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poche storie ragazze, qui gli anni passano che è un piacere, noi dentro ci sentiamo delle sgambettanti teen-ager, ma le cose non stanno esattamente così. Stiamo volentieri in compagnia delle ragazze di vent’anni  delle quali ci sentiamo a pieno titolo loro coetanee ma, documenti alla mano, tra noi e loro ci passa un libro di storia: la nostra.

Il mio spartiacque generazionale è da sempre Il Mondiale, QUEL mondiale che non ha bisogno di essere definito, perchè per noi che c’eravamo, sarà per sempre il Mondiale di Pertini che esulta, della corsa a perdifiato di Tardelli, di quell’Italia operaia che faceva la villeggiatura in montagna o al mare con la macchina carica, con il portapacchi sul tetto e i figli incastrati come pezzi del Tetris sul sedile posteriore, con il manico della caffettiera che, se ti giravi di scatto, ti si conficcava nella cornea. Erano gli anni in cui si affittavano gli appartamenti, mica si andava in albergo, che era una roba da ricchi. Correva l’anno 1982, io stavo per compiere 10 anni, ero magra come un grillo e mia madre per l’occasione della finale mi aveva vestito da bandiera italiana: bermuda rossi e maglietta verde e bianca, a concludere il quadro codini talmente tirati sulla testa che avevo praticamente gli occhi da cinese. Me lo ricordo benissimo il corteo in montagna per festeggiare la vittoria, ed è sempre una grande gioia farlo, solo che accade sempre più spesso che intorno a me, invece che complici occhi lucidi, ci sono occhioni sgranati come se io stessi raccontando una favola bellissima: il mio interlocutore non era ancora nato, e mi sta guardando come una sorta di oracolo, come se mi volesse dire “ma allora tu c’eri, tu l’hai vissuto, tu lo puoi raccontare”. Cazzo se io c’ero e tu sei una mia coetanea, te lo devi ricordare pure tu, e invece no, la fanciulla davanti a me, a conti fatti potrebbe essere mia figlia, non la mia amichetta delle elementari.

Vi vestite in maniera quasi simile, magari frequentate pure la stessa palestra, vi scambiate un sacco di messaggi al giorno, vi lega un leale sentimento di amicizia, vi volete bene davvero come se foste cresciute insieme, ma non è così. Non è proprio così, vi separano un paio di decenni di vita, infatti lei non ha ancora ingrandito in maniera esponenziale il carattere del telefono per leggere meglio i messaggi Whatsapp, lei non si deve far leggere dagli altri il bugiardino dei medicinali, e per farsi le sopracciglia con le pinzette, non deve usare la lente a 10000 ingrandimenti, e non va nemmeno in panico se al ristorante non trova nella borsa gli occhiali per leggere il menù. Lei ci vede benissimo, mentre tu sei diventata presbite: capita quando hai scollinato i 40 e passa. Basta non farne un dramma, e acquistare una montatura fichissima.

Uscite insieme una sera a cena, tirate tardi e ci scappa pure un bicchiere di troppo… la mattina dopo lei si alzerà dal letto un po’ stropicciata: si farà una doccia e uscirà di casa fresca come una rosa di maggio. Tu ti alzerai dal letto conciata come se ti avessero pestato a sangue, gonfia come una zampogna, sfatta e distrutta con un unico pensiero fisso: arrivare a sera per andare a dormire alle 20, anche senza cenare, fa lo stesso, l’importante è dare tregua al cuore che sentirai sul punto di cedere più volte durante la giornata. Cena durante la quale lei ti racconterà mirabilie e numeri funambolici, amplessi consumati fugacemente e in preda a raptus incontrollabili; e certo, i suoi ormoni sono ancora scoppiettanti come chicchi di mais dentro ad una padella sul fuoco, i tuoi invece somigliano a quei gatti pigri che passano l’inverno sul calorifero, che per svegliarli e convincerli a muoversi li devi ridurre praticamente alla fame nera, e in ogni caso lo fanno con una punta di svogliatezza, una sorta di “ma sì, ma noi abbiamo già dato, lasciateci godere la pensione”. E mentre tu le provi tutte per ritardare la menopausa, lei è più fertile della Pianura Padana e tu invece sei la versione umana del deserto dei Gobi, il nulla eterno, e cominci a a fare i conti con le prime scalmane, caldane, cioccamenti vari, che quando ce li aveva tua madre ridevi divertita, ma la ruota gira bellezza…e ora tocca a te. Merda!! e apri le finestre che fa caldo… anche se è dicembre.

La invidi un pochino, ammettiamolo. Ma quell’invidia buona che non ha il retrogusto della cattiveria…chiunque invidierebbe (sempre con affetto, sia inteso) un metabolismo saldamente schierato al tuo fianco, talmente arzillo e pimpante che, per dimagrire basta solo pensarci: et voilà, i chili sono già scomparsi autonomamente e senza sforzo, mentre noi per riuscire a perdere un solo misero chilo dobbiamo nutrirci con fili d’erba e aria fino a nuovi ordini e i chili se ne restano lì saldamente ancorati al tuo girovita, come se niente fosse accaduto. Lei fa tre addominali di numero, ed eccola lì, tonica e ganza fa capolino la tartaruga, noi ne facciamo millemila fantastilioni e i nostri addominali giacciono molli e sonnacchiosi al calduccio, sotto quel rotolino che fino a poco tempo fa non avevamo, ma che ora rivendica il suo spazio.

Ridete, ridete tanto insieme, e quando lo fate gli anni che vi separano si annullano come per magia, questa è la cosa meravigliosa. E pazienza se l’ovale del viso ha perso un poco della sua tonicità, e le gambe non sono più quelle della leggiadra gazzella che siete state. E’ andata così, ogni ruga, ogni segno che il tempo ha lasciato sul nostro viso, ci ha reso quelle che siamo, pregi e difetti, niente escluso. Ma se il tempo che passa si può prendere un po’ della nostra bellezza, nulla può sulla nostra anima, sui nostri sorrisi, sulla nostra voglia di vivere, sul nostro essere felici, a venti, a trenta, a quaranta e a tutti i decenni a venire che avremo il privilegio di vivere.

Oggi è il 364 esimo giorno del mio 45 esimo anno di vita. Da domani saranno 46… auguri e fino qui possiamo dire “tutto bene”.

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No!No, e poi ancora no.

Ce lo hanno inculcato nella testa sin da piccole, prima ancora di imparare come si dice “Sì”, ci hanno insegnato che è  brutto dire di “No”, che le brave bambine sono servizievoli, gentili e sempre disponibili a dare una mano. Se dicevi un “No” per ribadire che non avevi nessuna voglia di fare una determianta cosa, come minimo ti beccavi un rimprovero “non ti rivolgi cosi a tua madre”, transitando per castighi più o meno severi, fino ad arrivare al massimo della pena: il temutissimo manrovescio con la mano sinistra, armata di fede e anello di fidanzamento che, ai tempi in cui tuo padre lo regalò a tua madre, con uno stipendio eri ancora mezzo ricco, e allora li regalavano belli grossi: praticamente un tirapugni legalizzato e scintillante.

