Si fa presto a dire Tiramisù.

Prima di cominciare, controllate di avere tutti gli ingredienti e gli strumenti necessari a portata di mano. Ma la cosa più importante è lo stato d’animo con cui vi approcciate a preparare questo dolce, secondo me è perfetto uno stato d’animo gioioso.

Un piccolo sottofondo musicale vi aiuterà non poco, io quando sono sicura che nessuno possa sentire, metto su Spotify le hit italiane degli anni ’80. Sono canzoni considerate (a torto) un po’ tamarre, ma hanno il potere fantastico di riportarmi indietro nel tempo, a quando ero bambina e mia mamma cucinava ascoltando queste canzoni alla radio e le canticchiava. Morale della storia: le conosco praticamente tutte a memoria, e me le canto pure io.

Dunque, ingredienti pronti, strumenti per cucinare pure, musica a bomba, mani pulite. Possiamo cominciare.

Prendete 4 uova e separate i tuorli dagli albumi, possibilmente senza fare disastri, in caso contrario, armatevi di pazienza e togliete con la punta di un coltello, tutti i frammenti di guscio che avete fatto cadere negli albumi già separati. E’ buona norma dare una lavata alle uova prima di cominciare…avete tutti ben presente da dove escono le uova, vero? ecco, appunto.

Mettete i tuorli e 150 grammi di zucchero nel robot da cucina armato di frusta, e date gas. Devono diventare chiari, spumosi e soffici, per essere sicuri del risultato potete fare più e più assaggi con le dita. Siete soli, quindi nessuno può vedervi e giudicarvi male, solo perchè state cantando una canzone dei Pooh, ciucciandovi golosamente le dita coperte di crema. Unite alla crema un po’ di Baileys, prima però verificate con una vigorosa sorsata la qualità del prodotto. Come è? E’ buono? bene, versate pure nelle uova montate con lo zucchero. Quanto alla quantità regolatevi voi, comunque la dose perfetta è “un po’”. Fate andare la frusta ancora qualche istante, ma scalate la marcia, ora ci vuole dolcezza. Assaggiate, se va bene, bevetevi un goccetto di Baileys per premiarvi; se fa schifo bevetelo lo stesso per consolarvi.

Prendete il mascarpone, e con grazia incorporatene 400 gr alla crema di uova. Mi raccomando, ho detto con grazia, quindi evitate di sbatacchiare il cucchiaio pieno di mascarpone sul bordo della ciotola per farlo scendere prima, che smontate la crema e viene tutto una mosceria. Assaggiate. Patty Pravo sta cantando con voi “Pensiero stupendo”, e fidatevi di me, sarà altrettanto stupendo il vostro dolce. Ma cantare mette sete, quindi se avete la gola secca, a naso, a meno che non siate ordinatissimi, potreste avere ancora fra i piedi una bottiglia di Bayleis, usatela, e il mondo comincerà a sorridervi.

E’ arrivato il momento di montare a neve gli albumi, ricordate di aggiungere un pizzico di sale. Montatele bene, mi raccomando, e se proprio vi sentite audaci, fate la prova degli chef: rovesciate la ciotola, se sono montate giuste non dovrebbe accadere niente, se invece non erano ancora a puntino, andate a prendere lo straccio e pulite il pavimento. Ma soprattutto non abbattetevi, andate dal vicino fatevi prestare quattro uova e ricominciate daccapo. Io non ho un vicino, ho una suocera e le suocere, non si sa perchè, ma hanno una riserva pressoché illimitata di uova, e ogni altra cosa di cui io possa aver bisogno, e la cosa è rassicurante.

Ora è arrivato il momento di unire gli albumi montati a neve alla crema. Il mio consiglio è di evitare di rovesciare tutto di botto, come farebbe un carpentiere che impasta del cemento in una betoniera, ma voi sentitevi liberi di fare come preferite, tanto ormai siete mezzi ubriachi, state cantando come aquile in amore (ammesso che le aquile vadano in amore), il mondo vi sorride che è un piacere, e non mi date più retta. Io vi suggerisco comunque di procedere per gradi, e poi mescolate dal basso verso l’alto, per non fare uscire dal composto l’aria che vi siete sbattuti tanto prima per farcela entrare.

