“Io odio correre” diario di una maratoneta per amore

Il 2016, che anno straordinario è stato! Straordinario al punto che ho pensato di farlo diventare un libro… Già ma da dove si comincia a scrivere un libro? i filosofi direbbero che si comincia a scrivere un libro,  nel momento stesso in cui percepisci la necessità di farlo. I sognatori, diranno invece, che un libro si comincia a scrivere nel momento esatto in cui si accende la scintilla, e compare nella testa quella frase magica da cui si snocciolerà tutto il discorso, tutto d’un fiato, come se fosse già bello che scritto dentro all’anima, ma solo non si trovava la via per portarlo alla luce.

Io ci ho impiegato quasi quattro anni: i primi tre pensare se ero all’altezza e se potevo cimentarmi in un’impresa così ardua,  nel quarto ho deciso di passare all’azione, e come una sartina di altri tempi, ho cominciato a disegnare il bozzetto, a buttare giù idee e spunti un po’ a casaccio, sulle pagine di un Block notes giallo: una parola, un’immagine, una riflessione, tutto buttato lì, in attesa di nuovi ordini.

Poi finalmente un giorno è arrivata l’idea che stavo aspettando: una maratona è lunga 42 km e 195 metri, quindi il mio libro sarà composto da 42 capitoli e 195 parole. Ogni capitolo un suo titolo ben definito, come se si trattassero delle tante tappe di cui si compone un cammino. Come a voler dire al lettore: “vieni che ti accompagno io, che questa strada la conosco bene”, e da quel momento è stata tutta discesa.

Amo alla follia “Io odio correre” perchè dentro ci sono io, forse come non mi sono mai mostrata, nuda e cruda fino all’osso. Ci sono tutti i miei stati d’animo, le gioe, le paturnie, i dispiaceri e le soddisfazioni. Niente è stato inventato: fatti, persone e luoghi esistono realmente, e se in qualche pagina si piange, in molte altre, per fortuna, si ride a crepapelle. E poi è il mio primo libro: come faccio a non pensare che sia il più bel libro scritto fino ad ora in tutta la storia della letteratura? Sarebbe come se una mamma si mettesse a urlare in piazza che suo figlio è brutto e antipatico: impossibile!

Durante un’intervista mi hanno chiesto a che genere appartiene “Io odio correre”… domanda difficile. La risposta più corretta, credo sia che è proprio come la persona che l’ha scritto: io, che non eccello in niente ma mi barcameno in tutto. E quindi è diario biografico, ma anche una storia d’amore, un libro ironico e buffo, ma a tratti commovente e riflessivo, e pure un libro motivazionale, perché se ci sono riuscita io a correre la maratona di New York, credo che ci possano riuscire veramente tutti, solo che io mostro la via meno atletica ma più umana per farlo.

Ecco così raccontata la storia di “Io odio correre”, che è e resterà per me e per sempre, il mio sogno tirato fuori dal cassetto e realizzato, perchè come diceva Walt Disney: se lo puoi immaginare, lo puoi fare.

Se vi ho incuriosito… lo trovate qui

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“La petineuse dei miracoli”

Ma adesso ditemi se questa cosa succede anche a voi. Andate a dormire che avete i capelli apprezzabilmente  in ordine e vi svegliate che, invece, sembra che uno stormo di passeri ci abbia fatto dentro il nido. O anche come se una banda di vandali teppistelli vi ci avesse fatto esplodere dentro un petardo: niente è più come prima. Bisogna rifare taglio, colore, piega, non va più bene niente. Praticamente ci vuole un miracolo, guardandovi allo specchio con aria sconsolata, non vi mettete a piangere solo perchè avete una dignità.

Siete ancora sedute sul water per la prima pipì del mattino e scrivete convulsamente il primo whatsapp alla vostra amica petineuse “situazione tragica, i capelli sono cresciuti di colpo stanotte, ho UN METRO di ricrescita, e anche il taglio è da rifare, e pure la piega. Salvami!” il tutto farcito con faccine piangenti e terrorizzate. Bevuto il caffè, vi rendete conto di essere state delle cafone maledette e non l’avete nemmeno salutata… “Scusa amour, non ti ho nemmeno salutata, ma sono veramente disperata: per andare al lavoro oggi mi metterò un sacchetto del pane in testa” cuoricino-bacio.

I minuti passano e lei non risponde. Lo capite ora cosa vuol dire trovarsi “tra color che son sospesi”? e pensare che quando il vostro professore di letteratura provava a spiegarvi il secondo canto dell’Inferno di Dante, voi sbuffavate annoiate, e ora, invece ci siete dentro fino al collo. Ogni volta che il telefono emette un suono qualsiasi vi lanciate su di lui con furia cieca, ignorate persino i cuori che vi manda vostro marito e i baci delle amiche; niente ora è importante. Niente. Quando finalmente eccolo il suo messaggio, che arriva fra un coro Celeste di angeli che cantano solo per voi: “Ciao! Ti va bene se ti fisso appuntamento per venerdì pomeriggio? Prima non riesco”. Bacio e cuoricino.