“Tu di no a me, a TUA MADRE non lo dici”, chissà perchè poi le madri quando sono incazzate parlano in terza persona, e poi “sbammm” partiva il manrovescio assassino, con sfregio da diamante taglio brillante, carati 0.50, colore White VVSI, sulla guancia sinistra. A seguire pianto a dirotto dell’infante e senso di colpa misto terrore di aver sfregiato per sempre l’erede, della madre. Tutto finisce a tarallucci e vino, o meglio, vista la tenera età di uno dei protagonisti, a latte e biscotti. Tranne che a casa mia, dove io caparbia come un mulo, anche se avevo forse cinque anni, guardavo mia madre e, con aria di sfida, così la apostrofavo “non mi hai fatto niente”, detto fatto, in tempo zero secondi arrivava anche il dritto accompagnato dalla minaccia “come ti ho fatto io ti disfo, ne vuoi un altro?”. Devo dare atto a mia madre che in quanto a metodi educativi, non si faceva intimorire da nessuno, i miei capricci che con tutto il mondo hanno sempre funzionato – ero piuttosto brava a improvvisare scene madri di un certo livello artistico, alcune decisamente drammatiche – con mia madre non hanno mai sortito alcun effetto. Quindi con entrambe le guance timbrate dalle affusolate dita di mia madre, mi ritiravo nella mia stanza, rea di aver osato pronunciare la fatidica parola “No”. Il senso di colpa germina qui.

Man mano che cresci e affini  carattere e personalità, i nemici dei tuoi sacrosanti no, affileranno le loro armi, farcendo le loro richieste di complimenti, leccate di culo, fino i più biechi ricatti morali “…se tu mi volessi bene lo faresti”, “se tu ci tenessi a me non ti faresti pregare”, “amore, ma lo fai per me, per tua madre/padre/fratello/fidanzato/amante/marito”. Bisognerebbe essere proprio una brutta persona per non ascoltare una così gentile preghiera, e allora anche se stavi facendo per te la cosa più importante del mondo, anche se piuttosto che fare ciò che ti è stato richiesto preferiresti sfidare Pupo a un giro di roulette russa, puntandoti una rivoltella alla coscia, mestamente cedi e acconsenti. Ingoi il tuo no e fai quanto ti è stato richiesto ma sei scoglionata come un orso bruno svegliato in anticipo dal letargo, fai ciò che devi controvoglia, la cosa ti viene fatta notare e, come l’orso bruno reagisci pure, cominciando a lanciare strali e invettive. Scatenare il litigio del secolo, alle volte, è veramente un attimo.

No, no e poi ancora no. Io ci ho impiegato un discreto numero di sedute dallo psicoterapeuta, ma alla fine ci sono riuscita – ok: quasi riuscita – e quando dico un no, i miei sensi di colpa sembrano non sentirlo, perché non registro nessuna reazione. E quelle volte in cui invece si svegliano e cominciano a corrergli dietro, il mio no riesce a correre più veloce. Ma che fatica, Dio santissimo. Ma è possibile vivere così? Cosa c’è di sbagliato nel diritto di dire di no? E’ un mistero, e vi dirò di più: è un mistero tutto al femminile. Già perché non vedrete mai nessun uomo trafiggersi con le mille spade del senso di colpa; il loro equilibrio – perfetto, tra l’altro – si basa su un sistema elementare di domanda-risposta.

“Amore mio., visto che poi scendi in centro per andare in palestra, passeresti a ritirare  gli abiti pronti in tintoria?”

“No” risponderanno i più sintetici

“No, non ne ho voglia”  diranno i più generosi nel dare spiegazioni

e tu rimani lì, indecisa se arrabbiarti furiosamente o se prendere la macchina e andare tu in lavanderia, e mentre decidi il da farsi, ti metti le scarpe e cerchi le chiavi.

Fine della storia.

E vorresti arrabbiarti e infuriarti e rinfacciargli tutto quello che ti viene in mente, ma non ci riesci, perché alla fine, lui non ti ha fatto nessun torto, ha solo risposto alla domanda che tu gli hai fatto, con la risposta che per lui era la più giusta. Non ha sbagliato niente, che ci piaccia o no. Quelle di noi un po’ più ardimentose che chiederanno spiegazioni in merito, riceveranno la più disarmante delle risposte:

“ma tu non mi hai detto che era urgente, altrimenti ovvio che lo avrei fatto”

e tu resti un’altra volta con il cerino in mano. Anche stavolta ha ragione lui, e stai attenta che ti bruci pure le dita con il cerino.

Ma perchè per noi donne è così difficile imparare a dire di no? Anche quando abbiamo giornate debordanti, fitte di impegni e cose da sbrigare, se qualcuno ci chiede qualcosa, a costo di stramazzare al suolo, di no cerchiamo di non dirlo, anche se ci trilla l’occhio dallo stress. E poi, oltre al danno, intaschiamo pure la beffa, perché quando arriveremo a fine giornata, stanche, sfatte e sull’orlo della crisi di pianto, lui ci guarderà intenerito e:

“ma se ti veniva fuori un casino, bastava dire di no”

e rieccoci un’altra volta con il cerino in mano, le dita bruciacchiate, sopraffatte e sconfitte fa noi stesse. Ve lo dico io quale è la soluzione: addestrarle sin da piccole a disinnescare la bomba del senso di colpa, perché gliene lanceranno tante fra i piedi quando saranno grandi.

Si può dire di no e il mondo non implode su se stesso. Si può non aver voglia di fare una determinata cosa, si può non avere il tempo di farla, si può essere impegnati a fare altro, si può scegliere dei essere pigri ogni tanto, perché se dire di sì è un gesto di gentilezza, dire di no non vuol dire per forza essere maleducati.

E poi per un no ricevuto non è mai morto nessuno, quindi stiamo serene e facciamoci coraggio che siamo ancora in tempo per imparare a vivere come sarebbe giusto vivere: bene.

A’ la guerre comme à a la guerre (tutto al femminile però)

E voi vi siete mai chiesti se un giorno tutti, ma proprio tutti, ci svegliassimo e fossimo le persone più sincere della Terra? Cosa accadrebbe se trovassimo il coraggio e la spontaneità di dire a tutti i nostri conoscenti quello che realmente pensiamo di loro e quello che sappiamo che altri pensano sempre di loro? Se tutti gli omissis, i non detti, i sottintesi, venissero magicamente a galla? Si salvi chi può…

Perché mi è venuto questo pensiero bislacco? Semplicemente perché stamattina, in piscina, mentre mi cambiavo per tornarmene a casa, ho assistito al più feroce degli attacchi verbali, un bel due contro una, senza risparmiare nemmeno un affondo; peccato solo che la “una”, ossia la destinataria di tutto quel livore, non c’era.