Ok, crema pronta. Se avete sete, ormai sapete cosa fare, se avete fame, niente panico: state per maneggiare dei savoiardi, quindi siete salvi. Ho detto savoiardi, e basta: un buon tiramisù non si fa né con i Pavesini e tantomeno con gli Oro Saiwa. Con questi se proprio non potete farne a meno, fateci colazione. Non voglio sentire ragioni. Ci vuole del caffè, tanto caffè, zuccheratelo leggermente e, se a questo punto ne è avanzato, aggiungete due cucchiai di liquore, che gli da uno sprint delizioso.

Prendete la pirofila, evitate di farlo ballando, lo so che resistere alla tentazione di danzare sulle note di Renato Zero che canta “lui chi èèèèèè, come mai lo hai portato con teeeeee” è difficilissimo, soprattutto per voi che siete gonfi di crema al whisky, ma se poi vi cade dalle mani e esplode in mille pezzi, dovrete di nuovo correre dal vicino. Io no, io ho sempre la mia super suocera che ha anche una scorta illimitata di pirofile. Ora possiamo comporre il dolce: prima un piccolo strato di crema, poi i savoiardi bagnati con il caffè, poi uno strato più generoso di crema, e poi di nuovo biscotti bagnati e poi la crema. Il caffè avanzato potete berlo, vi aiuterà ad affrontare le ultime fatiche. Ora armatevi di cacao amaro in polvere e un piccolo setaccino e dateci dentro, dovrete coprire tutto con uno strato bello uniforme; non troppo però, ricordate che il cacao in eccesso, potrà uccidervi quando, strafogandovi di tiramisù, inavvertitamente lo aspirerete. E’ successo a tutti, potrebbe succedere anche a voi, quindi non siate troppo ingordi e mangiatelo piano.

Il tiramisù è pronto, mettetelo in frigo per qualche ora a riposare, voi invece non potete ancora farlo, infatti adesso arriva la parte meno divertente: ripulire la cucina e rimettere tutto a posto, ma a voi che vi frega, state cantando da un’ora, avete sbevazzato, siete felici come pasque: siete invincibili. Quindi fatelo e basta, in men che non si dica, sarà tutto a posto. Ora sì che potete: buttatevi sul divano e godetevi un po’ di relax, assaporate con la fantasia, il momento in cui i vostri amici affonderanno i cucchiaini nella loro porzione di tiramisù, li farete tornare tutti bambini, e sarà bellissimo. Ah, scusatemi, dimenticavo: datevi un’occhiata allo specchio, avete tracce di crema fin sui capelli. Ricordatevi di darvi una sistemata prima che arrivino gli ospiti.

Buona serata, Magda.

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Elogio di una bionda spumeggiante

Io l’ho sempre sostenuto: davanti ad un boccale da litro pieno di fresca birra, puoi raggiungere l’illuminazione, trovare chiavi di lettura per situazioni e persone, puoi elaborare concetti di una finezza inarrivabile, e questo stato di grazia, piaccia o no, non lo puoi raggiungere davanti ad un bicchiere d’acqua, o peggio ancora, davanti ad una centrifuga. Col cavolo: davanti ad una centrifuga puoi al limite compilare la lista della spesa o, se proprio ti senti ardito e ardimentoso, fare un rapido bilancio della tua vita, che sarà inevitabilmente in perdita, mentre se lo stesso bilancio lo avessi fatto davanti ad una bella media gelata, sarebbe stato un trionfo, un tripudio di successi e soddisfazioni.

E’ da qui nasce il primo postulato per questo 2018: birra:centrifugato=gioia di vivere:tentato suicidio (si legge così: birra sta a centrifugato, come la gioia di vivere sta al tentato suicidio). Rifletteteci e poi sappiatemi dire, ma io sono sicura che non avete mai conosciuto un astemio completamente felice, forse giusto qualche mamma in dolce attesa che per il bene della creatura si è sacrificata, salvo poi lanciarsi avidamente sul boccale appena l’erede ha spalancato i suoi occhi sul mondo. E poi si sa: la birra fa latte, quindi va benissimo così.

Baudelaire diceva: chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere. Dio solo sa quanto Baudelaire avesse ragione. Provate a immaginare la situazione: tavolata di amici, i giri di bevute che neanche la goistrina dei cavalli al Luna park riesce a tenere il passo, risate fragorose e poi quel bel chiacchiericcio divertito, voci che si sovrappongono, si accavallano, rumori e parole che si armonizzano in un crescendo kafkiano,  e poi laggiù nell’angolo in silenzio, eccolo: l’astemio. Lui poverino ci prova a tenere il passo, ma non ce la fa, il suo analcolico alla frutta non ha abbastanza combustibile per accendere la sua favella, il suo incedere è lento in mezzo ad un gruppo di fuoriclasse. In una moderna versione del Cenacolo, diciamo Cenacolo 2.0, l’astemio sarebbe Giuda, e non serve aggiungere altro. Se te con i tuoi amici al tavolo foste un’orchestra sinfonica, l’astemio sarebbe lo strumento fuori tempo e pure un po’ stonato. Così come se tutti insieme foste un outfit perfetto, l’astemio sarebbe il pezzo che madame Chanel invitava a togliere prima di uscire per essere veramente eleganti.

