Parliamo un pochino di educazione, vi va?
Se sì bene, se no, è lo stesso, ormai ho deciso.
Stamattina, sfidando la tempesta di neve che non c’era, affamata dal digiuno imposto per regolamento a chi va a fare gli esami del sangue, svegliandomi prima dell’alba perché per colpa di un manipolo di vecchietti insonni ormai è prassi consolidata che, se l’abulatorio prelievi apre alle 7, ci si mette in coda almeno per le 6, (io sono arrivata alle 6:30 e ne avevo davanti una quindicina), mi sono recata all’ospedale di Chiavari per fare il semestrale esame del sangue, praticamente l’equivalente umano del tagliando della macchina.
Assunte le sembianze di Pollicino, e seguiti pedissequamente i trattini rossi sul pavimento che dal posteggio ti conducono attraverso un dedalo di scale, corridoi e passaggi segreti all’ambulatorio, una volta arrivata (e non è facile),ritiri il numero per pagare il ticket, poi quando ti chiamano vai ti siedi e paghi, poi ti risiedi nella sala d’aspetto e aspetti il tuo turno. In tutto fanno una decina di chilometri concentrati però in un percorso di dieci metri; leggenda narra di bambini entrati per fare i vaccini pediatrici e usciti anni e anni dopo con il conteggio dei trigliceridi in mano, di alcuni mutuati poi, si sono proprio perse le tracce, spariti, svaniti nel nulla…
Un brillante metodo all’italiana, insomma. Quello che si potrebbe fare comodamente facendo una fila sola, noi siamo riusciti a elevarlo alla massima potenza e di code ne facciamo due, se poi ci metti il personale dimezzato perché oggi c’era l’allerta neve (senza neve), immaginerete benissimo la situazione potenzialmente esplosiva.
Ma andiamo ai fatti.
Già mi hanno guardato con sospetto perché entrando ho salutato, sospetti aumentati perché uscendo dall’ufficio dove si pagano i ticket, ho salutato e ringraziato gli impiegati, sospetti che hanno raggiunto il livello di guardia quando mi sono seduta e per ingannare l’attesa ho tirato fuori il telefono e ho, nell’ordine: letto il giornale, scritto qualche scemenza su Facebook, giocato a vari giochini. Ero nel mio beato mondo, a farla breve.
Non disturbavo nessuno, mi limitavo ad ascoltare con un’orecchio tutte le varie lamentele, dalla neve che non c’era a aveva promesso di esserci, alla povera infermiera che oggi era sola perché alcune colleghe hanno dato forfait e me la ridevo sotto i baffi (che comunque non ho, ci tengo a precisarlo) a sentire tutto il rosario di scemenze e luoghi comuni che copioso sgorgava dalle altrui bocche.
La scossa che ha fatto crollare la calma apparente che regnava è stata l’ignara infermiera che uscendo dall’ambulatorio ha pronunciato la parola “precedenza” e si è fatta avanti una ragazza evidentemente incinta. Musulmana pure. Apriti cielo.
La cosa che più di tutto mi ha colpito è che a sollevare gli scudi sono state le donne, ormai in avanzato stato di menopausa e va bene, ma io non credevo ai miei occhi e alle mie orecchie. Dal già sentito “vengono da noi, si,sentono padroni, ci rubano il lavoro, le case e ci passano davanti anche qui” urlato dalla fazione razzista, al “sono incinte mica moribonde” sbraitato dalle misogine, transitando per ” e non pagano nemmeno il ticket, loro hanno gli esami gratis, loro”, come lo vogliamo definire questo coro? Le invidiose fasciste?
Ho tenuto duro, barricata nel mio bozzolo, imponendomi il silenzio come regola, come un monaco trappista, ma (c’è sempre un ma) al terzo tentativo da parte della signora seduta di fianco a me di tirarmi dentro al coro, ho ceduto.
La signora molto griffata, sui settanta, che mi ha mappato centimetro dopo centimetro, che ci ha tenuto a farmi sapere che lei di solito va a fare gli esami privatamente perché “qui sa, il personale è come è”, che ha sbirciato ogni mia singola azione, che ha inveito per prima contro l’infermiera, e contro la ragazza incinta, ha sbattuto ahimè contro la sottoscritta, e quando mi ha chiesto “ma le sembra giusto che ci passi davanti?”io ho risposto seccamente sì.
Lei non paga ha voluto che le spiegassi il perché.
Perché c’è un preciso protocollo clinico secondo cui le donne incinte hanno la precedenza e la cosa non mi turba, perché la farei passare avanti io, dipendesse da me, perché se mi passa davanti un malato cronico o oncologico io non mi sento defraudata di nessun diritto, anzi mi sento anche un pochino fortunata, perché se uno ha fretta può andare privatamente e nessuno gli ruberà il posto, perché sono le 6 e mezza del mattino, sono a digiuno, ho sonno e non ho proprio voglia di partecipare a discussioni stupide. Perché se essere gentili ci costa così tanta fatica dovremmo farci un bell’esame di coscienza, non del sangue.
Questo ho detto alla signora, ma è anche quello che vorrei dire a tutti noi: perché essere gentili sembra essere così faticoso? È una delle poche cose rimaste a essere gratis, approfittiamone.
E soprattutto non fatemi arrabbiare alle 6 di mattina, reagisco male, molto male.