“Ma oggi è mercoledì….venerdì è lontanissimo!”lacrime-lacrime-cuore spezzato

“Tesoro lo so, ma prima non ho un buco nemmeno a morire. Ce la puoi fare a resistere” occhiolino-sorriso-bacio

“Però venerdì mi fai una testa tutta nuova. Promettimelo!” Mani giunte-linguaccia-cuore

“Te lo prometto. Ho già in mente un po’ di idee” Occhiolino-sguardo a stellina-fuoco d’artificio

Bene, ora si tratta di resistere fino a venerdì, ed essendo a tutti gli effetti venerdì un giorno ancora lavorativo, vi serve pure una scusa per assentarvi dal lavoro. Il dentista va sempre alla grande, ma anche un “devo accompagnare mia mamma ad una visita” non è male. L’importante è non fornire troppi dettagli, altrimenti vi tradite e scoprono la vostra misera copertura. Ricordate di essere vaghe: nel vago ci sta tutto. I vostri capelli ormai li vivete come un corpo estraneo che non vi appartiene, li odiate e basta, ma venerdì è alle porte, e state per sbarazzarvene.

Venerdì ore 14:30. Posteggiate la macchina in una via secondaria, e come spie in incognito vi avviate furtive (dovreste essere al lavoro, ma state andando dal dentista, ricordate?) verso il salone della vostra amica. Quando siete davanti alla porta vi lanciate dentro come un proiettile impazzito. Avete raggiunto la tana dell’orso – sempre per parlare come spie in incognito. Vi togliete giacca, sciarpa e il sacchetto del pane con cui girate da due giorni. La vostra amica petineuse vi guarda e vi dice “so io cosa fare” e a voi prende il panico, e cominciate a mettere i paletti.

“Io vorrei un taglio tutto nuovo, ma mantenere la lunghezza. vorrei un colore pazzesco, ma senza sembrare una cantante punk, vorrei più volume, ma non troppo, li vorrei mossi ma anche un po’ lisci e con la frangia che però possa diventare ciuffo laterale con un colpo di spazzola. E’ tutto chiaro, no? Sei d’accordo, amour?”

Lei vi sta guardando  con sguardo vitreo, ne vede a mazzi ogni giorno di squinternate come voi, lei non ha più paura di nessuno, da quando fa questo lavoro. Annuisce, ma dentro di sè sta pensando  “mannaggia al destino che mi ha messo questa folle sulla mia strada”. Ma poi vi sorride affabile e con lo stesso piglio di un bravo psichiatra, vi fa accomodare alla poltrona, vi mette la mantellina al collo e sentenzia “Ok. Cominciamo. Faccio IO”.

Un brivido vi corre lungo la schiena. Come vorreste provare quello stesso brivido a casa, con vostro marito che lanciandovi uno sguardo alla “sono un pirata non sono un signore” del caro Julio Iglesias dei tempi migliori, vi sorprende alle spalle con un perentorio  “Faccio Io”. Ma ora l’urgenza è un’altra, non distraiamoci.

La segui con lo sguardo e la vedi armeggiare con mille tubetti, poi torna e comincia a spennellare ciocca dopo ciocca, dopo ciocca, poi ti avvolge la testa dentro alla pellicola come se fossi un cibo da mettere in frigo. Trentacinque minuti di posa, e via. Neanche da dire che in questi minuti in cui non puoi toccarti la testa, ti partirà il prurito del secolo, e pagheresti per avere a disposizione un ferro da maglia, un uncinetto, l’ideale sarebbe la mano uncinata del Capitano Uncino per grattarti come se fosse l’ultima cosa da fare in vita.

L’ansia che ti assale quando suona il contaminuti e nessuno viene a spacchettarti, non si può spiegare, ti immagini i capelli che sotto la pellicola si stanno fondendo e che verranno via con lei, tutti insieme, come lo scalpo che gli Apache facevano ai loro nemici quando li catturavano. Niente paura, lei arriva sempre in tempo. Shampoo, doppio shampoo, balsamo, crema, impacco, siero, gocce miracolose, e chi più ne ha più ne metta: i capelli sono splendenti, il colore è abbagliante. La prima parte del miracolo è fatta.

La petineuse dei miracoli impugna le forbici, zichete, zachete, taglia che è un piacere e te, simulando indifferenza perché le hai detto spavalda che ti fidi ciecamente di lei, cerchi di vedere con la coda dell’occhio quanto sono lunghe le ciocche che sforbiciata dopo sforbiciata, si stanno ammucchiando sul pavimento intorno alla tua poltrona.

“Ehm, non è che stai tagliando un po’ troppo?”

“Ma no guarda, li sto appena sfilando, fidati.”

“Sei sicura?”

“Sì”

“Sicura sicura?”

“Sì”

“Giuramelo che sei sicura”

“Se non la pianti prima ti taglio un orecchio e poi ti raso la testa a zero”

“…..”

e silenzio fu.