E’ davanti ad un boccale di birra che ho visto nascere amori, davanti ad una mezza minerale cosa vuoi che nasca? Un cespo di lattuga forse, o un gambo di sedano, una carota, se proprio siamo fortunati… ma se pensate di accendere il fuoco della passione con un succo d’ananas, auguri, cari miei, il prossimo passo è il brodo di pollo tiepido, che vi sta aspettando proprio dietro l’angolo.

Con questo non voglio certo dirvi di ubriacarvi come asini, per l’amor di Dio no, dai, però saper bere bene, secondo me, è sicuramente indice di sapersi godere la vita nel modo giusto: non può esistere una cena goduriosa se sulla tavola imbandita si porta solo la bottiglia dell’acqua, e a voi che mangiate la pizza annegandola senza pietà in un fiume di acqua, dovrebbero farvela pagare il doppio. Ci sarà pure un perché se si dice che fare un brindisi con l’acqua porta sfortuna, vi pare? E poi vuoi mettere il gioioso “cin cin” dei calici che si toccano durante un brindisi ad una festa? ma anche il solido “clanck” che fanno due boccali è altrettanto bello, sa di allegria, di amicizia, di potersi finalmente lasciare andare dopo una giornata di lavoro.

E l’astemio è sempre là, nel suo angolo, nel suo cono d’ombra, come una valigia dimenticata a terra mentre l’aereo decolla, è il fuoco d’artificio lasciato fuori all’umido e che quindi farà cilecca spegnendosi in un sordo “Poff”, mentre tutt’intorno è un tripudio di colori, luci e suoni. L’astemio è colui che ha sempre mangiato lo stesso gusto di gelato, ignorando che ce ne sono mille altri buonissimi. L’astemio ha bisogno di essere liberato e redento.

Quindi fra i buoni propositi per questo nuovo anno ci mettiamo questo: libera un astemio, corri a offrirgli una birra.

Alla vostra salute! Buon anno da Magda.

Expo 2015: golose curiosità.

Cammina cammina cammina, Magda e Furio finalmente arrivarono dentro a Expo 2015.Prima impressione a caldo: è immensa!

Fortuna che noi ci siamo presi due giorni per visitarla al meglio, il primo giorno abbiamo optato per un ingresso serale: al costo di 5 euro, dalle 19 fino alle 23, puoi vagare in lungo e in largo, se poi ci metti pure una leggera brezza serale, il connubio è veramente piacevole. Il secondo giorno invece abbiamo fatto il biglietto giornaliero, siamo entrati alle 10 circa e ce ne siamo andati sfatti di stanchezza e libagioni varie alle 22.

Continua a leggere “Expo 2015: golose curiosità.”

Magda e Furio all’Expo – a voi un antipastino sfizioso.

Magda e Furio sono andati in trasferta all’Expo. Una maratona di due giorni, organizzata con precisione quasi militare, per poter gustare in maniera il più esaustiva possibile, i mille spunti e suggerimenti che questa manifestazione offre.

Non intendo tediarvi con la descrizione dei padiglioni dei vari Stati partecipanti e, tantomeno entrare in inutili polemiche “Expo sì, Expo no. Io ci vado, io no” e affini. Ognuno si tenga il suo punto di vista, che intanto io non sono qui per convincere nessuno, e poi a dirla tutta, non ne ho nemmeno voglia.