Era una sfuriata di questo tipo.

“Ma io la prossima volta glielo dico e la sistemo”

L’amica solidale “e allora io le dico anche che….”

“ahh, sì sì, quando la becco, allora io le dico questo, quello e quest’altro….”

L’amica sempre più solidale “perché poi lo deve capire che deve piantarla”

Fino ad arrivare alla lapidaria conclusione “quando non c’è si sta meglio”

Il chi, il cosa e il quando e soprattutto il perché, non ci è stato concesso saperlo, e soprattutto la destinataria delle invettive non lo saprà mai perché, le due pasionarie che si sono incendiate come la santa Barbara di una base militare appena bombardata, si guarderanno bene dal metterla al corrente circa l’ira funesta che il suo comportamento ha il potere di scatenare in loro.

Misteri dell’universo femminile. Potremmo chiamarle “le battaglie sottintese”, situazioni in cui io so benissimo il motivo per cui ce l’ho con te ma mi guardo bene dal mettertene al corrente,  altrimenti finisce la guerriglia e ci toccherebbe comportarci da adulte affrontando e risolvendo la cosa. Impossibile. In questo modo salterebbe tutta la rete fittissima e indistricabile di alleanze, comunelle, campanilismi, schieramenti occulti, un disastro incalcolabile, roba da far esplodere tutta la rete telefonica e il traffico dati dell’intero pianeta. Meglio di no.

Prima chiediamo l’amicizia, poi la togliamo, e poi la richiediamo e poi siamo come sorelle, poi ci confidiamo anche quante volte respiriamo, poi il meccanismo dell’amore si inceppa e, da “migliore delle migliori delle più magiche delle ma come ho fatto prima senza di te di tutte le amiche che potevo desiderare la mia preferita sei tu” si passa a essere di colpo “public enemy number one”. E nel dubbio, come prima controffensiva, ti blocco il contatto su Facebook. Non ti sfiora nemmeno il sospetto che ti stai comportando da matta bipolare, nemmeno quando racconti a  tuo marito, con una snervante dovizia di particolari, incisi, apri parentesi che poi regolarmente non chiudi, facendo divagazioni funamboliche che a lui esce il sangue dal naso dallo sforzo che fa a seguire il tuo farneticante racconto, e quando arrivi in fondo, con la gola secca e gli occhi fuori dalle orbite, pronta a incassare il tuo legittimo “hai ragione tesoro, la dobbiamo uccidere”, lui ti guarda incredulo e ti dice candidamente “e quindi? dove è il problema? vai a prendere un caffè con lei e chiaritevi”….

E che cavolo: noooo!! E’ evidente che tuo marito è un tanto pessimo quanto inutile alleato in questa lotta fratricida, gli metti il telecomando in una mano e una birra nell’altra e lo lasci lì, lui e i suoi metodi saggi. E’ arrivato il Mahatma Gandhi de noartri, ora è il momento di combattere, non di ragionare e risolvere. Chiami, anzi no, scrivi un messaggio nel gruppo whatsapp delle amiche carbonare, che è un po’ come lanciare una molotov durante una manifestazione pacifica e tranquilla: è subito guerriglia urbana. Ora sì che c’è soddisfazione. Improvvisamente parte una pioggia di aneddoti, manco a dirlo, tutti pessimi e negativi, che hanno come protagonista la super cattiva da combattere.

“eh, ma io lo dicevo che non c’era da fidasi”

“ma vi ho mai raccontato di quella volta in cui…”

“e sì..e già…e quella volta che ha detto, e quella volta che ha pensato, per non parlare di quella volta che ha respirato…”

E alla fine arriva l’insindacabile sentenza: “una stronza con la patente”. Salvo poi farle dei grandi, grandissimi sorrisi quando la stronza con la patente, ignara di tutto il livore della circonda, e soprattutto ignara del perché di tanto odio, si comporta con tutta la setta come se niente fosse. Come ci si comporterebbe fra sani di mente insomma. Ma la parte divertente arriva quando la stronza con la patente, (che chiameremo d’ora in poi SCP per comodità d’uso – n.d.r), subodorando le sordide trame ordite alle sue spalle, chiederà se c’è qualcosa che non va…. Ovviamente va tutto bene, un coro unisono che nemmeno la cara Mariele Ventre è mai riuscita a farlo intonare allo Zecchino d’oro di tutti i tempi “ma, nooo, ma cosa dici, va tutto benissimo tesoro”.

Nel frattempo, nel gruppo whatsapp carbonaro…

“Però sia chiaro, io sono stata zitta, però ce l’avevo sulla punta della lingua quello che penso di lei”

“Guarda, io mio sono masticata la lingua mille volte”

“Ma tanto io prima o poi glielo dico in faccia”

“Ma chi si crede di essere, viene a chiedere se c’è qualcosa che non va….che coraggio”

“E’ proprio senza vergogna”

“Certo che se gliele dobbiamo anche spiegare le cose che fa”

“E’ una stronza falsa”

“Ma sì, lei non è come noi che le cose ce le diciamo in faccia senza paura”

“Noi siamo oneste e sincere, Noi”

“Il punto è che a me quando una persona mi delude, non ho il coraggio di dirglielo in faccia da quanto è grande il dispiacere, e lei, mi ha proprio deluso. Però alla prima occasione la metto alle strette e vedrà contro chi si è messa”

…seeeee lallero…

 

 

La gattara delle anime

La conoscevano un po’ tutti in città, percorrere una strada a piedi in sua compagnia, voleva dire mettersi in animo di fermarsi ogni dieci metri, per un saluto, un sorriso, un rapido scambio di battute, e lei sembrava avere per ognuna di queste anime la parola giusta, o il sorriso o uno sguardo, niente di stereotipato, odiava i saluti in ciclostile “non arrivano al cuore”, diceva. Aveva la capacità di ricordare per ognuno un dettaglio, o un particolare che li faceva sentire unici e speciali.

Accadeva così, semplicemente. Lei viveva lasciando socchiusa la porta della sua vita, e se qualcuno si avvicinava per curiosare un po’ lei, invece che allontanarli, li invitava ad entrare a fare due chiacchiere, a bere un caffè, a mettersi comodi dentro quella vita che lei non aveva paura di condividere. Era come ricevere un abbraccio caldo quando non te lo aspetti.

