tutte e quattro le preparazioni a un certo punto esordiva sempre con un “e adesso ci starebbe bene un po’ di peperoncino, ma noi non possiamo” e inevitabilmente lo sguardo di tutti si dirigeva verso di me….
Ma non mi sono arresa e punta nell’orgoglio ho sfidato le mie papille gustative, già perché durante la preparazione del riso all’ananas e cocco, ogni volta che la cuoca aggiungeva piccolissime particelle piccanti di pasta al curry mi chiedeva di assaggiare per vedere se era tollerabile per le mie neofite papille, e io stoica “no non picca” e lei giù ad aggiungere fino ad arrivare al punto che a momenti mi prende fuoco la gola…ho dovuto buttar giù una bella sorsata di birra per venirne fuori, io che come tutti sanno sono astemia, (perché ridete?) però il riso era buono buono.
Finita la birra ci siamo visti costretti ad aprire una bottiglia di tipico pigato thailandese (scherzo, era ligurissimo) e da quel momento in poi l’atmosfera si è rilassata parecchio, e io mangiavo il piccante con una disinvoltura impressionante.
Da provare assolutamente la zuppa Tom yan Kung, certo, se riuscite a reperire tutti gli ingredienti per farla, e pare che l’unica chance sia andare a Genova in Via Gramsci, quindi, nel caso, organizzatevi per tempo infatti per prepararla a puntino serve una misteriosa salsa di pesce, un ancor più misteriosa pasta piccantina in vaso che sembra un paté di pomodori ma se lo mangi muori per autocombustione, lemon grass che presto la troverete anche a Caperana, date solo il tempo necessario a Furio per dare il via alla coltivazione, funghi, passata di pomodoro, gamberi e lime. Inforcate le chopsticks e dateci dentro. Un’unica raccomandazione: provoca dipendenza da tanto è buona.
E poi arriva il momento dello stupore, del sapore che non ti aspetti: preparate un battuto di aglio e zeste di lime mettetelo in una ciotola con dei pezzetti di papaya e ananas irrorati con un po’ di succo di lime. Mischiate il tutto e assaggiate: non crederete a quello che vi diranno le vostre papille. Poi potete tornare alla rassicurante pasta al pomodoro, ma fidatevi, dovete provare. A completamento del piatto piccoli bocconcini di petto di pollo fatti marinare con del succo di lime e poi saltati in padella a fiamma vivacissima, questa è la versione base, se siete temerari e vi piace sudare buttateci manciate e manciate di peperoncino piccante, e preimpostate il 115 (vigili del fuoco) sul cellulare. Rapido buono e salutare.
Altro giro altra corsa: Noodles pad thai, le meduse nel piatto (dopo Hong Kong il mio rapporto con i noodles è irrimediabilmente compromesso). I noodles altro non sono che una specie di tagliatella trasparente un po’ cingosa che si cuoce come la nostra pasta fresca, anche se il paragone è quasi blasfemo, poi una volta scolati li metti in una wok in cui avrai precedentemente preparato un condimento, noi ieri sera avevamo fagiolini, carote e germogli di soia, noccioline tritate, salsa di pesce, lime, aglio e salsa di soia, li fate saltare ben bene e poi ve li pappate e buon appetito.
Io che in sono bravissima in cucina, ho preparato il nostro dolce, attenti al procedimento perché non è facile. Allora rubate agli altri la papaya che hanno già sbucciato e tagliato, e mettetela in una ciotola. Poi, massacrate a coltellate un innocente mango dopo averlo ridotto di un terzo del suo volume nel tentativo di sbucciarlo, prendete i brandelli di mango così ottenuti e provate a dargli una forma simile a dei cubetti che metterete insieme a quelli di papaya, prendete un lime e spremetecelo dentro, mischiate il tutto. Lo so è un po’ difficile, ma ci potete riuscire anche voi.
Importante: per la buona riuscita dei piatti della cucina thai servono alcuni accorgimenti essenziali, ve li riporto pari pari:
– essere sorridenti
– mettersi un fiore fra i capelli
– avere a disposizione casse e casse di lime altrimenti non andate da nessuna parte
– cucinare insieme a gente allegra
– avere a disposizione una piccola alcova perché pare che la cucina thai invogli a ben altri piaceri oltre a quelli della tavola.
Detto questo non resta che aggiungere:
kŏr hâi jà-rern aa-hăan! Che in lingua thai si scrive:ทานให้อร่อยนะ
Non offendetevi, vi ho solo augurato buon appetito.