La prima cosa che salta agli occhi è che funziona tutto. E qui già l’italiano mugugnone incassa il primo duro colpo. Si arriva agevolmente con la metropolitana, i biglietti si possono prendere in anticipo on line, ma anche per chi arriva all’ultimo minuto, la coda alle casse scorre via rapida. I controlli di sicurezza all’ingresso sono minuziosissimi: praticamente sono uguali in tutto e per tutto a quelli che si fanno in aeroporto, ma anche qui ci si può organizzare in anticipo evitando (parlo a noi donne) di trascinarci dietro la borsa di Mary Poppins, impariamo dai nostri amici maschi: viaggiamo leggere, anche perché con il caldo, molto caldo, la vostra la vostra borsa peserà sulla spalla come un’incudine, e a nessuno piace camminare trascinandosi dietro un’incudine…

Quindi le regole di base sono:

-pianificare la giornata

-abbigliamento anti-caldo, ma guardatevi allo specchio prima di uscire: vi siete cambiate dopo che avete finito di fare i mestieri in casa? Mi raccomando, perché io ho visto in giro tante Luise che “cominciano presto, finiscono presto e di solito non puliscono il water…”

-scarpe comode: sandali, ballerine, scarpe da ginnastica, la scelta è ampia, quindi se potete evitate le infradito di gomma che vi indurranno a trascinarvi i piedi, mezzi dentro la ciabatta e mezzi fuori, e dopo nemmeno mezz’ora avrete i piedi tali e quali a quelli che aveva mio nonno quando andava a zappare scalzo nei campi, ma mentre lui era nobilissimo sporco della sua fatica, voi togliete pure il nobile: non vi si può guardare. E basta. Le flip flop di gomma si possono usare solo al mare, in piscina, in palestra e a casa, in tutte le altre occasioni in cui si usano, in un mondo giusto, dovrebbe essere prevista una sanzione.

E poi c’è la regola di base che vi deve accompagnare per tutta la giornata: fate finta di non essere italiani. Quindi, rispettate le code, evitate di vagare per il decumano come se foste afflitti da labirintite cronica: la gente che vi sta intorno ha tutto il diritto di godersi come voi la giornata senza che voi gli tagliate la strada ad ogni metro o, peggio ancora, gli sbattiate contro perché avete cambiato direzione all’ultimo secondo.

Non fate “toc toc” con il pugnetto rovesciato su tutte le strutture dei vari padiglioni per verificarne solidità, accuratezza delle finiture e qualità dei materiali: non siete Calatrava e nemmeno l’ingegner Cane….e ieri o c’era un pullman di ingegneri civili sguinzagliato all’Expo, oppure non si spiega il dilagante fenomeno di uomini di mezza età in pantalone lungo, mocassino, camicia a mezza manica e marsupio saldamente legato in vita che, appunto, gironzolava qua e là facendo “toc toc” con il pugnetto. A seguire commenti positivi o scuotimenti del capo. Per onor di cronaca vi dico che gli scuotimenti hanno battuto alla grande i commenti positivi, c’era da scommetterci.

Siete ad una esposizione mondiale sul cibo, provate per un solo giorno ad abbandonare le vostre monolitiche convinzioni gastronomiche fatte di pizza Margherita e salumi Beretta, provate qualcosa di nuovo e diverso, magari poi scoprite che vi piace pure.

Decoro please. Anche se fa caldo, cercate per quanto possibile di mantenere un decoro: evitate i bivacchi e i pic-nic improvvisati nel bel mezzo del decumano, cercate di non stravaccarvi come balene spiaggiate e moribonde, le isole dell’acqua non sono docce e il fatto che nessuno vi dica niente non vuol dire che tutto vi sia concesso. Impariamo dai giapponesi: compostezza, eleganza e dignità, anche nelle situazioni più estreme.

Non vi dico di applicare alla lettera il comandamento “ama il prossimo tuo come te stesso”, ma nemmeno di sfracellargli la pazienza con comportamenti molesti per quanto inconsapevoli: spintoni, spallate, pestate di piedi, cercare di passare avanti sempre e comunque, urlare come indiavolati per ricongiungersi con i propri compagni di ventura sparpagliati qua e là.

Insomma non facciamoci riconoscere da tutti, uniamo le nostre forze e sfatiamo i luoghi comuni che affliggono noi italiani da sempre.

Fatte le debite premesse e raccomandazioni, possiamo entrare.

(Ma ve lo racconto nel prossimo post)