Per non parlare del suo telefono: era un incessante “tin tin” di notifiche e messaggi. Le persone si fidavano e si confidavano con lei, perché non giudicava: non sentenziava mai. Aveva opinioni e senso critico, questo sì, ma non era mossa da cattiveria, quindi i suoi pareri non scivolavano mai nel giudizio perentorio. E questo piaceva, era rassicurante. Poi per l’amor di Dio, anche a lei piaceva ogni tanto spettegolare un po’, ma chi la conosceva bene sapeva che i segreti veri, quelli raccontati con il cuore in mano, erano al sicuro: quelli sarebbero andati nella tomba con lei. Poveraccia, aveva provato sulla sua pelle, anni addietro, quanto possono fare male le chiacchiere cattive, soprattutto quando non ne sei consapevole, quando ti arrivano come una coltellata e non ti puoi difendere, e da quel momento aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai colpito nessuno alle spalle. Mai.

Era magari poco diplomatica, alle volte eccessivamente diretta e questo sulla distanza poteva crearle qualche problema, perché, proprio come i gatti, le persone, finché dai loro carezze e coccole, se ne stanno lì, fermi  acciambellati a godere di quel piacere tiepido, salvo poi girarsi e graffiare quando la situazione si fa un po’ scomoda, o sono semplicemente stufi di quel contesto. Ma anche questo era un rischio che aveva messo in conto, cioè, le prime volte che era successo c’era rimasta piuttosto male, quella graffiata a tradimento le aveva fatto parecchio male, ma poi, piano piano, aveva imparato a non farci caso più di tanto: un cerotto e via.

E’ per tutte queste ragioni che quando il suo amico, parlando davanti ad una birra, la soprannominò “gattara delle anime”, lei trovò questa definizione pura poesia. Perché era assolutamente vera, solo che non ci aveva mai riflettuto prima. Le persone sono come i gatti, entrano ed escono dalla casa che li ospita, senza promettere niente, ti lasciano godere della loro compagnia per il tempo che loro decidono di regalarti, facendo fusa e lasciando che tu ti prenda cura di loro, salvo poi uscirne e sparire sui tetti, senza preavviso, perché è nella loro natura, che non è per forza cattiva. i gatti sono così, indipendenti per indole e natura.

La gattara porta cibo nelle colonie, ma non saprà se troverà sempre gli stessi o qualche nuovo arrivato, si ferma a fare qualche carezza e poi va via, felice di quel momento che le ha scaldato il cuore. Tornerà qualche giorno dopo, potrebbe trovare tutti i suoi amici a quattro zampe, oppure nemmeno uno; non importa, lei lascerà comunque il cibo per tutti, e poi chissà chi lo mangerà.

E lei faceva proprio così, ma al posto dei gatti, c’erano le anime che incrociava sul suo cammino, alcune poi si fermavano per restare con lei, altre invece altro non erano che meteore che erano temporaneamente entrate nel suo cielo, e tanto velocemente erano entrate, altrettanto velocemente ne erano uscite.

Ma lei non aveva intenzione di cambiare, in barba ai graffi, in barba agli addii inaspettati, in barba agli abbandoni e ai tradimenti, lei aveva deciso che avrebbe vissuto così, con la porta della sua vita appena accostata, pronta ad accogliere quell’anima che, bisognosa di un abbraccio, di una parola gentile, o semplicemente qualcuno che avesse voglia di ascoltarla mentre si sfogava, decideva di entrare. Anche senza bussare.

 

Elogio di una bionda spumeggiante

Io l’ho sempre sostenuto: davanti ad un boccale da litro pieno di fresca birra, puoi raggiungere l’illuminazione, trovare chiavi di lettura per situazioni e persone, puoi elaborare concetti di una finezza inarrivabile, e questo stato di grazia, piaccia o no, non lo puoi raggiungere davanti ad un bicchiere d’acqua, o peggio ancora, davanti ad una centrifuga. Col cavolo: davanti ad una centrifuga puoi al limite compilare la lista della spesa o, se proprio ti senti ardito e ardimentoso, fare un rapido bilancio della tua vita, che sarà inevitabilmente in perdita, mentre se lo stesso bilancio lo avessi fatto davanti ad una bella media gelata, sarebbe stato un trionfo, un tripudio di successi e soddisfazioni.

E’ da qui nasce il primo postulato per questo 2018: birra:centrifugato=gioia di vivere:tentato suicidio (si legge così: birra sta a centrifugato, come la gioia di vivere sta al tentato suicidio). Rifletteteci e poi sappiatemi dire, ma io sono sicura che non avete mai conosciuto un astemio completamente felice, forse giusto qualche mamma in dolce attesa che per il bene della creatura si è sacrificata, salvo poi lanciarsi avidamente sul boccale appena l’erede ha spalancato i suoi occhi sul mondo. E poi si sa: la birra fa latte, quindi va benissimo così.

Baudelaire diceva: chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere. Dio solo sa quanto Baudelaire avesse ragione. Provate a immaginare la situazione: tavolata di amici, i giri di bevute che neanche la goistrina dei cavalli al Luna park riesce a tenere il passo, risate fragorose e poi quel bel chiacchiericcio divertito, voci che si sovrappongono, si accavallano, rumori e parole che si armonizzano in un crescendo kafkiano,  e poi laggiù nell’angolo in silenzio, eccolo: l’astemio. Lui poverino ci prova a tenere il passo, ma non ce la fa, il suo analcolico alla frutta non ha abbastanza combustibile per accendere la sua favella, il suo incedere è lento in mezzo ad un gruppo di fuoriclasse. In una moderna versione del Cenacolo, diciamo Cenacolo 2.0, l’astemio sarebbe Giuda, e non serve aggiungere altro. Se te con i tuoi amici al tavolo foste un’orchestra sinfonica, l’astemio sarebbe lo strumento fuori tempo e pure un po’ stonato. Così come se tutti insieme foste un outfit perfetto, l’astemio sarebbe il pezzo che madame Chanel invitava a togliere prima di uscire per essere veramente eleganti.

E’ davanti ad un boccale di birra che ho visto nascere amori, davanti ad una mezza minerale cosa vuoi che nasca? Un cespo di lattuga forse, o un gambo di sedano, una carota, se proprio siamo fortunati… ma se pensate di accendere il fuoco della passione con un succo d’ananas, auguri, cari miei, il prossimo passo è il brodo di pollo tiepido, che vi sta aspettando proprio dietro l’angolo.

Con questo non voglio certo dirvi di ubriacarvi come asini, per l’amor di Dio no, dai, però saper bere bene, secondo me, è sicuramente indice di sapersi godere la vita nel modo giusto: non può esistere una cena goduriosa se sulla tavola imbandita si porta solo la bottiglia dell’acqua, e a voi che mangiate la pizza annegandola senza pietà in un fiume di acqua, dovrebbero farvela pagare il doppio. Ci sarà pure un perché se si dice che fare un brindisi con l’acqua porta sfortuna, vi pare? E poi vuoi mettere il gioioso “cin cin” dei calici che si toccano durante un brindisi ad una festa? ma anche il solido “clanck” che fanno due boccali è altrettanto bello, sa di allegria, di amicizia, di potersi finalmente lasciare andare dopo una giornata di lavoro.

