E finalmente: il Vittoriale
Felice, entusiasta e grata a Furio per avermici portata.
Chi mi conosce dai tempi della scuola lo sa, adoro il Decadentismo come periodo storico-letterario, mi piace il Liberty e l’Art nouveau come stile architettonico, ho passato la mia adolescenza a leggere e rileggere i poeti maledetti Buadelaire Rimbaud e Mallarmé e alla maturità ho ubriacato la commissione parlando per mezz’ora buona di D’Annunzio.
La pioggia nel pineto rappresenta per me la Poesia con la P maiuscola, e quando ero più giovane la sapevo tutta a memoria.
La visita della Prioria, la casa di D’Annunzio dura circa mezz’ora, si fa a gruppi di sette persone e entrando nell’ingresso principale si ha la sensazione di varcare uno stargate: tutto è esattamente come se lui fosse stato lì cinque minuti prima del vostro arrivo.
Non trovate geniale il fatto che ci fossero due ingressi? Uno per gli ospiti graditi e uno per quelli non graditi? E che negli anni in cui il Fascismo era al suo apice, lui potesse permettersi di far fare due ore di anticamera a Mussolini, al quale dedicò uno specchio creato per l’occasione, recante questa scritta “Al visitatore: teco porti lo specchio di Narciso? Questo è piombato vetro, o mascheraio. Aggiusta le tue maschere al tuo viso ma pensa che sei vetro contro acciaio” a farla breve, con sapienti giri di parole, ha dato dello sfigato a Mussolini. Adorabile.
Si attribuiva arbitrariamente parentele con Michelangelo e San Francesco e altrettanto arbitrariamente decise che i peccati capitali erano cinque e non sette, in quanto avarizia e lussuria non erano poi così gravi. Un genio.
Talmente ebbro di sè, da far costruire la soglia che conduceva al suo studio privato, l’Officina, in modo tale che il visitatore per entrare dovesse per forza inchinarsi. Amante dei levrieri e delle belle donne, ne ebbe tanti sia degli uno che delle altre, la più famosa delle sue amanti fu Eleonora Duse, cui la Pioggia nel pineto è dedicata, seguita poi da Luisa Baccara.
Girando per la casa non si può non rimanere affascinati dall’atmosfera che vi si respira, ogni singola stanza comunica la personalità di colui che la abitò, le sue manie, le sue fissazioni. Opere d’arte sparse ovunque che lui stesso di dilettava a decorare e modificare, collezioni di ogni tipo, ovunque è un tripudio di stoffe, tappeti, damaschi, cuscini e argenti.
Nella sala da pranzo uno degli oggetti più particolari: una tartaruga il cui carapace è quello appartenuto a una tartaruga regalata al Vate morta per indigestione di tuberose. È stata messa da lui in persona a capotavola come invito alla morigeratezza per gli invitati, e buon appetito. Da notare che la tavola era sempre apparecchiata per undici commensali, come i dodici Apostoli dell’ultima cena, meno uno: Giuda, che D’Annunzio non avrebbe gradito alla sua tavola. Umile e di basso profilo, come si evince visitando la sua stanza da bagno personale, il bagno blu, caratterizzato da ben novecento oggetti e oggettini scelti personalmente da lui in persona: bellissimo.
La cucina pur essendo una delle più moderne dell’epoca ci appare come relativamente spoglia, la spiegazione è semplice: è un locale di servizio, quindi non era un locale che lui frequentava, quindi non si meritava particolari attenzioni estetiche.
Uscendo (a malincuore) dalla Prioria ci si addentra per i giardini del Vittoriale, all’interno dei quali si trova un edificio contenente un Mas 96, acronimo di: Motoscafo Armato Silurante, dal D’Annunzio trasformato nel celeberrimo Memento Audere Semper per rendere omaggio allo spirito bellico dello strumento militare stesso, di cui partecipò al battesimo del fuoco. Un altro motto dannunziano passato alla storia è Habere non haberi (possedere, non essere posseduto), anni fa dovevano diventare due miei tatuaggi, poi visto lo spirito fascistoide di queste frasi, ho desistito…
Un altro omaggio fatto a D’Annunzio dalla Regia Marina per onorare la memoria delle sue imprese è la prua della nave Puglia, perfettamente incastonata all’interno del giardino, messa come se stesse per salpare verso l’Adriatico. A chiudere la parte alta dei giardini troviamo il Mausoleo dove trova sepoltura il Vate e tutti i suoi più stretti collaboratori e amici, una struttura circolare estremamente definita, dove gli unici elementi che spezzano il rigore delle forme sono le statue di quattro levrieri messi in altrettante pose diverse e dinamiche.
Si scende poi nella parte più privata dei giardini, con il laghetto delle danze (una specie di piscina ante litteram) con giochi d’acqua e cascatelle, il cimitero dei cani, un’ala dedicata alla sepoltura dei suoi amati levrieri, l’arengo, il bosco sacro dove D’Annunzio celebrava con i compagni più fedeli i riti commemorativi o iniziatici dell’esperienza di guerra. Sparsi ovunque massi prelevati dai siti dove sono state combattute le battaglie più importanti, fiori e alberi, soprattuto di melograno, tanto caro a D’Annunzio in quanto simbolo di prosperità e ricchezza.
Tutto, ma proprio tutto dentro e fuori trasmette una vera e propria ossessione per il bello, l’affannosa ricerca del dettaglio che lasci tutti a bocca aperta, che susciti il massimo dello stupore, che sia specchio per l’estrema vanità del Poeta, il cui motto più famoso “bisogna fare della propria vita come si fa un’opera d’arte” in questo luogo magnifico sembra rimbalzare in ogni angolo per elevarsi al massimo.
Un posto dove andare, da vedere assolutamente per sognare a occhi aperti, per poter vivere per poche ore il fermento e la passione che si respiravano in Italia all’inizio del Novecento.
Citando ancora una volta D’Annunzio ” La passione in tutto. Desidero le più lievi cose perdutamente, come le più grandi. Non ho mai tregua.”