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“Magda, mi vuoi sposare?”

Dimonds are a girls best friends…
Maggio il mese delle rose, il mese della festa della mamma e il mese dei matrimoni.
Ma facciamo qualche passo indietro, già perché prima di arrivare al fatidico sì, bisogna compiere un altro step assolutamente necessario. Infatti conditio sine qua non di un matrimonio è che qualcuno vi abbia chiesto di sposarlo. Altrimenti ciccia…
Come ve lo hanno chiesto? O in alternativa, come vorreste che ve lo chiedessero? Oppure basta che ve lo chiedano non vi importa nulla del come?
Personalmente sono una classicona e credo che niente possa competere con la sempreverde scatolina di velluto che al momento giusto il vostro fidanzato aprirà davanti ai vostri occhi e con fare un poco impacciato vi chiederà “mi vuoi sposare?” Aaaaahhhah (è un sospiro trasognato) che bel momento!
E non provate a fare le dure e pure e dire “oh no, a me non me ne frega niente” “uuuhhh, i diamanti che schifo, sai con quei soldi quanti viaggi ci facciamo?” ” a guarda, l’amore non si misura in carati”. Se fate vostra anche solo una di queste affermazioni (che comunque hanno tutte un innegabile fondo di verità) la spiegazione è semplice: o non ve lo hanno ancora regalato, o ve l’hanno regalato ma non era in nessun modo degno di nota.
È vero, l’amore non si misura in carati, ed è altrettanto vero che può rappresentare un certo investimento economico per il nostro fidanzato, ma se lui ha deciso di regalarcelo, perché noi dobbiamo auto-boicottarci?
Vi sia di monito l’esperienza di mia mamma.
Correva l’anno 1978, mio papà aveva deciso di regalare a mia mamma una riviera di brillanti senza nessuna ragione in particolare (mio papà era un romantico estemporaneo), beh aprite bene le orecchie: mia mamma ha detto “ma no, grazie, Angelo prende la Comunione, preferirei spendere quei soldi per sistemare casa” e ha barattato la riviera di brillanti con della tappezzeria. Epilogo: casa tappezzata in ogni dove (che francamente, se ne faceva pure a meno) della riviera si sono perse le tracce, da quel giorno credo che il regalo più romantico che mio padre abbia fatto a mia mamma sia una lavatrice e mia mamma si mangia le mani ancora adesso.
Mi sembra che il concetto sia chiaro.
Proseguiamo.
Ci sono poi altre ragazze che sostengono che regalare un brillante sia ormai terribilmente fuori moda, posto che certe cose non passano mai di moda, queste ragazze sono le stesse che poi sono diventate improvvisamente mancine proprio da quando l’obsoleto anello di fidanzamento gli è stato in seguito regalato: salutano con la sinistra, si sistemano i capelli con la sinistra, gesticolano solo con la sinistra, tutto con la sinistra. Per favore, se vi capita di incrociarne una, liberatela dall’incantesimo, fatele le congratulazioni e i complimenti per la bellezza dell’anello e come per magia ricomincerà a usare di nuovo anche la mano destra.
Quanto a quelle “a no guarda, a me non me ne frega niente”, io le catalogo nel fascicolo “la volpe e l’uva” perché puoi essere anche la più selvatica del Creato ma il momento in cui il tuo fidanzato ti prende la mano e ti mette l’anello al dito e ti chiede di sposarlo, è così intimo, romantico e delicato che il cuore fa tre o quattro capriole, batte due colpi a vuoto e ci mette un pochino di tempo a tornare ai valori normali. È un momento indimenticabile.
Io ho pianto come una fontana, avevo la febbre ed ero in pigiama, ma non importa, è stato tutto pefetto…a parte il fatto che Furio per rendere il tutto più gustoso ha voluto che aprissi da sola la cassaforte dove lo teneva nascosto, e io quella maledetta non riesco ad aprirla nemmeno quando scoppio di salute e sono tranquillissima…figuratevi quanto ci ho messo quel giorno, con la febbre a 38 e con le idee poco chiare circa quello che stava accadendo. Tre giri in senso orario, numero, due giri al contrario, numero, un giro orario e taaaac: no niente, riprova. Allora, dunque, tre giri in senso antiorario, no orario, ma forse prima due, centra il numero giusto altrimenti non prende la combinazione. Riprova. Ririprova. Riririprova. E lui che rideva garrulo. Ma a costo di smurarla con un flessibile o farla brillare con una piccola carica di esplosivo, ce l’ho fatta. Abbracci, baci e telefonata alla mamma.
E questa ve la devo raccontare bene perché merita.
“Pronto mamma? lo sai che Luca mi ha regalato l’anello di fidanzamento e mi ha chiesto di sposarlo?” Lei serafica “bene, e tu cosa gli hai risposto?” Io incredula “beh, che domande, gli ho risposto di sì” Lei allarmata “Manuela…di nuovo? Dobbiamo di nuovo organizzare tutto l’ambaradan?” E tanti ringraziamenti per l’incoraggiamento…
Abbiamo stappato una bottiglia di champagne che conservavamo apposta per un’occasione speciale e ci siamo fatti la pasta al pomodoro cenando a lume di candela, lui in tuta e io in pigiama malata. Unforgettable.
E ancora adesso ogni tanto mi incanto a guardarlo, ma non perché brilla ed è bello, ma perché rivivo quella giornata, quando di fatto non è cambiato niente, ma nulla è stato più come prima.