E l’astemio è sempre là, nel suo angolo, nel suo cono d’ombra, come una valigia dimenticata a terra mentre l’aereo decolla, è il fuoco d’artificio lasciato fuori all’umido e che quindi farà cilecca spegnendosi in un sordo “Poff”, mentre tutt’intorno è un tripudio di colori, luci e suoni. L’astemio è colui che ha sempre mangiato lo stesso gusto di gelato, ignorando che ce ne sono mille altri buonissimi. L’astemio ha bisogno di essere liberato e redento.

Quindi fra i buoni propositi per questo nuovo anno ci mettiamo questo: libera un astemio, corri a offrirgli una birra.

Alla vostra salute! Buon anno da Magda.

“Magda ha abbandonato il gruppo”

“Sono fuori dal tunnel, di questo gran sbattimento, sono fuori dal tunnel del messaggiamento!”

Dopo anni di dipendenza da chat, chattine, gruppi e gruppetti WhatsApp, sono ufficialmente guarita: Magda non ha più nessuna chat attiva. Come quando si smette di fumare, prima di cominciare a godere dei benefici bisogna fare i conti con gli strascichi della dipendenza; subito ci si sente abbandonati da tutti, come se tutti gli amici fossero evaporati improvvisamente e nessuno volesse più comunicare con te. Il telefono improvvisamente muto ha un’aria triste e dimessa, ma poi….

…ma poi…come è bello chiacchierare con le persone senza venire costantemente distratta dal “tin tin” di avviso che è arrivato un messaggio. Il primo “tin tin” è come la prima goccia di pioggia sul davanzale: ti avvisa che sta per arrivare un acquazzone, infatti dopo  dieci minuti hai esattamente “85 messaggi non letti” e nonostante il corso di lettura veloce superato più che brillantemente, tenere il filo di una conversazione sconclusionata dove ogni partecipante porta avanti il suo discorso senza capire chi gli sta rispondendo, in che termini e perché, non è affatto facile.

Apparecchi tavola per la cena: te, tuo marito e il telefono, a destra di fianco al tovagliolo, e siccome ti senti una stronza (perché lo sei), ostenti un interesse smodato per quello che ti sta dicendo tuo marito, ma in realtà l’acqua che  vibra nel bicchiere, perché il cellulare vibra appoggiato sul tavolo, ti distrae prepotentemente, piovono messaggi, chissà cosa è accaduto, mamma che curiosità, e così appena lui abbassa lo sguardo per infiocinare la bistecca, furtivamente butti l’occhio, salvo poi trasalire con esagerato spavento quando lui ti chiede per la terza volta  (delle prime due non te ne sei nemmeno accorta) la tua opinione circa quello di cui stavate parlando, e ti senti esattamente come quando a scuola la professoressa stronza interrogava a sorpresa e tu eri completamente impreparata e priva di giustificazioni, in una parola: spacciata.

Guardare un film per intero è diventato impossibile, sul divano te, lui (il telefono) e il terzo incomodo: tuo marito. Già perché stasera c’è quella serie su Sky, sì sì, proprio quella, quella che guardano tutti, e così ad ogni scena clou, partono in real time i commenti, quindi con un occhio guardi il telefono, con l’altro occhio segui le immagini, ridi sotto i baffi per i fatti tuoi, e lui che non capisce niente di quello che accade in quell’universo parallelo di quel gruppo WhatsApp, si sente più solo di un cane abbandonato in autostrada a Ferragosto e, se solo alzassi lo sguardo da quel telefono, ti accorgeresti che ha anche lo stesso sguardo.

“Ma è così divertente fare parte di una chat, siamo tutte amiche, ci vogliamo un casino di bene, condividiamo tutti i nostri pensieri e problemi, organizziamo un sacco di cose, e soprattutto…non abbiamo segreti. Siamo trasparenti come l’acqua fra di noi…certo, abbiamo fatto solo un gruppettino parallelo dove abbiamo escluso Tizia, Caia, Sempronea e Cornelia e loro non lo sanno, ma solo perché non le volevamo tediare con i nostri mille messaggi, sai loro hanno i mariti che si scazzano”. Da qui il postulato numero uno dei gruppi WhatsApp “da ogni gruppo universalmente noto, ne possono nascere N i cui partecipanti escludono uno o più membri del gruppo di origine”.

Ma facciamo un esempio:

Gruppo principale “come stai bene Cornelia, con quel nuovo taglio di capelli, sei fichissima. Sei troppo Wow”.

Gruppo parallelo di cui Cornelia NON è una partecipante “O belle, ma avete visto Cornelia? come cavolo si è fatta i capelli, roba da chiedere i danni alla sua parrucchiera”

Le dinamiche mi sembrano chiare, o devo portare altri esempi? no perché ne ho a bizzeffe. Delle più clamorose ho fatto qualche screen-shot, nel caso in cui dovessi un giorno difendermi in un’aula di tribunale, avrei così le prove inconfutabili che dimostrerebbero la mia, se non proprio innocenza, quantomeno estraneità ai fatti.

Ma dei benefici della mia ritrovata libertà, si parlava… Eccone un altro: la batteria del mio telefono dura un sacco, pensare che prima dovevo uscire con la riserva i carica, ora è guarito, arriva fino a sera senza battere ciglio. Idem per la mia linea dati: i Giga che prima non bastavano mai, ora avanzano pure. Sguazzo in un mare di Giga: il naufragar m’è dolce in questi Giga.

Ho esattamente gli stessi amici che avevo prima, e un consapevolezza nuova: non è l’appartenenza ad una chat a sancire un’amicizia, cioè, voglio dire, Tom Cruise era mica best friend con tutti gli appartenenti a Scientology anzi, il contrario, quelli quando decidi di uscire se potessero, ti sparerebbero alle caviglie, oppure lo fanno veramente, ma nessuno sa come stanno realmente le cose…ma non è il nostro caso. Quindi andiamo avanti.

Comunque un certo parallelismo c’è: se decidi di uscire da una chat, dimenticati pure di poterci rientrare, un giorno. La lettera scarlatta “D” di dissidente, verrà cucita sul tuo profilo dall’admin della chat, e addio giorni di gloria, di quando tutti buttavano faccine allegre quando tu scrivevi qualcosa, che neanche al carnevale di Rio; ma si sa, la fama è effimera, e spesso diventa il prezzo da pagare per la libertà. La reazione di espulsione del corpo estraneo è innescata:

Fase 1. Le più coraggiose e oneste ti scrivono in privato per sapere perché lo hai fatto.

