E ditemi un po’: ve la ricordate voi la prima volta in cui avete infilato i vostri piedini dentro ad un paio di scarpe con i tacchi? La prima prima primissima, intendo dire?
Io sì, è uno dei ricordi più nitidi di quando ero bambina, 6/7 anni al massimo, forse meno.
Ricordo che ero in camera mia a giocare con il mio Cicciobello a fare la mamma, quando la mia attenzione è scivolata via, andando a bussare all’antina del comodino di mia mamma, nella camera da letto dei miei genitori.
Il comodino aveva (ha, perché è ancora fermo lì al suo posto) un cassetto, e sotto uno sportellino che protegge un vano porta oggetti, e mia mamma, allora, conservava lì dentro due paia di scarpe, anche perché di più non ce ne stavano. Un paio in particolare erano custodite dentro ad una scatola bianca opaca con delle scritte verdi: la aprii, ed eccole li, le décolleté nere di mamma, quelle a punta altissime che metteva nelle serate speciali, quelle in cui io e mio fratello venivamo spediti a casa di mia nonna Maria, o mia nonna Maria veniva a casa da noi a farci compagnia, per intenderci.
Che meraviglia, con quelle scarpe ai piedi mia mamma diventava altissima e bellissima e andava a ballare con mio papà, una coppia stupenda: alti uguali, sorridenti e belli, dei fighi pazzeschi, insomma.
Numero 38, tacco perfetto, il mio minuscolo piedino di bimba stava quasi tutto dentro alla pianta della scarpa, lo osservavo e mi sembrava fatto apposta per stare li dentro: traballando mi sono alzata dal letto e ho raggiunto lo specchio, fu amore a prima vista.
Ne aveva altre di scarpe con i tacchi, ma come quelle nessuna, quelle erano magiche, me le infilavo e diventavo grande.
Mi ricordo che poi frugavo nel suo portagioie alla ricerca di un paio di orecchini che sembravano due piccole more, ma erano turchesi, montati su metallo dorato, con la chiusura a clips, me li fissavo alle orecchie, ed ero ancora un po’ più grande. Poi passavo alla fase trucco. Un pasticcio inenarrabile.
Nel cassetto del comò, conservava un piccolo cofanetto quadrato con il coperchio smaltato con disegnato sopra un fiore, aveva l’apertura a scatto, schiacciavii il bottoncino e lui si apriva. C’era lo specchietto, un vano porta cipria con il piumino e poi il rossetto, rosso scarlatto: mi ricordo ancora adesso il profumo di quel rossetto. Profumo di proibito.
Sempre da quel cassetto tiravo fuori una borsetta fatta a crochet nera, tutta tempestata di cristalli neri, con cerchietto per capelli coordinato (ragazzi che classe!), mi pasticciavo gli occhi con dell’ombretto turchese (erano i favolosi anni ’70) et voilà: ero adulta. O meglio simulavo di esserlo.
Tornavo nella mia stanza, mettevo il Cicciobello nel suo passeggino e andavo a fare una passeggiata nel mio parco immaginario, che poi altro non erano che i corridoi di casa, dove ad un certo punto incrociavo mia madre che, senza tanti giri di parole, mi riportava alla mia mesta realtà fatta di pantofole con la suola in feltro, così non rigavo i pavimenti in marmo incerato che ha regalato a me e a mio fratello, memorabili scivolate con pianti disperati a seguire.
Quelle scarpe hanno accompagnato tutta la mia crescita, la mamma non le indossava più perché con il passare degli anni, erano ormai démodé, ma le ha conservate, credo le abbia ancora adesso nello stesso comodino, nella stessa identica scatola.
Io posso tranquillamente affermare che è con quelle scarpe che ho imparato a stare sui tacchi, di anno in anno erano sempre meno grandi, e io sempre meno goffa.
Con quelle scarpe ai piedi e un pigiama meravigliosamente coordinato (potere dei ricordi, rendono tutto bello, anche un mostruoso pigiama in flanella giallo con applicato sulla maglia un pinguino con un berretto rosa che pattina sul ghiaccio), ho ballato una mazurca con mio padre nell’ingresso di casa, la radio accesa in cucina e mia mamma che stirava guardandoci fra il divertito e il commosso. Credo che avessi circa dodici anni, non di più.
E ancora adesso, quando mi capita fra le mani qualche vecchia foto dei miei genitori a qualche festa, lo sguardo va subito a quelle scarpe, ed è ancora viva l’emozione provata da bambina: non avrei mai rinunciato a quella magnifica sensazione di “salire in quota”.
Mi chiamo Manuela, ho quarantun anni e una vera e propria ossessione per le scarpe, ne ho seminate ovunque, a casa mia, a casa di mia mamma, in mansarda, nella cabina armadio, di ogni colore e foggia, alcune sono così scomode da farmi quasi piangere, altre mi hanno accompagnato in lunghissime maratone danzerecce. Ne ho anche qualche paio che non ho mai fatto uscire di casa, mi basta indossarle ogni tanto e farci pochi passi, è il piacere di saperle mie a bastarmi. Altre sono associate a dei bei momenti, e quindi anche se sono vecchie decrepite le conservo, memoria tutta femminile che non deve andare persa….
La mia domanda ora è: ma come fanno gli uomini? Come fanno a non aver mai provato quel piacere perverso misto a dolore acuto che qualche volta ti attanaglia le caviglie e le piante dei piedi. Come fanno a non sapere come ci si può sentire immediatamente sexissime solo indossando un paio di scarpe. Come fanno a non tremare di piacere davanti ad una vetrina piena di scarpe favolose…
Non lo so… D’altronde è anche vero che mentre io caracollavo in giro per casa con dei tacchi ai piedi, e avevo sei anni, mio fratello giocava con i Lego…voglio dire: il gap fra i due sessi era già piuttosto evidente, vi pare?
Da qualche parte ho letto qualcosa che recitava più o meno così “…se una donna può camminare su tacchi altissimi, può tranquillamente conquistare il mondo…”meglio allora imparare a farlo da piccole, giusto per essere tranquille.
Io avevo sei anni, e voi?
Un abbraccio, Magda.