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Magda e Furio al corso di cucina.

Magda e Furio al corso di cucina.

E un giorno come tutti gli altri, Furio se ne esce con una trovata delle sue: “potremmo fare un corso di cucina insieme, che te ne pare?”
Anche se confesso di non averci mai pensato, quando me lo ha proposto ho accettato con entusiasmo. Indosso una sgargiante camicia a quadri che Furio odia visceralmente, dice che mi fa assomigliare a un tagliaboschi, io invece la adoro, e sarà che mi ricorda inconsciamente la tovaglia di una trattoria, ma mi sembra molto appropriata, in cucina con un look perfetto, la Cristina Parodi di casa nostra, che farà dei pasticci, non saprà cucinare, tutti la criticano e fanno i sofisticati, ma poi tutti vorremmo essere al suo posto a fare i piaciughi che fa lei, strapagata per farli.
Ma torniamo a noi.
Bene, diventeremo maestri in focaccia al formaggio.
Iscriversi è stato facile, complice un’ amica che lavora dove organizzano questi corsi: L’Accademia dei sapori. E così eccoci qui, con il nostro bel grembiulino e il blocchetto dove appuntare tutti i segreti di cucina che ci verranno svelati.
A dire il vero scrivo solo io, Magda, un po’ perché soffro della “sindrome della secchiona” nel senso che adoro prendere appunti, e un po’ perché Furio considera carta e penna strumenti irrimediabilmente obsoleti. Confesso che anche la semplice lista della spesa, dalle nostre parti, viene fatta usando l’apposita app del telefono, e quello che uno dei due scrive viene trasmesso in tempo reale all’i-phone dell’altro in modo da avere la situazione costantemente aggiornata…non chiedetemi spiegazioni su come funziona l’ambaradan, io mi limito a eseguire pedissequamente quanto mi è stato spiegato.
E poi perché, semplicemente, il boss (lui) detta e la segretaria (io) scrive, sì esatto, sempre per via di quella tacita ripartizione dei ruoli….( ma mi ribellerò un giorno).
La prima domanda che ci facciamo è: ma perché sono tutti serissimi mentre noi sembriamo due adolescenti stupidi in gita? Sono tutti seri seri, e fatevela una risata!
La seconda domanda che io mi faccio, invece è: ma perché a impasto ultimato, la postazione di Furio è tutta pulita mentre la mia sembra che abbiano nascosto un petardo nella farina?
C’è farina per terra, farina in faccia, il grembiule è un pasticcio, ho tracce di impasto sui capelli e sulle scarpe…dovranno far brillare la sala per riportare ordine e pulizia.
È anche vero che non esistono artisti ordinati, il genio artistico si nutre di stimoli, caos, confusione….vero? Provate a immaginare lo studio di Picasso: mica lo immaginerete tutto bello lindo, pulito e in ordine? Forse lo studiolo di Giacomo Leopardi, quello sì che era ordinato, alla peggio c’era giusto lui legato alla sedia che si struggeva d’amore per la cara Silvia…ma non c’è paragone.
1 a 0 per Magda.
E Furio che si pavoneggia di essere il più bravo….
Ma torniamo alla focaccia al formaggio. Steso l’impasto arriva il momento di mettere lo stracchino: Furio tutto ligio e preciso distribuisce con ordine certosino i pezzi di stracchino, Magda rigorosamente a casaccio, butta motti di stracchino e grazie a un momento di distrazione del maestro, ruba un altro pezzo di formaggio…doppia farcitura e spuntino; il mondo è degli scaltri, mica dei precisetti.
2 a 0 per Magda.
Alla prova forno devo ammettere che ne usciamo parimerito, Furio cercherà di perorare la sua causa dicendo che la sua era più equilibrata, che nella mia c’era troppo formaggio…ma si chiama “focaccia al formaggio” mica “focaccia equilibratamente al formaggio”, quindi:
3 a 0 per Magda.
Usciamo dall’Accademia ridendo come matti e sazi, già perché una cosa bella di questi corsi è che prima cucini e poi ti mangi tutto insieme agli altri partecipanti, si apre anche qualche bottiglia di vino e ci si diverte un sacco. Insomma una bella serata, con bella gente, buon vino e buon ciblo: cosa chiedere di meglio?
Però ora concedetemi di essere romantica (ma poco, giuro). La focaccia al formaggio più buona in assoluto è quella che poi abbiamo fatto insieme a casa, a quattro mani; durante la preparazione abbiamo battibeccato come al solito, come al solito lui era il grande chef e io il sous-sous-sous chef, come al solito ci sono stati momenti in cui il mattarello glielo avrei rotto in testa, ma va bene così, perché poi basta un sorriso, una battuta e torna l’armonia.
Perchè l’amore si nutre, sì di piccoli gesti…ma anche di ottime focacce al formaggio.

