Parliamo un po’ di SLA, vi va?
No, e lo capisco: a nessuno piace parlare di una malattia così brutta e crudele (ammesso e non concesso che esistano malattie belle e gentili….cosa che non credo). Dai, va bene, niente SLA. E allora vi racconto una storia.
La storia di G.
G ha, anno più anno meno, 47 anni, ha una bella casa, una moglie carina e simpatica, un buon lavoro e due figli, un maschio e una femmina. Ha un buon tenore di vita e le preoccupazioni che più o meno abbiamo tutti.
G da un po’ di tempo a questa parte accusa degli strani fastidi ad una gamba, capita che la gamba improvvisamente ceda e lo faccia cadere a terra. Fa alcuni controlli, ma distrattamente, senza pensare ad un problema reale, sono controlli di routine, i soliti esami, sarà solo un po’ stanco, si promette di fare una bella vacanza con la sua famiglia, la prenoterà appena ritira i referti, che tanto si sa, vanno sempre bene. G si sente invincibile e al sicuro, come ognuno di noi.
E invece eccola la doccia gelata che mischia le carte in tavola: signor G, lei è malato di SLA, le sue improvvise cadute sono il chiaro segnale che i primi motoneuroni si sono danneggiati irreversibilmente. E da questo momento in poi non ci sono Santi che tengano, non si torna indietro. Aspettativa di vita dai 3 ai 5 anni, anni in cui motoneurone dopo motoneurone il corpo si ferma, ogni muscolo piano piano si addormenta, rendendo impossibili anche le cose più banali. Il cervello, beh no, il cervello no, lui non c’entra niente con i motoneuroni, lui non si ferma, rimane bello arzillo che è un piacere: ma rimane prigioniero di un corpo immobile.
Benvenuti, questa è la SLA. Gradite forse un cubetto di ghiaccio da mettere nel vostro cocktail di benvenuto? A G gliene sono piovuti in testa una tonnellata quando gli hanno detto come stavano le cose, quindi sono certa che ve ne regalerà volentieri un paio da mettere nel vostro bicchiere, soprattutto a voi che vi state scagliando contro la Ice Bucket Challenge, (per quei due o tre che ancora non sanno cosa sia), l’iniziativa promossa al fine di raccogliere fondi per sostenere la ricerca sulla SLA. In cosa consiste? Ve lo spiego rapidissimamente. Prima si fa una donazione, poi, ci si rovescia addosso una secchiata di cubetti di ghiaccio e acqua gelata; ve la ricordate la doccia gelata piovuta sulla testa a G quando gli hanno comunicato la diagnosi? Ecco il senso della secchiata d’acqua è proprio quello, far capire attraverso un gesto sdrammatizzante, come ci si sente quando quelle tre lettere vengono affibbiate proprio a te. Dopo si sfidano tre amici a fare altrettanto, e avanti Savoia, la catena è iniziata e si va avanti non so fino a quando, ma spero molto a lungo.
L’iniziativa è partita dagli Stati Uniti, dove sono stati raccolti veramente una montagna di dollari, ma si sa, in queste cose gli Americani sono fantastici, i detrattori li definiscono dei bambinoni, in parte è vero perché loro si entusiasmano veramente per queste iniziative, ci credono e ci mettono l’anima. Gli Americani fanno tutto “di più”: Natale è più Natale, mettono luci lucine e lucette anche nei posti più impensabili, il Giorno del Ringraziamento ogni americano che si rispetti tira fuori la sua bandiera e la mette alla finestra, hanno un senso patriottico che noi ci sogniamo e poi quando un americano ti abbraccia lo fa più forte di tutti gli altri. Sotto questo aspetto noi dovremmo imparare un po’ da loro come ci si comporta.
Ma torniamo ai nostri cubetti di ghiaccio.
Grazie ai social network e a internet, la IBC (Ice bucket challenge) ha fatto il giro del mondo e, manco a dirlo, sulla home page di ogni utente Facebook, è tutto un fiorire di secchiate d’acqua. Apriti cielo!