Magda e Furio e la festa in pareo

Facciamo un accordo.
La prossima volta che Luca mi propone di organizzare una festa, io ve lo comunico e voi mi fate leggere più e più volte questo post, fino a quando non cambio idea.
L’ultima in ordine di tempo l’abbiamo fatta sabato scorso, il 13 luglio, tema della festa “festa in pareo”come suggerisce il tema, unico requisito richiesto per gli invitati era che indossassero un pareo. Idea bellissima, lo ammetto. Idea non mia, ovviamente, giacché io non ho questi guizzi di creatività, io sono il braccio, Luca la mente, ormai lo sanno tutti.
L’organizzazione di una festa a casa nostra sfiora per durata di tempo, una gravidanza canina: circa due mesi dal livello embrionale (cioè quando nella testa di Luca scatta una scintilla) al travaglio con parto a seguire (quando svuotiamo l’ultima lavapiatti delle 1000 che facciamo).
In mezzo c’è:
Decidere quante persone invitare
Decidere chi invitare
Decidere cosa fare da mangiare
Decidere cosa fare da bere
Decidere che musica di sottofondo mettere
Decidere quando farla
Una volta decisa la data e definito quanti e chi siamo, comincia il lavoro vero e proprio. Pianificato il menù, bisogna fare la lista della spesa e il tutto tenendo d’occhio le previsioni meteo che non si sa mai, e cercando di arginare il padrone di casa che ha sempre paura che i nostri amici da noi muoiano di fame e sete.
Quindi l’avventura caraibica della festa in pareo è cominciata venerdì, il programma doveva essere questo:
Sveglia presto e corsetta sul fiume io, lui e Tabata.
Colazione
“Gita” ad Acqui perché quel giorno operano Merirose al ginocchio
Spesa
Spignattare
Nanna
Invece è andata così:
Sveglia presto (confermata)
Tabata si strappa un’ unghia della zampa posteriore sinistra (sangue e drammi)
Veterinario d’urgenza (hanno aperto la clinica apposta per noi: 90 euro)
Corsa a casa, corsa ad Acqui. Intervento perfetto, mamma in botta piena: strafatta, vomito su vomito e deliri vari.
Spesa
Casa – feste Tabata- ferita si riapre- laghi di sangue- veterinario- medicazione-casa.
Vorrei piangere tutte le mie lacrime
Spignattare
Devo convenirne, la preparazione notturna delle cibarie è stata rilassante, quando mai mi ricapita di preparare bignè a mezzanotte (tutto a mano, mica quelli pronti), assaggiando sangría e sbaciucchiandoci come adolescenti davanti ai fornelli? (Sempre con cane al seguito, zoppo ma entusiasta: anche lei ama la sangria).
Il giorno della festa ho: pulito casa, preparato gli ultimi impasti, coadiuvato lo chef, nonché mastro fochista (previsto anche barbecue), sono andata dall’estetista perché avevo le gambe oramai felpate e col cavolo che mi metto in pareo in queste condizioni, medicato Tabata, impiattato millemila finger, cotto focacce e focaccine, tagliato metri di salame, fritto crocchette di baccalà, acceso migliaia di candeline, varie ed eventuali. C’è stato un momento in cui contemporaneamente seguivo la cottura in forno delle focacce al formaggio, cuocevo le crocchette e i paccheri nella friggitrice, preparavo i contorni per i kebab affettando pomodori e cipolle ad una velocità da amputazione dita e svuotato la lavapiatti…ecco in quel momento ho seriamente desiderato di essere in pareo su una spiaggia deserta in compagnia di Mister Mojito, Madame Sangria e Mademoiselle Corona: noi quattro soli, però.
All’ultimo minuto mi sono avvolta in un pareo, raccolta i capelli alla bella e meglio, e via: che la festa abbia inizio.
Il menù tirato giù dal Pera è questo (ditemi voi se è a rischio decesso causa fame):
– focaccia alla genovese (fatta in casa) e salame
-bignè ripieni di crema al salame
-gazpacho
-insalata di polpo
-spuma di mozzarella con pomodorini confit
-focaccia al formaggio (fatta in casa)
– crocchette di baccalà
-paccheri ripieni di crema di speck, impanati e fritti
-una specie di kebab fatto in casa che Luca non so dove ha scovato la ricetta
-asado cotto magistralmente nel barbecue da Luca e Henry
-pasticceria mignon
-28 mojiti
– litri di sangria

Dimenticavo la chicca: con le canne di bambù del giardino, abbiamo costruito tutto l’ambaradan per una vera e propria gara di limbo, ma considerato che eravamo satolli pieni come uova, abbiamo desistito…però noi eravamo pronti anche a quello.

Momento magico della giornata: verso le 18 è arrivato Enzo con una borsa frigo piena di Corona belle fresche, e tracannarmene una con la fettina di lime inclusa, mentre il barbecue cominciava a scoppiettare, è stato veramente meraviglioso.

Momento magico bis: vedere i miei amici che si divertono, perfettamente a loro agio e ridere tutti insieme alla luce di mille candeline.

