Magda e la Great Wall Marathon

“Everybody conquered the “Great Wall marathon ” it’s an hero, be proud about yourself”. Con queste parole dell’ideatore della Maratona sulla Grande Muraglia si è conclusa la serata di gala in onore di quanti vi hanno partecipato.E così io mi sono sentita tagliando la linea di quel traguardo, che ho amato, odiato, temuto, desiderato, sognato, detestato e alla fine conquistato.

La mia prima gara vera, la mia prima mezza maratona, la mia prima vera sfida sportiva, il mio primo bib per la classifica ufficiale, un vero e proprio battesimo di fuoco….

Ma come sono andate veramente le cose?

Ora ve lo racconto, chilometro dopo chilometro.

Pettorale numero 2727, per la cabala un buon segnale, infatti la mia vita è tutta costellata di 7, un numero che mi ha sempre ispirato fiducia e buoni sentimenti, non so perché, ma così è. Allo start sono nella terza ondata di partecipanti, lo stato d’animo è esattamente tale e quale a quando andavo a dare gli esami all’Università, mi sembra di non essere in grado nemmeno di mettere un piede davanti all’altro per camminare: figuriamoci correre.

Ore 7:50: il conto alla rovescia urlato da migliaia di persone, roba da fare accapponare la pelle, e poi via, si parte. Ho la lacrima facile, e penso che allenarmi duramente per tre mesi è stato un sacrificio che ora sta per essere ampiamente ripagato. E su questo pensiero il primo chilometro e mezzo scivola via veloce accompagnato dai sorrisi degli altri partecipanti, la fatica non esiste (per ora) le gambe rispondono bene, la testa al momento se ne può stare tranquillamente fra le nuvole.

Dal chilometro 1,5 al 5: comincia la salita, e per tanto che tu sia consapevole che 3,5 sono pochi, quando li devi correre su una salita piuttosto ripida e con il sole che ti batte sulla testa, con i battiti in lento ma costante aumento, cominci a sentire il fiato farsi grosso, e si insinua il dubbio perfido che forse non ti sei allenata abbastanza. Scrolli la testa mandi via questo brutto pensiero e ti godi lo spettacolo della gente comune a bordo strada che è lì per te.

Km 5-8,5: eccola qui davanti a noi, la Grande Muraglia che fa bella mostra di sé davanti a noi… A già, scusate, non vi avevo detto che Luca sta vivendo con me questa esperienza, ed è soprattutto grazie a lui se io sono in grado di farlo…

Maestosa e impressionante, intrisa di storia dal primo all’ultimo mattone, è lì che ci aspetta con le sue migliaia di gradini tutti con altezze diverse, le scale in salita e in discesa, alcuni tratti sono ripidi al punto che per percorrerli devi aggrapparti ad un corrimano, a complicare la cosa ci sono alcuni tratti dove non ci sono affatto i gradini, ma delle discese formate da pietre irregolari dove devi trovare il posto esatto dove infilare i piedi, altrimenti rischi di scivolare sui lastroni lisciati da millenni di passi e intemperie. Si riesce a correre solo su piccolissimi tratti, c’è molta solidarietà sportiva perché fra il caldo torrido, la fatica, e la paura di cadere, ci si incita l’uno con l’altro: questa muraglia dobbiamo portarla a casa, quindi forza e coraggio.

Km 8,5-16,500: la fatica vera che avevo sottovalutato. Già perché quando le tue gambe hanno salito e sceso senza tregua migliaia di gradini fino ad un minuto prima, e sostenuto discese ripidissime (dannate, dannatissime discese, mai avrei pensato che avrei desiderato fare una salita in vita mia) quando arriva finalmente il momento di correre in piano, ci mettono un bel po’ di tempo a riassestarsi, e a questo punto è arrivato il momento di chiamare in soccorso la testa. Bisogna alzare lo sguardo e sorridere, la mia fatica è in questo momento la fatica di tutti, un passo dopo l’altro, senza arrendersi. Come si fa a ingoiare un elefante? Tagliandolo a fettine e mangiandone una dopo l’altra, dopo l’altra, dopo l’altra.