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Magda e Furio “imbianchini fai da te”

Settimana scorsa, complice una mia settimana di ferie, con il caro Furio abbiamo deciso di dare una bella rinfrescata a casa.
Wow! Che bello! Non vedo l’ora!
Povera…piccola…ingenua Magda…. Eppure lo hai sposato, ci convivi da anni, lo sai come è fatto, lo dovresti sapere ormai che se per il resto del mondo, dare una mano di bianco, significa effettivamente “dare una mano di bianco”, per Furietto tuo, no. Furietto se deve imbiancare casa prima elabora con il suo fidato Mac varie possibili soluzioni, così attendibili da sembrare foto del lavoro già ultimato, peccato che a quel preciso risultato ci si deve ancora arrivare e la strada è lunga e irta di pericoli. Il resto del mondo ci impiega una manciata di ore, noi una settimana di lavoro “matto e disperatissimo”, e tre giorni di casa fisicamente inagibile. Ma perché?
Bisogna fare un programma. Furio è il re dei programmi.
Punto primo: organigramma della squadra.
Furio: architetto/capocantiere/capomastro/vertice supremo della piramide.
Magda: boccia/ sguattero/ galoppino/ base infima della piramide.
….c’era da aspettarselo….
Punto secondo: pianificazione dei lavori.
Furio:progettazione e definizione dei lavori da fare. Mi preme precisare che questa parte Furio l’ha svolta innegabilmente bene, ma altrettanto innegabilmente, comodamente seduto.
Magda: esecuzione materiale delle cose da fare. Postilla: solo una di queste cose presupponeva un assetto quasi comodo, e cioè, reperire tutti i materiali (infatti questa parte è stata fatta in condivisione con Furio); tutte le altre mansioni andavano eseguite o in ginocchio, o arrampicata in cima ad una scala, o infilata nei mille rebighi di casa, o trasportando oggetti da un lato all’altro di casa.
….era la mia settimana di ferie….sob
Punto terzo.Preparazione dei muri: schiavo scelto, Magda (te pareva).
Non avete idea di cosa voglia dire smacchiare un muro dalle macchie di muffa, ho usato ogni solvente chimico possibile e immaginabile, ho grattato, spazzolato, sfregato come una Cenerentola pazza, ho respirato vapori di ogni tipo, mi sono quasi intossicata, ho visto i draghi verdi e gli elefanti volare ma l’ho spuntata io.
Vietato lamentarsi della faticaccia con Furio, perché se la muffa si è accumulata OVVIAMENTE è per negligenza mia che non l’ho tolta tempestivamente, e altrettanto OVVIAMENTE “tutto qui?non hai fatto altvo?” (Per chi non lo conoscesse, Furio vanta una aristocratica erre muta, adorabile o detestabile, dipende dal contesto, in questo caso era decisamente detestabile).