Sei in suo potere, non puoi ribellarti, lei ha tutto, forbici, phon, piastra, spazzole, dalla parte del manico. Parte con l’asciugatura e la piega, e tu ti senti come Anastasia in “Cinquanta sfumature di grigio” mentre insieme a quel pervertito di Christian Grey, stava per varcare la stanza dei giochi, sei impaziente, curiosa e anche un po’ timorosa. A te però non ti aspetta nessuna scudisciata sulle chiappe, alla peggio giusto una passata di rasoio sul coppino. Stattene.

Quando lei esordisce con un trionfante “Finito!”  ti senti la più figa della Terra: che bella sensazione. Volteggiando come una ballerina ti metti la giacca, paghi, spargi baci a più non posso come una consumata diva, ti specchi in tutte le vetrine che ci sono fra te e la macchina e, ne sei sicura, stanno tutti guardando te e tu sorridi al mondo piena di luce e nuove consapevolezze, ti senti una donna nuova, diversa e rigenerata.

Entri in casa felice, corri incontro a tuo marito piena d’amore, abbracciandolo e baciandolo con gioia.

“Guarda amore, guarda. Tutta nuova, tutto cambiato. Come sto?”

E lui serafico e stupito per il vostro slancio

“Ma non avevi detto che saresti andata dalla parrucchiera, oggi?”

Lo stai odiando, fortissimamente odiando. E impettita ti allontani.

Fine.

 

I dolori della giovane Magda

Oggi è successa una cosa. Leggevo serena e tranquilla la mia copia fresca di buca delle lettere di Vanity Fair, quando la mia attenzione è stata catturata da una lettera pubblicata sulla pagina di una psicologa che stimo molto: Irene Bernardini.
Una lettera che in apparenza non aveva nessun punto in comune con la mia vita, ma è andata a toccare qualcosa, forse alcune parole usate dalla lettrice, che come le dita allungate su una tastiera sono andate a sfiorare qualche tasto e io mi sono riconosciuta in quelle note. Si parlava di separazione e di quanto sia difficile gestire non tanto i vari stati d’animo che la separazione comporta, ma piuttosto di quanto sia difficile ritrovare un equilibrio che non sia solo apparente, ma reale, necessario per gestire il nuovo assetto.
Metabolizzare una separazione è un percorso lento, chi dice che si è ripreso in un batter d’occhi mente spudoratamente, o mentiva spudoratamente prima, quando era sposato.
Fate questo gioco con me.
Immaginate di investire tutte le energie e risorse vostre e del vostro partner nella costruzione di un grande edificio partendo dalle fondamenta per arrivare al più piccolo dettaglio estetico, tipo le fioriere sui terrazzi. Immaginate ora di traslocare tutta la vostra intera esistenza dentro a questo edificio, immaginate la gioia e soddisfazione nel vedere che le cose crescono e si arricchiscono: pensate di essere quasi arrivati alla meta, ma poi sul più bello, l’edificio comincia a scricchiolare, sempre di più, sempre di più, fino ad arrivare alla decisione finale: bisogna demolirlo. Delusione, dolore, rabbia. Questa può rappresentare la prima fase di una separazione qualsiasi. Poi arriva la seconda parte, quella in cui, secondo me, io e il mio ex marito siamo stati particolarmente bravi: la fase dello smantellamento vero e proprio di quella che è stata la nostra vita insieme.