Il sole fa bruciare la pelle e la testa, i tratti di percorso che corriamo nelle campagne, all’ombra degli alberi sono una benedizione, così come sono una spinta incredibile i sorrisi e le manine tese dei bambini che ti battono il cinque per incoraggiarti, gli sguardi perplessi e incuriositi degli anziani seduti fuori dalle loro cassettine, la gente che applaude e ti scatta una miriade di foto perché per loro migliaia di occidentali che corrono tutti insieme resta forse qualcosa di indecifrabile e incomprensibile.

Km 16,500- 21,00: il giro di boa, sono arrabbiata perché il caldo mi sta massacrando impedendomi di godermi questa esperienza, per fortuna Luca mi incoraggia e sostiene, per alcuni tratti mi prende per mano e mi trascina nel vero senso della parola. Ormai le bottigliette di acqua che ci danno ai punti di ristoro non le bevo neanche più, me le rovescio direttamente sulla testa, e l’acqua che scivola lungo la schiena è un meraviglioso toccasana, in più occasioni mi ritrovo a pensare che non correrò mai più nella vita, anche se dovessero puntarmi una pistola alla testa. A questo punto della gara parliamo tutti la stessa lingua, ci diamo il cinque e ci incoraggiamo anche fra di noi che corriamo, perché anche se siamo dei perfetti sconosciuti, in quel momento proviamo tutti le stesse emozioni e sentirsi dire “good job sweetie” da una ragazza che fino a un secondo fa non sapevi nemmeno che fosse al mondo, un bel po’ di brividi addosso te li butta. E quando finalmente mancano solo 3 chilometri, realizzi che a casa ti saresti sentita praticamente arrivata, mentre qui, ora, ti sembrano una distanza siderale, forse la Terra e la Luna sono più vicine rispetto a come ti sembra ora la distanza che c’è fra te e il traguardo. I piedi sono sempre più incollati all’asfalto, però inizi a sentire il vociare della Ying e Yang square, e la finish line è lì.

Gli ultimi 150 metri: vedo le facce sorridenti, sento la musica, sento la voce dello speaker che incita noi che stiamo per tagliare il traguardo. Sento Luca che mi dice “la fatica è finita, ora sono solo brividi, goditeli” e mi sorride accompagnandomi con la mano lungo una piccola curva sulla sinistra. La scritta Finish è a pochi metri da me, poi sulla mia testa e poi alle mie spalle. Do un pestone fortissimo al sensore che registrerà il mio finish time e fra gli applausi mi godo la sensazione di una medaglia che mi viene messa al collo. Con Luca è tutto un trionfo di baci e abbracci, sono sudata marcia, ho le braccia scottate dal sole e probabilmente ho un paio di vesciche in un piede, ma non sento più la fatica, sono mostruosamente felice.

E mentre mi godo il mio momento di gloria, cominciano a tagliare il traguardo quelli che la maratona l’hanno fatta tutta intera: loro sì che sono eroi veri, io la loro fatica penso di non essere nemmeno in grado di immaginarla. E mi scatta forte il desiderio di provarla anche io quella sensazione. Ma con calma, non mettiamo troppa carne al fuoco.

Una bella doccia e un massaggio defaticante lavano via la stanchezza, la matassa di emozioni lentamente si dipana, ora riesco a metterle ognuna centro la sua casella, ora è di nuovo tutto chiaro e lineare. Ora è solo il momento in cui incrociando lo sguardo di chi come te ha quella medaglia al collo, ci si sorride, ma mentre durante la corsa erano sorrisi un po’ tirati, ora sono sorrisi a mille denti. Ora siamo tutti bellissimi, perché è la felicità conquistata con la fatica a renderci tali.

Alle gambe legnose e doloranti ci penseremo domani… Ora sono solo brividi che non se ne vogliono andare e fai il possibile per trattenerli con te il più a lungo possibile , perché credo che sia questa la sensazione di “sentirsi vivo” e detto fra noi, è una sensazione che finché non la provi non la puoi capire, per tanto che uno possa essere bravo a spiegarla.

Bisogna viverla. E io l’ho vissuta.

Ce l’ho fatta: Magda conquered the Great Wall.

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