Arrivo a Ushuaia credo, il 19 dicembre, forse é martedì…
Lasciamo l’Hotel Madero al mattino presto, ad accompagnarci all’aeroporto un tale che Furio a confronto é un improvvisato: apposito arnese per appendere gli occhiali da vista, apposito appendigiacca agganciato al sedile, apposito porta cellulare. Per caricare le valige fa tre o quattro prove di incastri, ma alla fine partiamo e arriviamo puntuali all’aeroporto di Ezeisa, nel frattempo ci hanno cambiato volo e aeroporto, ma non importa: noi siamo viaggiatori, mica turisti e l’imprevisto non ci fa paura (si si…)
Ci accoglie una fila in-ter-mi-na-bi-le per il check in: un serpentone di persone e bagagli da una parte, i singoli check in point dall’altra, e in mezzo un sorte di Caronte versione hostess che con il supporto di un fogliettino ciancicato in mano, sostanzialmente chiama i viaggiatori per alzata di mano. Un delirio.
La coda però ci permette di guardarci intorno e così parte l’analisi del turista: una ragazza incinta, con un passeggino con un bimbo piccolo dentro, zaino in spalla e una valigia grande più di lei al seguito e non fa una piega, serena e tranquilla aspetta (in tutti i sensi) il suo turno. Caronte quando la vede quasi la sgrida perché non ha usufruito della precedenza cui il suo stato le da diritto, lei sorride come a dire “sono incinta mica storpia”.
Coppia con felpa di Abercrombie uguale, bagaglio a mano uguale, valige nuove: potremmo tranquillamente essere io e Luca, infatti sono italiani, e qui scatta la riflessione numero due: ma perché noi italiani quando dobbiamo prendere un aereo ci vestiamo come se fosse domenica e stessimo per uscire per andare a messa? È un mistero, ma è proprio così.
A seguire: varie umanità che imbarcano qualsiasi cosa, dal generatore di corrente, alla ragazza che sembra tenere in mano un cartone con dentro una pizza da asporto, al nonno con nipote che non si riesce a capire cosa stia trasportando, sta di fatto che manda quasi in tilt l’intero aeroporto. C’è una grossa fetta di ultracentenari che immaginiamo essere i nostri compagni di viaggio in crociera (speriamo di no!), viaggiano da soli o in coppia silenziosi, composti e fieri, nella mia testa ho deciso che sono dei reduci del Vietnam, Marines che ne hanno viste di tutti i colori, stoici e vigorosi, nemmeno l’incedere inesorabile del tempo sembra scalfirli.
Caronte, dopo aver chiamato tutti i passeggeri per tutte le destinazioni del Sud America, finalmente chiama il volo 1878 per Ushuaia, sono le 7.05 il volo parte alle 7.45, noi siamo un poco impazienti, lei non fa una piega… speriamo abbia ragione lei… Al check in ci fermano: eccesso di peso, c’è da pagare la differenza. Perfetto e di quanto sarebbe questa differenza: 2 chili. Due chili??? Ehi, dico a te, brutta idiota di hostess, rischi di farmi perdere un aereo fondamentale, per solo due chili? Ribellarsi é inutile… più che perdere l’aereo, temo il vulcano Luca al mio fianco: potrebbe cominciare a eruttare da un momento all’altro. Difficile mantenere la calma, i minuti passano e noi siamo qui impalati ad aspettare il nostro turno per pagare 50 pesos, circa 4 euro, di peso extra. Ma l’ottimismo, insieme alla calma è la virtù dei forti e nel giro di pochi minuti, siamo a bordo dopo aver superato un controllo documenti surreale, infatti dovevi mettere cintura, passaporto, telefono e iPad, direttamente sul rullo, senza cestini e una volta superata la prova “raggi x” venivano sputati fuori dal rullo e se non eri pronto a raccogliere tutto al volo, (e io non lo ero) si infilavano nei rulletti trasportatori e cadevano inesorabilmente per terra: bam fa il telefono, toc fa l’iPad, frrrrrr fa la cintura che sembra una lasagnetta che esce dalla macchina per far la pasta. Comunque, non è il momento di perdersi in dettagli, arraffo tutto al volo e via… si sale sull’aereo, nel frattempo il vulcano Luca si è spento… Meno male…
A bordo scopriamo che l’aereo farà uno scalo a Trelew, ridente neanche tanto, località turistica argentina, un aeroporto costruito nel nulla: una pista di atterraggio/decollo in pura terra battuta, un container a uso biglietteria/ check in/ dogana/ bar e l’ultimo che esce chiuda la porta.
Lo spuntino che ci propinano a bordo è a dir poco agghiacciante: un box di cartone contenente vari campioni di jung-food, si spazia dai salatini gusto pizza, ai wafer ricoperti di cioccolato, transitando su una merendina drammaticamente dolce, fino a raggiungere le vette del sublime con una barretta all’italianissimo gusto cappuccino… per buttare giù tutto in soccorso viene un succo di frutta all’albicocca. Se a bordo c’erano dei diabetici, li avremo sulla coscienza per sempre. Altra bizzarra abitudine: distribuiscono i box e dopo esattamente cinque minuti cinque, passano a ritirare i vuoti; ho visto gente strafogarsi o nascondere gli snack in tasca e nelle borse pur di non contrariare la giunonica hostess. Dopo lo strafogarsi entra in ballo il sonno comatoso… sarà la glicemia alle stelle, vai a sapere. Dietro di noi una sosia di Sandra Mondaini russa come una locomotiva, al richiamo risponde un vecchietto davanti a noi che sembra un trattore, una signora davanti a me danneggerà irrimediabilmente i miei menischi reclinando senza alcun preavviso il suo sedile. I passeggeri dall’altro lato del corridoio sono più composti: una ragazza non si capisce se dorme o medita, un ragazzo sui trenta è precipitato in coma appoggiando la fronte al sedile di fronte, sarà un risveglio pieno di dolore il suo. Quanto a noi: Carramba che sorpresa! La nostra vicina di sedile è nientemeno che la sosia di Loredana Lecciso, ma la versione simpatica. Proveremo anche a parlare, con risultati improbabili, considerato che il mio esame di spagnolo all’università è stato “se le chiedo – donde estas la salida- cosa le sto chiedendo?” “dove è l’uscita”. Stop. Esame superato.
Però sorridiamo entrambe, lo considero un buon segnale. Atterriamo a Trelew, scendono e salgono alcuni invasati del trekking estremo, e al momento del decollo, tutti belli legati, personale di bordo idem, ma non partiamo. Non capisco… Semplice: un signore sull’ottantina è entrato in toilette esattamente nello stesso istante in cui ci si preparava per il decollo, stoppa tutto, finché lui non esce non si può decollare. Sembra di essere a bordo dell’aereo più pazzo del mondo!
Me ne convinco definitivamente quando scopriamo che l’aeroporto di Ushuaia altro non è che una baita tutta in legno: pavimenti, muri, soffitti tutto legno; un unico ambiente per arrivi e partenze, e per completare il quadro mettiamoci pure il personale che ci lavora vestito come i folletti di Babbo Natale, e voilà, siamo a posto.
Bienvenido a Ushuaia, romanticamente detta “il culo del mondo”.