Passata la fase del dolore acuto, quello ognuno deve gestirselo da solo per conto proprio, e lì sì che a tenerti in vita sono i sentimenti peggiori che un essere umano possa provare; ecco superata questa fase noi due siamo stati di una delicatezza incredibile. Potevamo far saltare per aria il nostro edificio con una esplosione pazzesca, seminando macerie dappertutto in un raggio di mille chilometri, invece no, con calma abbiamo messo tante micro cariche e insieme abbiamo fatto partire il detonatore, un’esplosione controllata, nessun ferito, nessun danno a terzi. Poi ognuno si è raccolto i suoi cocci ed è andato per la sua strada.
Certo che non è stata una cosa veloce, ci sono voluti nove mesi per elaborare la cosa, mesi in cui abbiamo mantenuto noi l’ordine degli psicologi di Genova: ognuno aveva il suo psicologo personale e poi la terapista di coppia, mesi in cui pensavamo di lavorare alla ricostruzione della nostra vita, mentre, del tutto inconsciamente ci stavamo mettendo in forze per la rottura definitiva. Per tornare alla metafora di cui sopra, stavamo cercando le forze, il coraggio e il tempismo per arrivare insieme a mettere le mani sul detonatore e a farlo saltare, anche questa volta insieme. Siamo stati bravissimi nella gestione dei tempi, questo intendo dire, abbiamo saputo aspettare che le cose si sedimentassero e noi avessimo il tempo di riacquisire la lucidità e serenità necessarie per affrontare tutti i passi che una separazione comporta, senza schiamazzi, urli e litigi che intanto non servono a niente.
L’immagine che mi è rimasta in mente siamo io e lui che entriamo sorridenti in tribunale con un avvocato solo per entrambi per firmare la separazione e altrettanto sorridenti usciamo, ma uno ha girato a destra e l’altro a sinistra. Fine.
E da lì è cominciata la ripresa, e secondo me non è nemmeno un caso se nel giro di un po’ di mesi ho incontrato Luca, se l’avessi incrociato prima probabilmente non lo avrei visto in quanto il mio orizzonte era ancora coperto dalle macerie residue, e in tutta onestà non avevo nemmeno voglia di imbastire un rapporto nuovo di zecca; mi sono presa il tempo necessario per fare piazza pulita e ricostruire me stessa, e solo allora ho riconosciuto il suo sguardo. Lo sguardo che amo così tanto.
Il resto è storia nota: il desiderio di non rinunciare alla riconquistata libertà, surclassato dalla voglia di stare con lui, di condividere con lui quanto più tempo e spazio mi fosse possibile. Lui che con calma si è conquistato tutta la mia fiducia sopportando quella che io ora ho capito essere la coda della tempesta: gli sbalzi d’umore, un pianto improvviso, quella sottile malinconia che talvolta mi si dipingeva in viso, e lui saldo come una roccia non si è mai spostato di un millimetro, sempre al mio fianco, anche quando starmi a fianco era tutt’altro che facile.
Quindi, per concludere, in risposta a tutti quelli che quando hanno saputo che mi risposavo hanno commentato più o meno così “Ma chi te lo fa fare?” “Una volta non ti è bastato?” “Bisogna proprio averne voglia”, rispondo che il destino per metà ti capita, ma l’altra metà te la crei, quindi questa seconda chance è stata sì una botta di fortuna in quanto tutto è accaduto in maniera improvvisa e inaspettata, ma anche forse il frutto del buon lavoro svolto prima. Ecco, forse me lo sono anche meritato un uomo come Luca, e in cuor mio sapevo che se avessi saputo aspettare, prima o poi sarebbe arrivato.
Ho avuto fiducia nella vita e sono stata ampiamente ripagata.