Note di colore:
Anche Tabata era in pareo, è un cane festaiolo lei.
Se volete un sottofondo musicale non fate toccare a Bulvio l’i-pad altrimenti: addio musica.
Se avete un amico amante della palestra e quindi con muscolatura sviluppata, sarà interessante notare come gli altri normodotati lo guardino con lo stesso sospetto con cui si guarda qualcuno affetto da una malattia misteriosa.
Le donne molto incinte indossano il pareo con stile, meglio però se due, altrimenti il rischio nudità è dietro l’angolo.
Le donne molto incinte del secondo figlio bevono mojito e sangría e mangiano pure il salame (al primo piuttosto si fanno uccidere)
La musica caraibica è una palla mostruosa, meglio molto meglio bere mojito ascoltando del buon blues.
Mai arrendersi davanti a un temporale mattutino estivo: nemmeno se tuona e diluvia. Festa bagnata, festa fortunata.

Magda e Furio e “hai detto paella e sangria?”

Paella e sangria…..olè!
Travolti con gioia dal vortice dei corsi di cucina, questa volta siamo andati al corso per imparare a fare la paella e sangria.
Chi ben incomincia è a metà dell’opera: tempo di tirare fuori la macchina di Luca dal suo posteggio e a me cade l’occhio sulla ruota posteriore destra “amore, forse hai una ruota bucata….mi sa”. Lui che si fida sempre ciecamente di me, scende e si accerta della cosa. È inequivocabilmente bucata. Cominciamo bene la serata.
Cambio di mezzo, andiamo con la mia, quindi:torna indietro, apri casa, Tabata mi vede e si dispera, ignorala, entra, prendi le chiavi di “nonna Papera” -sì la mia macchina si chiama così, cioè a essere sinceri io l’avevo pomposamente battezzata Queen Elisabeth, ma poi ho conosciuto Luca e lui l’ha ribattezzata Nonna Papera e a me non dispiace, mi mette allegria.
Luca mi fa notare che la mia macchina è imbarazzantemente sporca, mica per altro, la posteggio sotto un ulivo e adesso comincia a cadere il polline, quindi abbiamo una deliziosa 500 grigia con una spolverata di giallo everywhere, non passeremo certo inosservati. Ma andiamo che siamo in ritardo.
Quando arriviamo in accademia ci mettiamo i nostri grembiulini, con orrore noto che quello di Luca è con ogni probabilità il grembiule di Lilliput, perché d’accordo che lui non è un’acciuga, ma il fiocco dietro stile impero da tanto gli rimane in alto il punto vita non si può guardare. Rido da sola sperando che lui non lo noti….ma poi si mette a ridere pure lui perché più che un grembiule sembra che indossi un bavaglino gigante. Cominciamo bene.
Allora principi cardine di una buona paella sono la cottura nel forno, la paprika, e del buon zafferano di prima qualità: noi cuoceremo il riso sul fuoco, niente paprika, niente zafferano ma curcuma come se piovesse…perplessità…Ma non perdiamoci d’animo…
Prepariamo tutti insieme la sangria: prima si prepara lo starter, la base per l’infusione a base di rum, maraschino, zucchero, chiodi di garofano, arance e limoni. Poi teoricamente, lo lasci riposare in frigo per almeno un giorno con la frutta tagliata a pezzi immersa dentro, e al momento di servirla ci unisci il vino rosso, e poi via, che la festa abbia inizio.
Dunque dunque….io non sono uno chef incredibile e nemmeno un barman, sono più che altro una buona forchetta e un grandioso bicchiere, però mi sembra che non sia determinante COME tagliare la frutta, la frutta tagliata a pezzi mediamente piccoli va bene, e come viene viene, ma evidentemente mi sbaglio, perché l’argomento “come tagliare la frutta” ha scatenato un dibattito degno del caro vecchio “Murizio Costanzo show”, avremo poi occasione di verificare che questa è stata la prima di una lunga serie di osservazioni bizzarre…