Fase 2. Le appartenenti alla chat, che prima popolavano la tua pagina Facebook con like, commenti e condivisioni di vario genere, piano piano con fare indifferente prendono le distanze, e vanno in dissolvenza, come i finali delle canzoni negli anni ’80. Rimangono solo le esponenti di cui abbiamo parlato al punto “Fase 1”

Fase 3. La guerra fredda, ossia dopo aver preso le distanze dalla pagina Facebook della “D” (dissidente), cominciano a condividere sulle loro pagine link sull’amicizia, sul legame che le terrà unite per sempre, su “il destino mi ha fatto incontrare voi, e io non vi abbandonerò mai più”. Si arriva a disturbare personaggi del calibro di Buddha, Freud, gettonatissima E. Dickinson e tutti i poeti maledetti francesi, da Baudelaire a Mallarmé, fino ad arrivare a nomi più caserecci e a breve scadenza, come Fabio Volo e Federico Moccia.

Fase 4. L’oblio e la liberazione. Un bel sospiro di sollievo e si ricomincia a vivere.

Si ritorna a comportarsi da adulti normodotati in buona sostanza.

 

 

 

Alida & me: storie di madrine.

Ciao Alida, Sono Manuela, la tua madrina… 

Quando i tuoi genitori mi hanno chiesto di farti da madrina a momenti mi piglia un colpo…stavo cucinando una banale frittata, quando il telefono si mette a cinguettare: un lungo e bellissimo messaggio scritto da tua mamma Chiara, in cui mi spiegava le ragioni per cui mi hanno scelto per questo compito.

Parole belle, di quelle che vanno dritte al cuore. Ti confesso che ho pianto come un vitello su quella frittata. Comunque era buona…

Tua mamma mi diceva di pensarci, di prendermi il mio tempo per decidere, riflettere su cosa? La risposta è “ovviamente sì. Spero che la decisione ti sia gradita, per quel che mi riguarda ci metterò tutto l’impegno che posso.

Ma, secondo te, cosa dovrebbe fare una madrina?

Una madrina giusta intendo, non di quelle che, per capirsi, ti regalano una cornice d’argento massiccio, e per il tuo battesimo indosserebbero un tailleur beige con gonna al ginocchio…Se vuoi una madrina così, licenziami subito. Io, per dire, sarò una madrina in fucsia, così mi riconoscerai in mezzo a tutti gli invitati, e capirai subito ciò che ti aspetta…

Ma torniamo serie…

Dei doveri di una madrina si stava parlando. Immagino che il primo sia quello di farti da scudo, di proteggerti dalle brutture del mondo, e credimi, ce ne sono un sacco; è anche vero che fare da scudo a una ragazza il cui nome significa “guerriera”, rischia di diventare una sfida interessante: cosa dici Alida, l’accettiamo?

Accettiamola.

Poco fa mentre mi asciugavo i capelli (ti insegnerò anche che se ben pettinate, vestite e truccata si combatte meglio…), ho buttato giù una specie di promemoria delle cose che vorrei trasmetterti, te lo scrivo qui sotto, se non ti piace qualche punto, poi lo correggiamo insieme in corsa, ok?

Dai cominciamo che altrimenti facciamo notte.

– tu sei una guerriera, ma ricordati che le guerriere sono leali, quindi, per tanto che la situazione possa sembrarti complicata, non cercare mai inutili scorciatoie. Spalle dritte, sguardo fiero e testa alta, anche se magari in quel momento vorresti infilarti in un tombino e restarci fino alla fine dei tuoi giorni.

– le guerriere non se la prendono con i più deboli, ma anzi, li difendono. Solo una categoria di persone se la prende con i più deboli: i vigliacchi. Tu, nel dubbio, stai sempre alla larga da loro.

– sii gentile con tutti, anche se ti troverai davanti persone che preferiresti prendere a schiaffi. Ricordati che la gentilezza è arma tanto più potente quanto più immeritevole della tua gentilezza è il tuo “avversario”.

– allenati alla pazienza. Ti tornerà utile nella vita molto più spesso di quanto tu possa pensare e il paradosso è che le persone che più ne abuseranno saranno proprio le persone a te più care, ma capirai con il tempo che andare d’accordo con chi ami, altro non è che un esercizio costante di pazienza e accettazione, perché le persone senza difetti non esistono, anche se in molti cercheranno di convincerti che loro non ne hanno. Tu sorridi, e lasciaglielo credere.

– la miglior difesa è l’attacco, è vero fino ad un certo punto. Tu cerca di fare del tuo meglio per te e chi ami, ma poi vivi e lascia vivere. E a chi ti vorrà persuadere che “è meglio un giorno da leoni che cento da pecore” tu rispondigli che tu hai optato per l’opzione “cento giorni da leone” perché i leoni mica vanno a rompere le palle al prossimo, macché, loro attaccano solo per difendere se stessi e il loro branco. Quindi occhi ben aperti, ma non stare a sprecare energie a vivere perennemente con il coltello fra i denti (che te li rovini pure)

– la grazia, Alida, non dimenticarti della qualità femminile per eccellenza: la grazia. Si può essere cazzutissime anche senza per questo comportarsi come dei camalli del porto. Piano con le parolacce e con gli atteggiamenti da truzza e darla a tutti non farà di te una femminista ribelle, ma solo una che, appunto, l’ha data tutti. Niente di più. Tiratela un po’ e fatti desiderare, chi vuole veramente te si darà da fare, gli altri li perderai per strada: poco male, vuol dire che non ne valeva la pena. E il tuo cuore lo avrai tenuto al riparo da inutili delusioni.

– argomento delicato: le pene d’amore. Vorrei tanto dirti che non esistono, ma ti mentirei penosamente; ti dirò allora che sono inevitabili, ma non sono mortali, altrimenti io sarei morta almeno un paio di volte, fanno un male cane, questo sì, ma si sopravvive, e poi per un perverso percorso mentale che non ti so spiegare, una volta che fra quel dolore micidiale e il tuo presente, ci avrai messo in mezzo tanta vita, di tutti quei patimenti ti rimarrà un dolce ricordo. Lo so che non mi credi, ma fidati di me, che non ti mentirei per niente al mondo.

Altre millemila cose le scopriremo camminando, standoci affianco, sarà un bel viaggio Alida, ci scopriremo piano piano, e impareremo a conoscerci a fondo.

Non vedo l’ha di conoscerti, ancora non sei nata e sono già pazza di te.

Ricominciamo…buon anno da Magda.

Buon anno a tutti, ragazzi! Avete festeggiato adeguatamente la fine del vecchio 2016, per spalancare le braccia al nuovo che avanza? Se la risposta è sì, bravi, se la risposta è no, non dannatevi l’anima, avete ancora 364 giorni per mettervi in pari.

2017 anno dispari: personalmente ho avuto sempre un po’ di antipatia per gli anni dispari, tanto è vero che se faccio un secondo mente locale e guardo indietro, mi accorgo subito che la maggior parte delle magagne che mi sono picchiate sulla testa sono accadute tutte in anni dispari, parimenti, le cose belle, a partire dall’anno di nascita in poi, tutte in anni pari. Quindi per quel che mi riguarda, intendo partire un pochino in sordina, una sana diffidenza, che alle volte partire carichi di debordante entusiasmo, è la strada migliore per rimanere delusi.