Magda & a perfect wedding dress

E dopo “Magda mi vuoi sposare” a Magda ora serve un vestito da sposa…
Deciso con Furio la data, il posto e il fatto che non sarà una cerimonia per pochi intimi, ma piuttosto una festa in stile “Re Sole” (io sono un Leone e Luca un Ariete: il sottotono non è roba per noi), bisognerà quindi abbigliarsi in maniera adeguata.
Tanto per mettere le cose in chiaro da subito lui mi comunica che intende andare da Giorgio (Armani) e di farsi fare un abito su misura. Ecco, rischiamo di creare il precedente: la sposa messa in ombra dal look perfetto dello sposo. Non sia mai, a costo di emulare Rossella O’ Hara che in periodo di ristrettezze tirò giù una tenda e si fece un abito da sogno, anche il mio sarà un vestito memorabile. Andrò da Le spose di Giò, la massima espressione dell’eleganza in fatto di spose.
Telefono e fisso un appuntamento, la gentilezza della centralinista è paragonabile a quella di un caimano: fredda e distaccata, e io che me la immaginavo come una sorta di arcangelo con i boccoli dorati che con gioia fissa gli appuntamenti per entrare nel paradiso delle future sposine – alle volte avere una fervida immaginazione può essere deleterio- niente di tutto questo, ma non ce la farai mai a smorzare il mio entusiasmo. Cattiva!
Finalmente arriva il tanto agognato giorno: formazione al completo mamma, amica fidata, ovviamente io, e fratello in veste di autista così siamo sicure che a Monza ci arriviamo e pure in orario.
La signora Tiziana si occuperà di me e la sua missione sarà di dare vita al mio vestito da sposa. Mi guarda e mi studia in maniera chirurgica, poi sparisce e quando torna ha appesi al braccio una serie di campioni. Tutti dentro al camerino, tira una specie di sipario che, quando avrò indossato il vestito, lei stessa aprirà con un gesto teatrale e io mi esporrò al giudizio del pubblico non pagante. Primo abito: bocciato. Secondo abito: bocciato. Terzo abito: rinviato a giudizio. La situazione si complica e a dar man forte alla progressiva complicanza ci si mette mia mamma che ripete a gran voce che “secondo lei era più appropriato un bel tailleur beige. Perché sa signora, è il secondo matrimonio, il suo”dove secondo matrimonio e il suo sono sottolineati dieci volte e evidenziati in giallo.
Decido di ignorare i suoi commenti e pure mio fratello che per puro e gratuito divertimento le fa credere (mia mamma è una credulona pazzesca) che gli abiti che sto provando costano migliaia e migliaia e migliaia di euro, fino ad arrivare ad un fantomatico parametro di seicento euro a strato, combinazione mentre ne sto provando uno che è composto da circa sette/otto veli. Mia madre ha un sussulto e sono certa che se potesse mi prenderebbe per un braccio e mi porterebbe fuori dal negozio di peso, leggo la preoccupazione più nera nel suo volto…
Con la signora Tiziana disegnamo da zero come sarà il mio vestito: colore rosa, tessuto chiffon di seta e raso di seta, gonna del modello 3, corpino del modello 1, dettagli del modello 2. Già perché il bello di farsi un vestito da Le spose di Giò è che te lo fanno su misura da zero, e puoi scegliere tutto a misura del tuo gusto e del tuo portafoglio, perché volendo puoi comprimere i costi in maniera notevole scegliendo ad esempio uno chiffon in sintetico -vero è che quando decidi di farti una Ferrari, per risparmiare, mica te la fai fare con le lattine riciclate, allo stesso modo un abito da sogno, in tessuto sintetico, non sarebbe poi così tanto da sogno, con il rischio poi di trasformarsi in incubo se per disgrazia sfiori una candela, però sapere che esiste la possibilità di farlo è già qualcosa.
E ci vediamo circa sei mesi dopo, l’ultimo dei quali passato dalla sottoscritta a macinare chilometri su chilometri e a morir di fame, già perché la signora Tiziana mi ha invitato a perdere qualche chilo (altrimenti, signorina, dovremo ricorrere ad uno stringivita per far cadere bene l’abito), e io orgogliosa, gliene porto ben sette in meno.
Stavolta arriviamo con circa un’ora di ritardo, sbagliando strada più volte e ad accompagnarmi c’è Carmen, la nostra wedding-planner e le sue due assistenti armate di telecamera e macchina fotografica. Le altre signorine in prova (questa parola: signorina, mi sembra veramente vetusta, ma qui se ne fa un gran uso, “signorina si spogli” “signorina si sieda” “signorina di qua” e “signorina di là”) ci guardano con sospetto perché quando entriamo in boutique veniamo annunciate così “È arrivata la signorina Manuela con la sua wedding planner e le sue assistenti, accompagnatele nel camerino pronto per le riprese come richiesto” in realtà noi avevamo richiesto solo di poter filmare la prova del vestito, mica per fare chissà che…e per una volta sono io la stronzettina con la borsa firmata che sarà bersaglio delle critiche acide che normalmente faccio io. Pazienza, me ne farò una ragione, chi di acidume ferisce, di acidume altrui perisce. Entriamo nel nostro camerino, sipario e voilá, eccolo il mio vestito, bello esattamente come speravo dal momento che in realtà è la prima volta che lo vedo. C’è giusto da apportare qualche piccola modifica (bisogna stringerlo: EVVVAIIIII, stringivita? Tiè, beccati questa, non avrai il mio corpo).
Scegliamo scarpe (WOWOWOWOWOW) e accessori e ci vediamo fra un mese per l’ultima prova e poi il ritiro.
Al ritiro siamo solo io e Carmen, l’abito è perfetto, ogni singolo centimetro di stoffa cade esattamente dove deve cadere; la signora Tiziana ora mi impartisce lezioni su come salire e scendere dalla macchina, su come sedermi a tavola e camminare con addosso quel vestito – perché signorina noi desideriamo che i nostri vestiti siano indossati con grazia in modo da arrivare perfetti a fine giornata- le faccio notare che su come indossare un abito da sposa, vanto una certa esperienza, e finalmente ci facciamo tutte una bella risata liberatoria. Comunque sia: Signorsì signora, indosserò l’abito con grazia e eleganza, secondo le sue aspettative!
Sono emozionata e felice, la signora Tiziana invece è un po’ preoccupata perché la macchina potrebbe non essere abbastanza grande per trasportare il vestito, da notare che si tratta di una Mercedes classe A con i sedili praticamente divelti per fare più spazio possibile, per prudenza è stata anche fasciata con un lenzuolo bianco, per scongiurare eventuali macchie dalla premurosa mamma di Carmen che ci ha messo a disposizione il mezzo.
Baci, abbracci e assegno firmato. L’abito è deposto come fosse una sindone in macchina e raggiungere casa.
Mi dispiace Luca mio ma la più bellissima quel giorno sarò io: avvisa Giorgio, dovrà darsi un sacco da fare.

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“Magda, mi vuoi sposare?”