E ora paella time: ognuno prepara la sua verdurina, chi taglia i pomodori, chi taglia i fagliolini , chi i peperoni e chi la cipolla – ma grandi quanto? – e allora è un vizio, ‘sta mania per le dimensioni! Poi il pollo, e sul pollo niente da dire; sulle cozze la cosa si è fatta interessante, perché pare che solo in tre su una decina di adulti, sapevamo togliere le barbe ai mitili (pensare che è una delle prime cose che ho imparato da bambina).
Ma è sul calamaro che abbiamo raggiunto le vette del sublime: immagino che tutti sappiate, nel caso lo sapete da ora, che i calamari, così come i polpi, per renderli più teneri vanno prima congelati e poi cotti rapidissimamente, altrimenti diventano di legno, e immangiabili.
Immaginerete quindi lo stupore dello chef, e non solo, quando una allieva già madre di famiglia ha così esordito “ma il calamaro va congelato da cotto o da crudo?” Eccerto, prima lo cuoci con il suo bel sughetto, poi lo sciacqui sotto l’acqua, poi lo congeli e poi lo ricuoci…prelibatissimo. Ma ci sei o ci fai? Seguita a ruota da quella che il brodo lo frulla, carote sedano e cipolla e poi via una bella frullata…sai poi la limpidezza…E da quell’altra che, quando la maestra ci diceva che con i gusci e le teste dei gamberi potevamo preparare una bisque e congelarla per utilizzi futuri, è schizzata come una molla “bisque che…? Mai sentita nominare”.
E poi sul podio, l’apice dell’assurdo: altri modi di condire la paella? Ma non saprei, prova con il pesto tesoro, poi mi dici….La paella è paella, è come chiedere se esiste un altro modo per condire il riso alla milanese, o se si può fare il pesto senza usare il basilico.
Forse mi devo ricredere, non sono poi così male come cuoca, almeno io la teoria la so, è sulla pratica che glisso, anche perché con Luca non è facile, lui è un purista, la sua prima paella l’ha fatta a sedici anni, e ancora adesso quando decidiamo di farla, va praticamente in trance agonistica per un giorno intero:”programmato per fare la paella”e non si ferma un secondo finchè non ha finito, mentre io mi do un’aria impegnata vagando per la cucina senza tragua, senza sosta, ma soprattutto senza senso.
Per fortuna che avevamo preventivamente stappato una bottiglia di bianchetta – vorrai mica morire di sete mentre aspetti che la paella sia pronta – e poi lo sanno tutti, cucinare con un bicchiere di vino a portata di mano garantisce un risultato eccezionale e predispone l’umore al buon esito della serata, quindi il festival delle corbellerie è scivolato via facile.
E finalmente è arrivata lei, la sangria, tempo un quarto d’ora e qualche vigorosa sorsata ed eravamo tutti grandi grandi amici, a parte una che non beve, guarirà forse, un giorno…speriamo.
Piatto di paella, o quel che era, in una mano e bicchiere nell’altra, poi solo il bicchiere, i bicchieri, tanti bicchieri.
Siamo usciti dal corso che io ridevo come un’oca, con due grembiuli appesi al collo e camminando a zig zag, Luca faceva il sobrio, ma mi sembra di ricordare che la sua aristocratica erre moscia, fosse particolarmente strascicata, e mi ha pure fatto guidare, il cavaliere…
Ci siamo già prenotati per un altro corso: finger food e cocktails abbinati: vi farò sapere. Per adesso è tutto.
Hasta la vista, e OLÈ!