Che la polemica abbia inizio. Si parte da quelli che si scagliano contro lo spreco d’acqua, che poi magari polemizzano dal bordo della loro piscina, o sul lettino di un qualche parco acquatico in giro per il mondo ( l’acqua delle piscine deve essere evidentemente acqua benedetta non passibile di sdegno mediatico), agli idioti che, senza timore di passare per stupidi, si sfidano a prendersi a secchiate, ma soldi non se ne parla, al limite “ci deve pensare lo Stato visto che io già pago le tasse”, a quelli che, con le mani bene chiuse in tasca, criticano la donazione di Tizio “troppo scarsa”, di Caio “la beneficenza si fa in silenzio e nell’anonimato” e di Semproneo “lo fa solo per farsi pubblicità, in realtà non gliene frega un accidente”. Insomma, ce n’è veramente per tutti, nessuno è salvo, però, almeno se ne parla. E anche questo è positivo.
Ma torniamo a G. Vi domanderete chi è G.
G è un amico, io c’ero quando ha conosciuto la ragazza che poi è diventata sua moglie, ed è stato offrendo un cioccolatino a sua moglie (mia cara amica) che ho scoperto che sarebbe diventata mamma del loro primo figlio, sono due delle poche persone che stimo veramente, sempre uniti e complici, ma mai melensi. Concreti e discreti. Già, perché io ufficialmente non so niente, me l’ha confidato un amico comune, fra le lacrime, perché lui ha già perso un amico per colpa di questa malattia.
Storie di amicizie che si accavallano l’una con l’altra, e poi la vera difficoltà: sorridere quando vorresti piangere, ridere quando vorresti capire meglio, parlare del più e del meno, quando in realtà vorresti affrontare l’argomento. Non è facile, ma poi pensi a quali e quante difficoltà dovranno affrontare loro due, e il tuo sforzo per rispettare il loro più che giusto desiderio di normalità, diventa ben poca cosa. G si merita tutto, si merita ogni euro o dollaro che questa iniziativa ha contribuito a raccogliere, e si merita ogni minimo sforzo per trovare una cura. G si merita la dignità a cui ha diritto ogni malato di questo mondo, G si merita la vita che ha progettato per sé e la sua famiglia.
Ho fatto la mia donazione con questo spirito, e non mi interessa se come dicono alcuni, che i soldi raccolti se li mangeranno in buona parte le case farmaceutiche. Dovesse rimanere anche un solo euro utile della mia donazione, magari sarà proprio con un vetrino pagato con quell’euro che, un ricercatore illuminato troverà la cura per G e per tutti gli altri G sparsi in giro per il mondo.
Ben vengano quindi i cubetti di ghiaccio, le docce gelate e i filmati su Facebook, ben venga che se ne parli fino allo sfinimento, perché se se ne parla, la SLA farà sempre meno paura e G e la sua famiglia avranno una speranza in più.
Che si indignino pure coloro che si vogliono indignare, io preferisco aiutare un amico.
E adesso “I challenge you” ma ti risparmio la doccia gelata, mi basta che tu faccia una piccola donazione, basta l’equivalente di un aperitivo per me e G: lo berremo alla tua salute. Ringraziandoti di cuore.
http://www.aisla.it/news.php?id=3197&
Ciao cara! Questa volta non sono del tutto d’accordo… Non che l’idea sia sbagliata anzi… Io ce l’ho con i cretini che hanno scambiato la sla per un gioco in cui ci si versa addosso il ghiaccio. Non è un gioco, e il terrore puro. Ecco cos’è… Se penso che domani potrei non correre più allora potrei dire addio a tutti i sogni. Non alla realtà, ma ai sogni, che è peggio!non mi piace sta cosa del ghiaccio, perché dà vita al gioco scemo. Invece è serissimo. Avrei prediletto qualcosa di meno giocoso, forse meno virale però. Comunque, come sempre, ottimo articolo e ottima riflessione. Ti bacio forte
Sono d’accordo con te cara…ma i cretini si sa, sono dappertutto. Però anche loro possono essere utili: magari uno vede quello che fanno e forse qualche domanda se la porrà…almeno io ci spero.
Un bacio grande a te e un abbraccio ancora più forte.
Manu 😙