Per quel che mi riguarda vorrei che fosse un anno un po’ più spirituale, vorrei trovare il tempo, la voglia e la fiducia nelle mie capacità, per portare a termine un paio di progetti che mi stanno piuttosto a cuore; così se il 2016 è stato l’anno consacrato alle fatiche (e soddisfazioni) sportive, vorrei che il 2017 si prendesse la briga di aiutarmi a raggiungere altre soddisfazioni, delle quali però non parlo per scaramanzia… E voi avete fatto la lista dei vostri buoni propositi? Chi volete essere e come vorreste diventare nei prossimi 365 giorni? Siete tipi da marcia di mantenimento, ossia che tutto resti esattamente così come è, oppure siete di quelli che se non vengono costantemente pungolati dalle novità, si annoiano e si spengono? Comunque, siate come volete essere, coltivate la vostra essenza, e se necessario, eliminate pure qualche erbaccia che vi toglie ossigeno, ma siate gentili nel farlo, perché la gentilezza è una dote che vi porterà fortuna. Vi do un altro piccolo consiglio, una cosa da fare che vi regalerà immediato benessere, ma è anche una delle cose più difficili da fare in assoluto: chiedete scusa. Non importa che sia una questione di stato, alle volte basta anche una parola sbagliata per ferire una persona, o averla trascurata un pochino, o un gesto a cui voi non avete dato nessun peso, ma che ha fatto male a qualcuno. Ecco: scusatevi, spiegate, chiarite. Sarà come sciogliere quel nodo al tubo che non faceva arrivare acqua alla pianta, e invece, come per magia quella pianta rifiorirà. E siete voi la piantina in oggetto, se non lo avevate capito.

Buon anno allora, e mi raccomando: non fate i buoni, siatelo. Che è molto più difficile.

 

 

da Brangelina a Bradexit…siamo tutte un po’ Jennifer

Non ci sono più certezze da ieri sera.

Hanno dato l’annuncio ufficiale. Lo faranno per davvero…Angelina e Brad divorziano.

Lei bellissima, algida, donna coraggiosa e madre perfetta, ma diciamolo, con un equilibrio psicologico pari a quello che posso avere io su un tacco 12 dopo una serata particolarmente ben riuscita. Lui figo da paura, sogno erotico di un’intera generazione di sgallettate con le piume ora un po’ bianche, che come se non bastasse, si rivela marito devoto, padre modello, personaggio pubblico impegnato nelle cause civili, simpatico, divertente, brillante e grande amico di George Clooney e Matt Damon, che fa sempre curriculum. E figo, sì l’ho già detto, ma lo ridico, perché lui è figo al quadrato, una perfetta equazione fisica esponenziale: la sua figaggine si eleva alla “n”  con andamento direttamente proporzionale agli anni che passano.

Ci siamo innamorate di Brad nel lontano 1991 guardando “Thelma e Louise”: una notte bollente con lui, e se al mattino scoprivamo che in cambio lui ci aveva rubato tutto quello che avevamo, come ha fatto alla bella Thelma, pazienza, tanto alla vita non avremmo potuto chiedere nulla di più. E da lì, non ci siamo più riprese e non lo abbiamo più dimenticato.

Pare che il motivo del divorzio siano “divergenze inconciliabili” sul modo di crescere i figli, ma poi basta scavare un pochino (pochissimissimo) più in profondità nel mondo del gossip, per scoprire che Angelina dice che non ne poteva più di Brad che si ammazzava di canne, beveva come una spugna e, pare, avesse anche un rapporto difficile con l’acqua e il sapone. Ci vogliamo credere? Brad, il nostro Brad, dipinto come un sudicio ubriacone, bolso e cannaiolo? No, no e no. E lei, che ci è sempre stata un po’ sulle palle perché ha rubato il marito alla nostra amica Jennifer Aniston, ora ci sta ulteriormente antipatica.

Già sei nata stramba (dai, va detto) ma strafiga, come se non bastasse sei una delle attrici più pagate e potenti di Hollywood, impegnatissima nel sociale, poi ti prendi come marito Brad Pitt, che ai tempi del fattaccio era sposato con Jennifer “l’amica di tutte”(vogliamo parlare di quando, ai tempi di “Friends” tutte, e ripeto TUTTE, chiedevamo al parrucchiere di farci  i capelli alla “Jennifer”?), non puoi anche avere la pretesa di starci simpatica, e men che meno pensare di aver diritto anche ad un solo pizzico di solidarietà femminile. Alcune cose alle ragazze della mia generazione non si toccano, tra queste: i Duran Duran, George Clooney ai tempi di “E.R”, e Brad. Giù le mani.

Proprio come quando, nella vita reale, la bella di turno che ruba il fidanzato o il marito ad una nostra amica, viene bollata per sempre con la lettera “Z” (devo spiegare?) e, sulla riva del fiume si assiste a veri e propri raduni di amiche o anche solo simpatizzanti della povera fidanzata o moglie abbandonata, tutte sedute fiduciose ad aspettare che passi il cadavere della donnaccia… Riesci anche solo a immaginare la hola da stadio che si crea quando il cadavere tanto atteso, mestamente sfila sotto gli sguardi assetati di vendetta?

Così è andata, cara Angelina. Poi tu hai anche la “colpa” di essere fantamilionaria, quindi non hai diritto neppure un pizzico di compassione di natura, diciamo così, economica:”poverina, come farà a conciliare il lavoro, con i figli, a pagare l’affitto e le bollette, e il dentista per sei figli: hai idea della spesa?” Ma va…alla peggio prenderà una villa che invece di sei piscine (una per figlio), ne avrà solo tre e i pargoli faranno i turni per fare a gara di tuffi. E se fosse vero che il nostro eroe altro non è che un ubriacone strafatto? Confesso, io mi vergogno anche solo a pensarlo, e comunque, quando stava con Jen scoppiava di salute, quindi, se fosse vero, la colpa sarà sicuramente di Angelina che gli ha reso la vita un inferno, e lui si è consolato come può. Poverino.