Punto quarto.Preparazione delle stanze da trattare. La mente: Furio.Le braccia: Magda (ca va sans dire).
Ossia come smantellare una casa in due giorni: ammucchiare quante più cose possibile nella stanza superstite in modo da liberare tutte le superfici da pitturare. Fasciare le prese con lo scotch di carta, passare lo scotch intorno alle finestre e sugli zoccolini di ardesia (e cosa ben più faticosa, cercare di non strangolare Furio quando, tornato dall’ufficio ve lo strappa tutto in quanto “messo alla cavlona”), tappezzare tutto il pavimento con fogli di giornale, credo che ne avremo usati una tonnellata, ma qui giocavamo in casa, la mamma di Furio ha un’edicola, fasciare con il cellophane tutti i mobili della cucina, della camera, della sala.
…nel frattempo avete stretto amicizia con i commessi del negozio di pitture perché ogni giorno Furio vi ha spedito a comprare qualcosa “tanto sei a casa”.
E finalmente arriva il gran giorno: si pittura.
A seguire schema di ripartizione dei lavori:
Furio praticamente tutte le superfici raggiungibili a braccio senza scala.
Magda: le parti alte dei muri, i soffitti, gli angoli angusti “falli tu amove che sei magva e ci avvivi bene” “quando ti viene bene sono magra, eh? Brutta BIIIP che non sei altro” (in base all’uso delle “erre” capirete a chi appartengono le battute). Ovviamente Magda è stata più volta redarguita in quanto troppo lenta nell’eseguire i suoi compiti e poco importa se erano mooooolto più difficili e scomodi di quelli di Furio (GRRRRRRRR)
In questa fase abbiamo sfiorato almeno una dozzina di volte il divorzio, almeno una ventina ho meditato di ucciderlo, almeno una trentina ho stramaledetto il giorno in cui ho detto “certo che si potrebbe dare una rinfrescata a casa”.
Arrivavamo a sera sfatti, sporchi, stanchi morti, nel frattempo ci siamo presi pure un raffreddore biblico, la nostra stanza inagibile e quindi ci siamo accampati nello studio dove c’è un divano letto. Abbiamo elemosinato cibo da tutti i parenti, mangiato pizze nel cartone acciambellati sul tappeto foderato nel cellophane.
A lavoro ultimato la soddisfazione è veramente tanta, ma che fatica…
Chiudo con un pensiero a voce alta ricordando le lunghe ore passate in ginocchio: ho passato tanto di quel tempo in ginocchio a pulire, grattare, pitturare e passare nastro che se avessi passato lo stesso tempo in ginocchio davanti a mio marito, probabilmente lui sarebbe l’uomo più felice della Terra e io avrei ottenuto che a “dare una rinfrescata a casa” venisse una squadra di imbianchini.

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I found my love in Portofino