Dimonds are a girls best friends…
Maggio il mese delle rose, il mese della festa della mamma e il mese dei matrimoni.
Ma facciamo qualche passo indietro, già perché prima di arrivare al fatidico sì, bisogna compiere un altro step assolutamente necessario. Infatti conditio sine qua non di un matrimonio è che qualcuno vi abbia chiesto di sposarlo. Altrimenti ciccia…
Come ve lo hanno chiesto? O in alternativa, come vorreste che ve lo chiedessero? Oppure basta che ve lo chiedano non vi importa nulla del come?
Personalmente sono una classicona e credo che niente possa competere con la sempreverde scatolina di velluto che al momento giusto il vostro fidanzato aprirà davanti ai vostri occhi e con fare un poco impacciato vi chiederà “mi vuoi sposare?” Aaaaahhhah (è un sospiro trasognato) che bel momento!
E non provate a fare le dure e pure e dire “oh no, a me non me ne frega niente” “uuuhhh, i diamanti che schifo, sai con quei soldi quanti viaggi ci facciamo?” ” a guarda, l’amore non si misura in carati”. Se fate vostra anche solo una di queste affermazioni (che comunque hanno tutte un innegabile fondo di verità) la spiegazione è semplice: o non ve lo hanno ancora regalato, o ve l’hanno regalato ma non era in nessun modo degno di nota.
È vero, l’amore non si misura in carati, ed è altrettanto vero che può rappresentare un certo investimento economico per il nostro fidanzato, ma se lui ha deciso di regalarcelo, perché noi dobbiamo auto-boicottarci?
Vi sia di monito l’esperienza di mia mamma.
Correva l’anno 1978, mio papà aveva deciso di regalare a mia mamma una riviera di brillanti senza nessuna ragione in particolare (mio papà era un romantico estemporaneo), beh aprite bene le orecchie: mia mamma ha detto “ma no, grazie, Angelo prende la Comunione, preferirei spendere quei soldi per sistemare casa” e ha barattato la riviera di brillanti con della tappezzeria. Epilogo: casa tappezzata in ogni dove (che francamente, se ne faceva pure a meno) della riviera si sono perse le tracce, da quel giorno credo che il regalo più romantico che mio padre abbia fatto a mia mamma sia una lavatrice e mia mamma si mangia le mani ancora adesso.
Mi sembra che il concetto sia chiaro.
Proseguiamo.
Ci sono poi altre ragazze che sostengono che regalare un brillante sia ormai terribilmente fuori moda, posto che certe cose non passano mai di moda, queste ragazze sono le stesse che poi sono diventate improvvisamente mancine proprio da quando l’obsoleto anello di fidanzamento gli è stato in seguito regalato: salutano con la sinistra, si sistemano i capelli con la sinistra, gesticolano solo con la sinistra, tutto con la sinistra. Per favore, se vi capita di incrociarne una, liberatela dall’incantesimo, fatele le congratulazioni e i complimenti per la bellezza dell’anello e come per magia ricomincerà a usare di nuovo anche la mano destra.
Quanto a quelle “a no guarda, a me non me ne frega niente”, io le catalogo nel fascicolo “la volpe e l’uva” perché puoi essere anche la più selvatica del Creato ma il momento in cui il tuo fidanzato ti prende la mano e ti mette l’anello al dito e ti chiede di sposarlo, è così intimo, romantico e delicato che il cuore fa tre o quattro capriole, batte due colpi a vuoto e ci mette un pochino di tempo a tornare ai valori normali. È un momento indimenticabile.
Io ho pianto come una fontana, avevo la febbre ed ero in pigiama, ma non importa, è stato tutto pefetto…a parte il fatto che Furio per rendere il tutto più gustoso ha voluto che aprissi da sola la cassaforte dove lo teneva nascosto, e io quella maledetta non riesco ad aprirla nemmeno quando scoppio di salute e sono tranquillissima…figuratevi quanto ci ho messo quel giorno, con la febbre a 38 e con le idee poco chiare circa quello che stava accadendo. Tre giri in senso orario, numero, due giri al contrario, numero, un giro orario e taaaac: no niente, riprova. Allora, dunque, tre giri in senso antiorario, no orario, ma forse prima due, centra il numero giusto altrimenti non prende la combinazione. Riprova. Ririprova. Riririprova. E lui che rideva garrulo. Ma a costo di smurarla con un flessibile o farla brillare con una piccola carica di esplosivo, ce l’ho fatta. Abbracci, baci e telefonata alla mamma.
E questa ve la devo raccontare bene perché merita.
“Pronto mamma? lo sai che Luca mi ha regalato l’anello di fidanzamento e mi ha chiesto di sposarlo?” Lei serafica “bene, e tu cosa gli hai risposto?” Io incredula “beh, che domande, gli ho risposto di sì” Lei allarmata “Manuela…di nuovo? Dobbiamo di nuovo organizzare tutto l’ambaradan?” E tanti ringraziamenti per l’incoraggiamento…
Abbiamo stappato una bottiglia di champagne che conservavamo apposta per un’occasione speciale e ci siamo fatti la pasta al pomodoro cenando a lume di candela, lui in tuta e io in pigiama malata. Unforgettable.
E ancora adesso ogni tanto mi incanto a guardarlo, ma non perché brilla ed è bello, ma perché rivivo quella giornata, quando di fatto non è cambiato niente, ma nulla è stato più come prima.

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Un giorno come un altro?

E sia, siamo nazional-popolari, facciamocene una ragione, anche noi che abbiamo la punta del naso all’insù, che vogliamo avere l’ultima parola, che ci piace andare perennemente controcorrente…. Ebbene, anche noi snobine per vocazione non solo guardiamo Festival di Sanremo, ma domani festeggeremo San Valentino.
Due al prezzo di uno.
Sul Festival non mi dilungo, in troppi lo hanno già fatto, la Littizzetto mi è simpatica, Fazio decisamente meno, la musica italiana è un po’ sempre la stessa, fiori nemmeno uno, però non so resistere alla tentazione di guardare e commentare, ovviamente tutti commenti al vetriolo, ma tant’è anche ora mentre scrivo, davanti a me il cantante dei Modà si voleva mettere la bottiglietta dell’acqua nei pantaloni ( meschino, vuol dire che c’è posto…).
E domani, bhe domani è il 14 febbraio, San Valentino. La festa degli innamorati. Forse non tutti sanno che San Valentino è nato in una famiglia patrizia, fu convertito al Cristianesimo e consacrato vescovo di Terni nel 197, a soli 21 anni.
Nell’anno 270 Valentino si trovava a Roma, giunto su invito dell’oratore greco e latino Cratone, per predicare il Vangelo e convertire i pagani.
Invitato dall’imperatore Claudio II il Gotico a sospendere la celebrazione religiosa e ad abiurare la propria fede, rifiutò di farlo, tentando anzi di convertire l’imperatore al Cristianesimo. Claudio II lo graziò dall’esecuzione capitale affidandolo a una nobile famiglia.