E’ il prezzo da pagare. Erano talmente belli insieme, i protagonisti della favola perfetta, prima l’incontro, poi la fatidica scelta di stare insieme, poi i bimbi e i bimbi, e i bimbi e ancora bimbi e poi altri bimbi, adottati, fatti in casa, di tutti i colori ma perfettamente abbinati fra loro e tutti amati alla stessa maniera, poi il matrimonio con il vestito tempestato di disegni fatti dalle creature, poi la malattia di lei e lui che la sosteneva in tutti i modi, sempre schierati l’uno di fianco all’altra, sia nella realtà che nella finzione cinematografica. Storia d’amore mitica, se non fosse che poi il finale ci ha riportato tutte con i piedi per terra. E lei che era quasi riuscita a sdoganarsi dal ruolo di rubamariti, si ritrova prepotentemente nella parte della moglie cattiva che l’unica cosa che vuole è sottrarre i figli al loro papà adducendo delle miserabili scuse…Ma noi non ci caschiamo, carina…

Perché lui è Brad, e quindi ha l’immunità perpetua da ogni colpa. Perché se fosse stato un altro personaggio dello spettacolo che però non è degno delle nostre simpatie tutte al femminile, si sarebbe trovato tante di quelle croci scagliate addosso che non ne avete nemmeno idea. Lui ora è di nuovo libero di tornare a casa da noi dopo averle suonate e prese di santa ragione in “Fight club”, lui è l’invincibile Achille in “Troy” e anche se i denigratori ci hanno voluto far credere che le sue muscolosissime gambe erano il gentile omaggio di una controfigura, noi su quei quadricipiti ci abbiamo fantasticato non poco. Lui è l’indimenticabile ira e vendetta in “Seven”, insomma lui è lui. E non si tocca.

E ora lasciatemi andare, devo andare a mettere in fresco una magnum di champagne. Diamo una festa stasera, io qualche milione di ragazze tutte fra i trentacinque e i cinquant’anni  e se riesce a liberarsi da alcuni impegni, pare che Jennifer ci raggiungerà appena possibile. Perché in un colpo solo giustizia è stata fatta (per la nostra amica Jen che ha sofferto così tanto), e tutte noi possiamo ricominciare a fantasticare su Brad. E, dettaglio non trascurabile, Brad nei sogni (almeno nei miei) si lava tantissimo e profuma di buonissimo. Ed è il marito che tutte avremmo voluto avere, ma Angelina ce lo aveva soffiato.

Fino ad ora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

che mondo sarebbe senza i Mugugni…

Io non so in che città vivi, tu che stai leggendo, e forse questa piaga di cui sto per scrivere  non ti riguarda neanche, ma devi sapere che qui in Liguria, è tutto un fiorire di pagine Facebook tipo “Mugugni del Comune di Chiavari”, “Mugugni del Comune di Lavagna”, “Mugugni del Comune di Sestri Levante” e via di questo passo fino ad arrivare a pagine mugugnose di comuni così piccoli che, se si incontrassero tutti gli abitanti nel bar del paese per parlare di qualche magagna che affligge il loro territorio, farebbero prima e meglio. Ma invece no…

Cosa sono le pagine dei mugugni? come accennato prima, sono gruppi aperti dove, previa iscrizione, ogni facente parte di quel gruppo può scrivere un post per comunicare qualcosa che che secondo lui non va bene, un problema, un pericolo, un disservizio. Quello che vi pare, insomma. In un mondo ideale, dovrebbe poi accadere che, l’Amministrazione di quel Comune, imbeccata da non si sa chi (il passaggio mi è ancora oscuro), sul malcontento palesato dal cittadino social, dovrebbe prendere immediati provvedimenti e risolvere in quattro e quattr’otto il problema e ristabilire l’ordine delle cose. Scusate, ma mi scappa da ridere.

Ecco cosa accade invece nella realtà -triste- dei fatti. Il nostro utente Facebook scrive il suo sacrosanto post mugugnone, viene pubblicato, e fin qui tutto bene; peccato solo che poi, essendo in democrazia e vivendo nella più totale libertà di pensiero e parola (anche se  io ad alcuni…ok, sì lo ammetto: ad un bel mucchio di gente, io gliela revocherei questa libertà) dietro al post si formerà un codazzo infinito di commenti, alcuni (pochi a dire il vero) sensati e attinenti, altri (la maggior parte) campati per aria e buttati nel mucchio giusto per fare un po’ di inutile polemica.

Quindi si parte da, facciamo un esempio (tra l’altro l’argomento è gettonassimo da queste parti) “padroni maleducati che non raccolgono i bisogni dei loro cani”:

-“la colpa non è dei cani, ma dei padroni” voto 10: il commento è attinente, educato nei termini, sintetico. Niente da dire: ayeah, continua così!

-“però quando i cani erano in mezzo alle macerie a cercare le vittime e i feriti, vi facevano comodo, eh? Ipocriti che non siete altro” voto 2: cosa gli vuoi dire? di sensato e non offensivo, intendo… Utilizza un concetto di per sé più che corretto e condivisibile (sai quanti “like” ci tiri fuori?)per portare avanti una polemica fine a se stessa; sterile e puerile, nel cui tranello, manco a dirlo, cascheranno a frotte.

Vive male questa persona, sicuramente. Verrebbe da andarlo a cercare l’acido commentatore, per portargli una parola di conforto, per dimostrargli che al mondo co sono anche persone buone, che non ce l’hanno tutti con lui, e che può stare tranquillo. Che andrà tutto bene.

Sarebbe un mondo infinitamente migliore e semplice se la gente trombasse di più: sai quante frustrazioni troverebbero il loro sfogo senza per forza di cose dover aggredire, insultare, polemizzare?…Ma niente, a tante persone piace così. Protetti dal loro (noiosissimo, tra l’altro)profilo Facebook, passano il tempo a straparlare, piuttosto si danno torto da soli, pur di assecondare la sindrome che li affligge: la sindrome del bastian contrario. Ma che due castagne!!

Uscite, state alla luce del sole che fa bene, oltre che all’umore, anche alla produzione della vitamina D, così vi vengono le ossa forti, fate il pieno di ossigeno e poi ne riparliamo… E se ancora non vi è passata la voglia di mugugnare a vanvera, andate a comprarvi un dolcetto, una pasta, un gelato così tenete impegnate bocca e mani. Sarete disinnescati e innocui come un petardo bagnato.

Però devo fare una confessione: io mi diverto da morire a leggere tutti i commenti dei post dei Mugugni: sono delle scatole cinesi, commenti che generano commenti, che vengono commentati con altri commenti e via così, di polemica in polemica, fino a quando non si è perso completamente di vista l’argomento principale. Per la serie “stiamo litigando come matti disperati, ma perché lo stiamo facendo? Comunque e continuiamo a farlo perché ormai non possiamo più fermarci”. E io me la rido a crepapelle.

Lo so dovrei abbandonare tutti questi gruppi, ma ancora non ce la faccio, forse sono la reincarnazione di una portinaia, o molto più realisticamente una curiosa pettegola impenitente, però è più forte di me: io quando vedo un qualsiasi commento che comincia con “non per far polemica ma…” sento un brivido corrermi lungo la schiena, e più i commenti sono trash e inutili e più la loro lettura si fa goduriosa.

Aaaahhh, ti amo genere umano! Ci siamo autoproclamati razza evoluta, ma in realtà siamo ancora indietro come il sedere dei macachi…Detto questo vi saluto, e che il mugugno sia con voi, sempre.  Quindi se proprio non riuscite a placare i vostri animi in nessun altro modo, dateci dentro, tanto, come si dice dalle mie parti: è gratis.