L’appuntamento del 19 marzo

La mattina del giorno del loro appuntamento lei si preparò con calma, come si fa per gli appuntamenti importanti. Si truccò con cura, eseguendo ogni singolo passaggio con calma e attenzione, anche se gli occhi un po’ arrossati e umidi rendevano tutto un po’ più complicato, consumò infatti un sacco di coton-fioc per correggere le molte sbavature, ma alla fine il risultato la soddisfò e le venne spontaneo sorridersi allo specchio. Gesto che in verità, aveva imparato a fare ogni giorno: dopo il colluttorio, il trucco, il profumo, dopo essersi tolta la molletta, si guardava e si sorrideva: con gli anni aveva imparato a piacersi. Traguardo prodigioso.
Sapeva che il suo cavaliere amava le donne curate e in ordine, ed è per questo che ci mise molto impegno, sapeva che se fosse arrivata al suo cospetto come se si fosse appena alzata dal letto, lui avrebbe disapprovato e il solo pensiero le era intollerabile. La memoria schizzò a quell’Epifania di molti anni prima, in cui lui nella calza, oltre a dolci e cioccolatini, e un piccolo, piccolissimo pezzetto di carbone, aveva infilato anche una palette di ombretti di Lancôme, pesca, grigio, avorio e pervinca. Si truccò solo con quei colori per mesi, poi anche se non la usava più, continuava a portare quella piccola scatolina dorata nella borsa come portafortuna, uno dei tanti oggetti da cui non voleva separarsi.
Amava quell’uomo, e ancor di più amava il modo in cui lui la vedeva, una visione tutta sua, in cui lei era un concentrato di perfezione, bellezza, intelligenza e quanto di più bello potesse esistere in tutto il Creato. Per lui lei era: LEI, tutto maiuscolo, massimo grado di valore, massima importanza.
Decise di indossare il cappottino rosso, colore non proprio indicato al luogo del loro appuntamento, ma sapeva che lui avrebbe apprezzato quel guizzo, quel suo essere non convenzionale: caspita gli ci erano voluti anni per persuaderla a non seguire il gregge, ad avere sempre un’idea sua e lei ora, magari, gli si presentava davanti infilata dentro a un borghese blazer navy (anche se l’avrebbe trovata comunque bellissima). No, no, il rosso era veramente perfetto, il rosso è passione, è calore, è vita. Borsa, chiavi, occhiali da sole e via, un leggero stato di ansia la obbligava a fare le cose di corsa, anche se lui l’avrebbe aspettata anche una vita intera, se necessario.
Mentre guidava il suo scooter le venne in mente che lungo la strada c’era un chiosco con una signora bionda molto gentile che vendeva fiori, l’idea di presentarsi ad un appuntamento con un fiore le sembrò molto carina, un po’ alla Jiulio Iglesias “…non vado ad un appuntamento senza un fiore….”canticchiò mentre posteggiava, e si rese conto che sorrideva da sola. La sua attenzione fu catturata da delle rose baccarat bellissime “me ne da tre per piacere, e mi può tagliare lo stelo bello corto, grazie. E mi ci metta anche qualche rametto di verbena” la verbena così spontanea e semplice accostata alla bellezza presuntuosa delle rose baccarat, creava, dal suo punto di vista, un contrasto speciale, e constatò quindi che l’abbinamento era perfetto. Ripartì.
Il luogo dell’appuntamento era deserto “meglio così” pensò “meno gente ci vede, più sarà bello vedersi”. Oltrepassò il cancello, salì le solite due rampe di scale, e poi girò a sinistra. E lui era là. Elegante nel suo completo grigio scuro che avevano comprato insieme qualche anno fa, con la camicia bianca e la cravatta color grigio perla. Lo raggiunse quasi di corsa, con quel nodo in gola che le era diventato familiare, lui le faceva sempre lo stesso effetto, una gioia disperata: “…vicini e irraggiungibili, io lo vorrei ma poi, mi viene voglia di piangere…” stavolta era Venditti a dare voce ai suoi pensieri, pensare che a lei nemmeno piaceva….