20130213-223730.jpgValentino venne arrestato una seconda volta sotto Aureliano, succeduto a Claudio II. L’impero proseguiva nelle sue persecuzioni contro i cristiani e, poiché la popolarità di Valentino stava crescendo, i soldati romani lo catturarono e lo portarono fuori città lungo la via Flaminia per flagellarlo, temendo che la popolazione potesse insorgere in sua difesa. Fu decapitato il 14 febbraio 273, a 97 anni, per mano del soldato romano Furius Placidus, agli ordini dell’imperatore Aureliano.
Sono molte le leggende entrate a far parte della cultura popolare, su episodi riguardanti la vita di san Valentino:
Una di esse narra che Valentino, graziato ed “affidato” ad una nobile famiglia, compì il miracolo di ridare la vista alla figlia cieca del suo “carceriere”: Valentino, quando stava per essere decapitato, teneramente legato alla giovane, la salutò con un messaggio d’addio che si chiudeva con le parole: «…dal tuo Valentino…».
Un’altra, di origine statunitense, narra come un giorno il vescovo, passeggiando, vide due giovani che stavano litigando ed andò loro incontro porgendo una rosa e invitandoli a tenerla unita nelle loro mani: i giovani si allontanarono riconciliati.Un’altra versione di questa storia narra che il santo sia riuscito ad ispirare amore ai due giovani facendo volare intorno a loro numerose coppie di piccioni che si scambiavano dolci gesti d’affetto; da questo episodio si crede possa derivare anche la diffusione dell’espressione piccioncini.
Secondo un altro racconto, Valentino, già vescovo di Terni, unì in matrimonio la giovane cristiana Serapia e il centurione romano Sabino: l’unione era ostacolata dai genitori di lei ma, vinta la resistenza di questi, si scoprì che la giovane era gravemente malata. Il centurione chiamò Valentino al capezzale della giovane morente e gli chiese di non essere mai più separato dall’amata: il santo vescovo lo battezzò e quindi lo unì in matrimonio a Serapia, dopo di che morirono entrambi.
E da qui la sua fama di protettore degli innamorati e di inguaribile romantico.

Questi i cenni biografici, se li conoscevate già, scusate la lungaggine.
La cosa che non capisco è l’approccio che si ha a questa festa. Sembra quasi che se domani osi festeggiare, vuol dire che sei un po’ sfigato. Vai di matasse di retorica “bisogna amarsi tutti i giorni, non solo oggi”, “San Valentino è la festa di ogni cretino che crede di essere amato e invece rimane fregato” e via di questo passo. Io penso che sia un po’ come la storia della volpe e l’uva.
Vado a spiegarmi. Se sei stato lasciato, se sei solo, se non ti vuole nessuno, se sprizzi antipatia da ogni poro, ecco, in questo caso è ovvio che San Valentino sia per te una festa detestabile, ed è pur sempre ovvio che tu consideri i romantici festaioli come un manipolo di anacronistici illusi. Le torte a forma di cuore patetiche, le rosse rosse hanno le spine e farsi i regali un’inutile perdita di tempo e denaro. Roba da Grinch, insomma.
Ma (adoro i ma, presagiscono sempre una svolta positiva e possibilista), se siete felicemente innamorati, se vi svegliate tutte le mattine ringraziando il Padreterno per avervi messo di fianco il vostro lui/lei, se avete raschiato il fondo del barile della solitudine e siete riusciti a risalire, se la vostra vita era già piena, ma ora trabocca da ogni parte, se amate e siete amati, da un giorno o da una vita, perché dico, perché dovete privarvi del piacere di ribadirlo una volta in più?
Come ha detto oggi il signore presso cui oggi ho preso il regalo per Furio: io e mia moglie siamo insieme da quarant’anni, litighiamo ogni giorno e ogni giorno facciamo pace, domani non faremo niente di speciale, ma io una rosa gliela porto lo stesso, e anche un po’ di gelato, che le piace tanto. La mia vita senza di lei, magari, sarebbe stata diversa, ma a me piace così, siamo innamorati, sa?
Io festeggerò alla grande, pacchetto completo: regalo, cenetta fuori, vestitino elegante e sguardi languidi. Con buona pace di chi reputa questa festa un’occasione consumistica e banale, non mi interessa.

20130213-223635.jpgLo amo da pazzi, siamo sposini novelli, se penso a lui mi sento come il pezzetto di puzzle quando trova il suo incastro perfetto.Quindi in alto i calici e abbassate le luci: San Valentino in corso.