E rieccoci qua.
Dopo quasi un anno e mezzo, Magda torna nel borgo.
Amo questo posto a livelli viscerali per una serie di motivi, per me tutti stravalidi.
A Portofino devo molto.
Quando l’azienda per cui lavoro mi ha comunicato che apriva un punto vendita qui ed era loro intenzione fare di me la responsabile, la tentazione iniziale è stata di darmela a gambe dalla paura, ma poi, dopo aver tediato amici, parenti e colleghi con tutti i miei dubbi, ho deciso di accettare.
Decisione fantastica.
In quel periodo la vita privata era un po’ un dramma: un matrimonio morto ma a cui non si voleva dare la giusta sepoltura, il cuore tutto incerottato e le ossa fragili, le energie che mi servivano per dare il necessario colpo di reni non arrivavano mai. Ero impantanata.
E invece all’improvviso ecco la grande occasione: si cambia aria, e vengo catapultata in questo posto dove, finalmente, non sono più “la moglie di…, la nuora di…., la cognata di…”, sono semplicemente Manuela. Il primo passo nella mia nuova vita è stato fatto.
Portofino è stato il mio porto seguro, i suoi abitanti prima ti studiano ma poi ti accolgono e, sarà la sua forma che assomiglia ad un abbraccio, ma io mi sono sentita subito a mio agio. E poi è di una bellezza commovente, soprattutto in certe giornate quando c’è poca gente, e il borgo si presenta pigro e silenzioso, gli unici rumori sono le grida dei gabbiani e le onde che del mare.
Alle volte basta una panchina per sentirsi i padroni del mondo.
Mi piace quando diluvia, mi piace quando c’è il sole, mi piace quando è deserta, mi piace quando è affollata e ovunque posi lo sguardo c’è qualcosa da guardare e commentare.Di qui passano i vip veri e i sedicenti tali, ho visto matrimoni da favola e altri decisamente cafoni.
Ci sono due cose che non capisco: una è quella sorta di ostilità che c’è nei suoi confronti da parte degli abitanti dei comuni vicini. Voglio dire, vengono da tutto il mondo per vederla e noi che ce l’abbiamo a pochi chilometri la snobbiamo. Le scuse sono le solite: è troppo cara, è un posto da vecchi, è una menata arrivarci. Bhè, io non sono vecchia, ci vengo tutti i giorni e sul fattore prezzi, posso dire che non è poi così proibitiva. Certo che se pensiamo che il massimo della vita sia prendere un aperitivo in uno sfigatissimo bar del centro solo perché “ci vanno tutti”, bhè in questo caso i problemi sono altri…
Provate una sera il programma “serata a Portofino” messo giù dal mio Furio e più volte testato:
-vestitevi carini ( non eleganti….ma carini, è molto diverso)
– raggiungete Rapallo anche in scooter
– prendete il traghetto per Portofino
– scendete dal traghetto (attenti a non cadere in mare – ho visto anche questo)
– intrecciate le mani del vostro lui/lei
– cenate romanticamente in uno dei ristoranti che ci sono ( a me piacciono Puny e la Taverna del marinaio, ma anche U magazin)
– fatevi una romantica passeggiata nel borgo (e magari ci scappa anche un cadeau)
– risalite sul traghetto
– scendete a Rapallo
– recuperate lo scooter e tornate a casa
Avrete passato una bellissima serata e scoprirete che non siete caduti in miseria per così poco.
Dimenticavo, lo stesso programma è valido anche per compagnie di amici, quando si cerca qualcosa da fare e spesso la serata muore li.
Una simpatica signora australiana un giorno mi disse: ho fatto il giro del mondo per venire a vedere a Portofino, ne è valsa la pena. Noi siamo così nesci che non facciamo nemmeno lo sforzo di fare il giro delle Grazie, e poi ci lamentiamo che la gente di fuori “viene nei nostri posti e si comporta come se fossero casa loro”.
Confesso che faccio fatica a comprendere….
Torta di riso? Finitaaa! ( sì perché c’è l’hanno mangiata tutta sotto al naso).

