Rapanui

Tre chilometri e ottocento metri, poi basta che il pilota vada lungo, ti ritrovi in mare e hai percorso l’isola in tutta la sua larghezza. Una pista, due aerei al giorno, un rullo per il ritiro bagagli, nessun controllo passaporto, nessuna dogana, niente di niente.
Ci viene incontro una elegante signora che ci porge due collane di fiori come benvenuto, è Marite, la nostra guida privata che ci porterà in giro per l’Isola e c’è ne svelerà i suoi segreti.
Marite guida un fuoristrada in maniera agghiacciante, parla, si distrae, saluta dal finestrino e manda baci a tutti, ci racconterà poi che è dal 1976 che vive sull’isola e che conosce praticamente tutti i suoi cinquemila abitanti, accende la radio e canta, ha un’eleganza nei modi che le perdoni tutto, anche il fatto che a momenti per salutare un passante, perde il controllo del veicolo e prende in pieno un marciapiede. Noi moriamo dallo spavento, lei se la ride.
Molliamo letteralmente al volo i bagagli in hotel e partiamo alla scoperta della cava dove venivano tagliate le pietre per scolpire i Maoi. La cava chiude alle 18, che a dirla tutta sono passate da un pezzo, lei dice che se è destino che noi vediamo i Maoi oggi, la cava Rano Raraku sarà ancora aperta. Fatto sta che è aperta. E Marite ci comincia a parlare di karma, e noi cominciamo a crederle….
La magia di quest’isola è anche questa: il tempo si ferma, e nel suo silenzio, nella grandiosità del Pacifico e delle sue onde, nella bellezza delle sue forme scolpite nella roccia lavica, nelle mandrie di cavalli lasciati allo stato libero, nei declivi dolci delle colline verdi, l’aria calda ma pulita, tutto il nostro essere sembra rigenerarsi. Un posto che invoca il silenzio, un posto veramente magico.
Come un’incantatrice di serpenti, Marite irretisce il guardiano del sito archeologico, mentre a noi spiega il giro che dobbiamo fare, cosa guardare e come, il resto della storia ce lo racconterà dopo in macchina. Ok. Adesso, come posso raccontarvi in maniera plausibile la sensazione che abbiamo provato davanti a queste statue in pietra che fino a due secondi prima avevamo visto solo nei documentari? Esatto non ci sono parole, fascinazione, paura e mistero, un brivido mentre scatti la prima foto, perché ti sembra quasi impossibile che tu sia li, è tutto troppo bello.
Risaliamo in macchina un paio di curve sgangherate e finalmente ci siamo, stiamo per entrare nel sito più conosciuto dell’Isola di Pasqua, le sue statue Moai hanno fatto il giro del mondo in lungo e in largo, e ora loro sono li, vista l’ora tarda, solo per noi. Benvenuti a Ahu Tongariki con i suoi 15 giganteschi Moai. A me viene il nodo in gola e mi sento le gambe molli, Luca ha gli occhi sgranati e continua a scattare foto, Marite ci racconta tutta lo loro storia (ve la risparmio, nel caso, c’è internet) ed è proprio in questo posto che ti viene in mente la parola: esoterico. Siamo nel 2012 ma in questo sito il tempo ha perso ogni sua valenza, potremmo essere in un anno qualsiasi, il panorama sarebbe identico così come le sensazioni che scatena.
A malincuore torniamo in hotel, la cena ci attende. A dire il vero siamo in netto ritardo sull’orario – ritmi polinesiani – ammicca Marite, e non sembra affatto preoccupata. Ha ragione lei, anche questa volta… diavolo di karma positivo.
A preoccupare me, invece, è un gigantesco insetto che a mia insaputa mi passeggia fra i capelli e quando decise di librarsi in volo, il suo “bzzzzzz” mi fa fare un salto sulla sedia, faccio quasi cadere per terra tutto quello che era sul tavolo, la cameriera mi dice che non è pericoloso, e chissenefrega, è nero, peloso, ha le ali è grosso e soggiornava nei miei capelli, direi che può bastare. In camera mi avvolgo nella zanzariera: meglio essere prudenti.
La mattina del 24 Marite ci viene a prendere puntuale: è tutta in fibrillazione perché è la Vigilia di Natale, ci parla di sua figlia e sua nipote, con la scusa che dobbiamo bere molto ci porta nel supermarket più antico dell’isola, (in verità doveva prenotate le fragole per la cena della vigilia… furbona di una Marite). Finita la spesa ci catapulta nella storia di Rapa Nui: la leggenda dell’Uomo Uccello e tutti i suoi luoghi: la grotta Ana Kai Tangata, il Villaggio di Orongo e il cratere del vulcano Rano Kau con un diametro di 1.6 kilometri, ora è un lago di acqua dolce ed è veramente impressionante. Così come è impressionante la scogliera dove si svolgeva la competizione fra i temerari che ambivano al potere sull’isola, una parete verticale frastagliatissima che scendevano a rotta di collo, poi dovevano nuotare per circa un chilometro nell’Oceano, ovviamente feriti (perchè feriti? ma l’avete vista la parete da cui sono scesi?) quindi perdevano sangue e quindi circondati dagli squali. Arrivati finalmente sullo scoglio dove si trovava il nido, il primo arrivato prendeva l’uovo e si rifaceva tutta la tiritera a ritroso: Oceano, squali, scogliera (stavolta in salita). Il primo arrivato dava diritto alla sua famiglia di governare sull’isola per un intero anno. Trascorso l’anno, altro giro altra corsa, con buona pace del povero uccello che gli rubavano tutte le uova. La giornata trascorre fra siti archeologici pazzeschi e piattaforme cerimoniali di varie epoche, il tutto spiegato in una lingua tutta speciale: l’itafragnolo, un mix perfetto di italiano, francese, spagnolo.
Proprio nel posteggio di uno di questi siti scopriamo di avere bucato, Marite non fa una piega: molla macchina e chiavi ad altre due guide e ci accompagna nella nostra visita. Quando torniamo scopriamo che la macchina è fuori uso, non solo ha bucato ma ha piegato pure un fantomatico braccetto (vuoi vedere che il marciapiede di ieri…), calma e ritmi polinesiani, saliamo su un altro pulmino di turisti e arriviamo dritti dritti al luogo del pranzo. Grande Marite, che non si scompone davanti a niente.
La giornata purtroppo (ma purtroppo veramente) volge al termine, giusto, il tempo di una sosta su una spiaggia di sabbia bianca per bere insieme una bibita fresca e conoscersi un po’ meglio. E poi il gran finale: visita a Ahu Akivi, sito archeologico ubicato nel centro dell’isola, luogo circondato di leggende relative ai suoi sette Moai (storie di occhi veri e finti).
Baci e abbracci, lasciamo Marite ai suoi festeggiamenti natalizi, noi con le nostre collanine di conchiglie al collo, partiamo alla volta dell’aeroporto, cenone della vigilia a bordo. Quando atterriamo a Thaiti è ancora la vigilia di Natale, magie del fuso orario.

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