Magda in love

Non è cambiato niente, eppure niente è più come prima. Vivevamo già come una coppia sposata a tutti gli effetti da anni ormai, ma dal 15 di dicembre qualcosa è cambiato.
Come posso spiegarvi: una consapevolezza nuova, come se la nostra pianta, già robusta, avesse ora una radice in più, e più profonda, in grado di andare a pescare acqua laddove le altre non riescono. Come se la nostra squadra, già vincente, fosse ora ammessa a partecipare alle Olimpiadi. Come se avessimo ora nelle mani l’ingrediente segreto per rendere sublime il nostro già perfetto piatto preferito.
Dirsi “ti amo” è bello, avere il coraggio, soprattutto in questi tempi così volubili, di dirsi “ti amo e ti voglio sposare”, bhe…è una frase che, a sentirsela dire, il cuore prima si gonfia di gioia, e poi fa un salto mortale. Viene richiesto di rispondere con un “sì” o con un “no”, la risposta più corretta, forse, dovrebbe essere “perché”.
Perché mi vuoi sposare, nonostante tu conosca a menadito tutti i miei difetti.
Perché mi vuoi sposare nonostante tu sappia che verranno giorni in cui maledirai questo giorno.
Perché mi vuoi sposare nonostante io stessa qualche volta non mi sopporti.
Perché mi vuoi sposare nonostante entrambi sappiamo che verranno giorni meno romantici di questo, giorni in cui ci sarà da rimboccarsi le maniche e lavorare sodo per portare la nostra barca in un porto sicuro, tu al timone e io alle vele.
Te lo spiego io perché: perché abbiamo scelto laddove esistevano un “tu” ed “io” di sostituirli con un noi, e perché se mai un giorno io non dovessi avere voce, voglio che sia tu e solo tu a parlare per me. Perché l’espressione “per sempre” a noi non fa paura, e chiamarti “mio marito” e non “il mio compagno”, “il mio uomo”, “il mio fidanzato” mi fa stare bene e voglio che tutti lo sappiano.
Perché sposarsi, piaccia o no, è un punto di partenza, non di arrivo e, finché le cose non cambieranno, bisognerà accettarlo, e un conto è subirlo, un altro è esserne consapevolmente felici.
Ti sposo perché voglio essere legata a te con un doppio filo: la scelta e il vincolo. La scelta maturata dal cuore vivendoti accanto; il vincolo, scelto razionalmente, di avere obblighi e diritti ben precisi nei tuoi confronti e di volermene fare carico.
Ecco perché ho accettato di sposarti, e ancora adesso, quando distrattamente l’occhio mi cade sulla mano sinistra, mi stupisco della presenza di quel cerchietto luccicante, e l’assoluta consapevolezza del passo fatto insieme è la perfetta discriminante fra guardare un’onda gigantesca frangersi sulla riva, oppure vedere quella stessa onda arrivare, prendere una tavola e cavalcarla, insieme: O si tocca riva in due, o si finisce fra i suoi flutti, ma sempre e comunque in due.

Ci sposiamo

Ci sposiamo! Ebbene sì, la decisione è presa. Non saprei dire quando lo abbiamo deciso, non è una cosa che si decide a tavolino. È il mutamento di uno stato d’animo, quando senza un motivo preciso, tutto quello che prima era “mio” “tuo” “suo”, perde tutta la sua connotazione individualista per diventare “nostro”. Per me Manuela, posso dire che ho oltrepassato il confine, quando ho cominciato a pensare a “casa nostra” e non più “la-casa-di-Luca-dove-io-vivo”; Luca non saprei dire, bisognerebbe chiederglielo, anzi, nodo al fazzoletto, che così poi ci ricordiamo di chiederglielo.
Se vi dicessimo che per festeggiare l’evento volevamo fare una cosa semplice, ci conoscete abbastanza per non crederci, quindi via ai preparativi, e sull’onda dell’entusiasmo, ora ci troviamo a fare i conti con, in ordine sparso:
Centoventi invitati e cento sedie
Spetalate, scandelate, sbocciolate, sbicchierate che al confronto Re Sole era un tipo sobrio
Un artigiano che passa le notti sulle nostre bomboniere
Invitati in ansia da “dress code”
Fiori non ancora scelti, ma sicuramente la nostra scelta cadrà su qualcosa di rarissimo che cresce solo in qualche sperduto angolo di mondo
Musicisti degni della Royal Albert Hall
La casellina “imprevisti” che potrebbe mettersi a lampeggiare da un momento all’altro
Insomma, a farla breve, una grande festa. Molti potranno accusarci di “grandeur”, non importa; anzi, trovo bello che in un mondo ogni giorno sempre più brutto, ci siano ancora giovani(!) che hanno ancora la voglia e l’entusiasmo di festeggiare un evento così importante. Per un giorno, solo per un giorno, proviamo a dimenticarci parole come crisi, spread, politica italiana e affini, non cambierà il mondo ma, almeno, noi ci proviamo.
Tornando a bomba, si parlava di preparativi… Resta solo da decidere se i clown e i saltimbanchi li facciamo entrare in scena prima o dopo del taglio della torta: durante no, si accavallerebbero ai fuochi d’artificio!