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Magda in love

Non è cambiato niente, eppure niente è più come prima. Vivevamo già come una coppia sposata a tutti gli effetti da anni ormai, ma dal 15 di dicembre qualcosa è cambiato.
Come posso spiegarvi: una consapevolezza nuova, come se la nostra pianta, già robusta, avesse ora una radice in più, e più profonda, in grado di andare a pescare acqua laddove le altre non riescono. Come se la nostra squadra, già vincente, fosse ora ammessa a partecipare alle Olimpiadi. Come se avessimo ora nelle mani l’ingrediente segreto per rendere sublime il nostro già perfetto piatto preferito.
Dirsi “ti amo” è bello, avere il coraggio, soprattutto in questi tempi così volubili, di dirsi “ti amo e ti voglio sposare”, bhe…è una frase che, a sentirsela dire, il cuore prima si gonfia di gioia, e poi fa un salto mortale. Viene richiesto di rispondere con un “sì” o con un “no”, la risposta più corretta, forse, dovrebbe essere “perché”.
Perché mi vuoi sposare, nonostante tu conosca a menadito tutti i miei difetti.
Perché mi vuoi sposare nonostante tu sappia che verranno giorni in cui maledirai questo giorno.
Perché mi vuoi sposare nonostante io stessa qualche volta non mi sopporti.
Perché mi vuoi sposare nonostante entrambi sappiamo che verranno giorni meno romantici di questo, giorni in cui ci sarà da rimboccarsi le maniche e lavorare sodo per portare la nostra barca in un porto sicuro, tu al timone e io alle vele.
Te lo spiego io perché: perché abbiamo scelto laddove esistevano un “tu” ed “io” di sostituirli con un noi, e perché se mai un giorno io non dovessi avere voce, voglio che sia tu e solo tu a parlare per me. Perché l’espressione “per sempre” a noi non fa paura, e chiamarti “mio marito” e non “il mio compagno”, “il mio uomo”, “il mio fidanzato” mi fa stare bene e voglio che tutti lo sappiano.
Perché sposarsi, piaccia o no, è un punto di partenza, non di arrivo e, finché le cose non cambieranno, bisognerà accettarlo, e un conto è subirlo, un altro è esserne consapevolmente felici.
Ti sposo perché voglio essere legata a te con un doppio filo: la scelta e il vincolo. La scelta maturata dal cuore vivendoti accanto; il vincolo, scelto razionalmente, di avere obblighi e diritti ben precisi nei tuoi confronti e di volermene fare carico.
Ecco perché ho accettato di sposarti, e ancora adesso, quando distrattamente l’occhio mi cade sulla mano sinistra, mi stupisco della presenza di quel cerchietto luccicante, e l’assoluta consapevolezza del passo fatto insieme è la perfetta discriminante fra guardare un’onda gigantesca frangersi sulla riva, oppure vedere quella stessa onda arrivare, prendere una tavola e cavalcarla, insieme: O si tocca riva in due, o si finisce fra i suoi flutti, ma sempre e comunque in due.

Ci sposiamo

Ci sposiamo! Ebbene sì, la decisione è presa. Non saprei dire quando lo abbiamo deciso, non è una cosa che si decide a tavolino. È il mutamento di uno stato d’animo, quando senza un motivo preciso, tutto quello che prima era “mio” “tuo” “suo”, perde tutta la sua connotazione individualista per diventare “nostro”. Per me Manuela, posso dire che ho oltrepassato il confine, quando ho cominciato a pensare a “casa nostra” e non più “la-casa-di-Luca-dove-io-vivo”; Luca non saprei dire, bisognerebbe chiederglielo, anzi, nodo al fazzoletto, che così poi ci ricordiamo di chiederglielo.
Se vi dicessimo che per festeggiare l’evento volevamo fare una cosa semplice, ci conoscete abbastanza per non crederci, quindi via ai preparativi, e sull’onda dell’entusiasmo, ora ci troviamo a fare i conti con, in ordine sparso:
Centoventi invitati e cento sedie
Spetalate, scandelate, sbocciolate, sbicchierate che al confronto Re Sole era un tipo sobrio
Un artigiano che passa le notti sulle nostre bomboniere
Invitati in ansia da “dress code”
Fiori non ancora scelti, ma sicuramente la nostra scelta cadrà su qualcosa di rarissimo che cresce solo in qualche sperduto angolo di mondo
Musicisti degni della Royal Albert Hall
La casellina “imprevisti” che potrebbe mettersi a lampeggiare da un momento all’altro
Insomma, a farla breve, una grande festa. Molti potranno accusarci di “grandeur”, non importa; anzi, trovo bello che in un mondo ogni giorno sempre più brutto, ci siano ancora giovani(!) che hanno ancora la voglia e l’entusiasmo di festeggiare un evento così importante. Per un giorno, solo per un giorno, proviamo a dimenticarci parole come crisi, spread, politica italiana e affini, non cambierà il mondo ma, almeno, noi ci proviamo.
Tornando a bomba, si parlava di preparativi… Resta solo da decidere se i clown e i saltimbanchi li facciamo entrare in scena prima o dopo del taglio della torta: durante no, si accavallerebbero ai fuochi d’artificio!