Facciamo un discorso serio

Il 13 gennaio è stato consegnato a Jodie Foster il premio alla carriera e da allora si fa un gran parlare del suo discorso di ringraziamento; discorso in cui ribadisce la sua omosessualità e da allora: apriti cielo.
Coming out sì, coming out no, coming out perché , pagine e pagine di articoli, servizi in televisione e alla radio, un gran chiacchiericcio, ma a noi?
A noi può veramente interessare se Tizio, Caio o Semproneo sono attratti dagli uomini o dalle donne? A giudicare dal baccano dall’attenzione sollevata, si direbbe di sì….e io non lo capisco.
Non capisco cosa possa interessare, non capisco quale valore aggiunto possa dare sapere se la star di turno è omosessuale o meno.
Io che esistevano i gay credo di averlo scoperto sul dondolo nel giardino della mia cara amica Manuela, nata lo stesso anno e lo stesso mese, lei il 9 e io il 16, le nostre mamme ci hanno dato lo stesso nome, e insieme abbiamo passato credo tutti i giorni di tutte le estati dei nostri primi quindici anni di vita. Comunque, dicevamo, eravamo sul dondolo del suo giardino, sua mamma seduta in mezzo a noi leggeva una rivista femminile e a un certo punto ci ha letto ad alta voce una notizia: il celebre attore Rock Hudson si era ammalato di una rara malattia che colpisce soprattutto drogati e omosessuali. Amelia, la mamma della mia amica fu prodiga di chiare e semplici spiegazioni: drogati erano i consumatori di droghe, omosessuali coloro che amavano persone del loro stesso sesso. La rara malattia era l’Aids, ci spiegò tutto, come ci si contagiava, che conseguenze aveva, come si poteva evitare. Correva l’anno 1985, era estate e avevo tredici anni e sull’omosessualità sapevo tutto quello che c’era da sapere.
Credo sia proprio in virtù di quest’approccio così chiaro, semplice e lineare che a me non mi è mai importato nulla circa le inclinazioni sessuali di chicchessia: a me se Tiziano Ferro è gay o meno me lo fa piacere esattamente allo stesso modo, e forse, a volerla proprio dire tutta, magari lui potrebbe non avere tutta sta bramosia di diventare il nuovo porta bandiera dell’universo gay. Ognuno vive la sua vita come meglio crede.
Ma pare non sia così semplice.
“A Tizio piacciono gli uomini” molto bene, anche a me, quindi? Dobbiamo fare un proclama per qualsiasi cosa? “A Semproneo piacciono i vini rossi” e ” Caia adora le scarpe con il tacco alto”: abbiamo reso il mondo un posto migliore? Non penso. Tutt’altro.
Penso che finché c’è bisogno di appiccicare un’etichetta sulla fronte di qualcuno, o all’opposto, finché c’è qualcuno che ha bisogno di rivendicarla o ribadirla quell’etichetta, qualcosa non va.
La Chiesa li condanna, Paolo Villaggio li ha definiti ” affetti da anomalia genetica”, ora come ora pare faccia figo averne qualcuno nel giro delle proprie amicizie, io semplicemente propenderei per considerarli per quello che sono: persone. E basta. Nè martiri, nè eroi, perché finché le abitudini, gli orientamenti sessuali di chiunque valgono più delle sue azioni e dei suoi pensieri, cari miei, la strada è ancora lunga. Finché per legittimare un amore c’è bisogno di fare “coming out”, siamo ancora molto lontani da quella che definiamo “società evoluta; coming out, espressione tanto ipocrita quanto inflazionata, la tua identità sessuale buttata in prima pagina: ma perché?perche bisogna fare il doppio salto mortale dal nasconderlo all’urlarlo ai quattro venti? Aspetto fiduciosa una spiegazione, spiegazione che però sembra non arrivare, e quando in una cittadina borghese, nelle lussuose vie del centro, al passaggio di due uomini o due donne che camminano fianco a fianco, scattano ancora le gomitate o i bisbiglii di disappunto, mi rendo conto che la strada è ancora lunga.

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