Acqua, i fiori che lei aveva portato avevano bisogno d’acqua. Tornò all’ingresso per prenderne un secchiello, e pensò a come diventano stranamente familiari certi gesti. Risalendo le scale fece finta che il secchiello dell’acqua fosse una teiera “gradisci una tazza di tè?” e con la stessa cura come se dovesse versare un prelibato tè nero in una tazza di porcellana finissima, versò un po’ d’acqua nel vasetto. Lui la fissava immobile sorridendole. Con un gesto di stizza lei tolse dal vaso tutti i fiori finti, mise le sue tre rose e la verbena e con compiacimento realizzò che era stata una buona idea chiedere alla fioraia di tagliare gli steli corti, e quando fu soddisfatta rimise il vaso al suo posto “ecco il tuo tè”. Restarono in silenzio qualche minuto, poi lei gli sorrise, e percepì che lui stava facendo lo stesso perché sapeva che stavano pensando la stessa cosa “Santo cielo, una donna con un cappotto rosso che si aggira per un cimitero deserto, sistemando fiori come se stesse servendo il tè delle cinque: meno male che non c’è nessuno, altrimenti penseranno che sono matta” e sorrise, anche se da dietro gli occhiali da sole, sentì qualche lacrima scendere “accidenti, truccarmi stamattina, come deterrente al pianto no ha funzionato” pensò.
Le venne poi voglia di fare un giro nel cimitero “mi accompagni, ti va?” e quando mai lui le avrebbe mai detto di no. Scese tre rampe di scale e si addentrò nella parte vecchia, si soffermò su alcune tombe abbandonate: evidentemente quei poveri defunti non avevano più nessuno su cui contare, erano soli al mondo, il pensiero le parve così triste che corse a raccogliere tutti i fiori finti che aveva ammucchiato in un angolo e ne mise uno a tutti quelli che le fu possibile. Lui approvava sicuramente. Mentre vagava per i corridoi leggendo le lapidi che più la colpivano, si domandò come mai la gente tema questi luoghi, mentre lei ne subiva il fascino. La risposta arrivò chiara “perché tu non sei come gli altri, tu sei tu” e il vento le soffiò tra i capelli, come una mano che scherzosa ti stropiccia i capelli.
Quando lei guardò l’orologio si rese conto che si era fatto un po’ tardi, doveva tornare a casa. Tornarono nel punto esatto dove erano soliti incontrarsi e si salutarono. Lei si avviò verso l’uscita con il secchiello per l’acqua vuoto, lo rimise al suo posto.
Aprì il bauletto dello scooter, si mise il casco e i guanti rossi pure loro, si mise in sella e girò la chiave mettendo in moto. Girò la testa in alto verso sinistra, lui era là che sicuramente la stava osservando “ma sì che vado piano e sto attenta. Che palle che sei papà ” si asciugò gli occhi perché di colpo, come tutte le volte le accadeva, non vedeva più la strada. Si lasciò il cancello del cimitero alle spalle “…quel gufo con gli occhiali, che sguardo che ha….me lo prendi papà? Sì! La lepre tutta rossa, che corse che fa…prendila prendila papà. Sì!… ma questa mia roulotte mi sembra l’arca di Noè, però ci si sta…Sei forte papà! Stringendosi un po’” e tornò a casa canticchiando.

2 pensieri riguardo “L’appuntamento del 19 marzo

  1. E come sempre mi commuovo nel leggere le tue parole..sarà che la sintonia c è ..sarà che in questo periodo le lacrime le ho in tasca,oppure è soltanto il nome😉so solo che spesso mi sembra di leggere la mia vita …le esperienze vissute..grazie
    Ti voglio bene
    Manu

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