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Magda e Furio al corso di cucina thai

Cosa ci fa una che non mangia piccante ad un corso di cucina thai?
Me lo sono chiesta anche io ieri sera, quando MariaSole la cuoca insegnante del corso, ha esordito con “la cucina thai è la cucina più piccante del mondo”.
Molto bene, siamo a cavallo….
Ormai ho imparato, se dichiari subito i tuoi punti deboli sei salvo, quindi ho esordito con “non è che non mangio piccante, diciamo piuttosto che il mio approccio è uguale a quello di un bambino di otto anni”.
Ed è così che senza volerlo ho sabotato il corso di cucina thailandese, cosa simpaticamente (ma simpatica sul serio) sottolineata da MariaSole, che durante tutte e quattro le preparazioni a un certo punto esordiva sempre con un “e adesso ci starebbe bene un po’ di peperoncino, ma noi non possiamo” e inevitabilmente lo sguardo di tutti si dirigeva verso di me….
Ma non mi sono arresa e punta nell’orgoglio ho sfidato le mie papille gustative, già perché durante la preparazione del riso all’ananas e cocco, ogni volta che la cuoca aggiungeva piccolissime particelle piccanti di pasta al curry mi chiedeva di assaggiare per vedere se era tollerabile per le mie neofite papille, e io stoica “no non picca” e lei giù ad aggiungere fino ad arrivare al punto che a momenti mi prende fuoco la gola…ho dovuto buttar giù una bella sorsata di birra per venirne fuori, io che come tutti sanno sono astemia, (perché ridete?) però il riso era buono buono.
Finita la birra ci siamo visti costretti ad aprire una bottiglia di tipico pigato thailandese (scherzo, era ligurissimo) e da quel momento in poi l’atmosfera si è rilassata parecchio, e io mangiavo il piccante con una disinvoltura impressionante.
Da provare assolutamente la zuppa Tom yan Kung, certo, se riuscite a reperire tutti gli ingredienti per farla, e pare che l’unica chance sia andare a Genova in Via Gramsci, quindi, nel caso, organizzatevi per tempo infatti per prepararla a puntino serve una misteriosa salsa di pesce, un ancor più misteriosa pasta piccantina in vaso che sembra un paté di pomodori ma se lo mangi muori per autocombustione, lemon grass che presto la troverete anche a Caperana, date solo il tempo necessario a Furio per dare il via alla coltivazione, funghi, passata di pomodoro, gamberi e lime. Inforcate le chopsticks e dateci dentro. Un’unica raccomandazione: provoca dipendenza da tanto è buona.
E poi arriva il momento dello stupore, del sapore che non ti aspetti: preparate un battuto di aglio e zeste di lime mettetelo in una ciotola con dei pezzetti di papaya e ananas irrorati con un po’ di succo di lime. Mischiate il tutto e assaggiate: non crederete a quello che vi diranno le vostre papille. Poi potete tornare alla rassicurante pasta al pomodoro, ma fidatevi, dovete provare. A completamento del piatto piccoli bocconcini di petto di pollo fatti marinare con del succo di lime e poi saltati in padella a fiamma vivacissima, questa è la versione base, se siete temerari e vi piace sudare buttateci manciate e manciate di peperoncino piccante, e preimpostate il 115 (vigili del fuoco) sul cellulare. Rapido buono e salutare.
Altro giro altra corsa: Noodles pad thai, le meduse nel piatto (dopo Hong Kong il mio rapporto con i noodles è irrimediabilmente compromesso). I noodles altro non sono che una specie di tagliatella trasparente un po’ cingosa che si cuoce come la nostra pasta fresca, anche se il paragone è quasi blasfemo, poi una volta scolati li metti in una wok in cui avrai precedentemente preparato un condimento, noi ieri sera avevamo fagiolini, carote e germogli di soia, noccioline tritate, salsa di pesce, lime, aglio e salsa di soia, li fate saltare ben bene e poi ve li pappate e buon appetito.
Io che in sono bravissima in cucina, ho preparato il nostro dolce, attenti al procedimento perché non è facile. Allora rubate agli altri la papaya che hanno già sbucciato e tagliato, e mettetela in una ciotola. Poi, massacrate a coltellate un innocente mango dopo averlo ridotto di un terzo del suo volume nel tentativo di sbucciarlo, prendete i brandelli di mango così ottenuti e provate a dargli una forma simile a dei cubetti che metterete insieme a quelli di papaya, prendete un lime e spremetecelo dentro, mischiate il tutto. Lo so è un po’ difficile, ma ci potete riuscire anche voi.
Importante: per la buona riuscita dei piatti della cucina thai servono alcuni accorgimenti essenziali, ve li riporto pari pari:
– essere sorridenti
– mettersi un fiore fra i capelli
– avere a disposizione casse e casse di lime altrimenti non andate da nessuna parte
– cucinare insieme a gente allegra
– avere a disposizione una piccola alcova perché pare che la cucina thai invogli a ben altri piaceri oltre a quelli della tavola.
Detto questo non resta che aggiungere:
kŏr hâi jà-rern aa-hăan! Che in lingua thai si scrive:ทานให้อร่อยนะ
Non offendetevi, vi ho solo augurato buon appetito.

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Magda e Furio al corso di cucina.

Magda e Furio al corso di cucina.

E un giorno come tutti gli altri, Furio se ne esce con una trovata delle sue: “potremmo fare un corso di cucina insieme, che te ne pare?”
Anche se confesso di non averci mai pensato, quando me lo ha proposto ho accettato con entusiasmo. Indosso una sgargiante camicia a quadri che Furio odia visceralmente, dice che mi fa assomigliare a un tagliaboschi, io invece la adoro, e sarà che mi ricorda inconsciamente la tovaglia di una trattoria, ma mi sembra molto appropriata, in cucina con un look perfetto, la Cristina Parodi di casa nostra, che farà dei pasticci, non saprà cucinare, tutti la criticano e fanno i sofisticati, ma poi tutti vorremmo essere al suo posto a fare i piaciughi che fa lei, strapagata per farli.
Ma torniamo a noi.
Bene, diventeremo maestri in focaccia al formaggio.
Iscriversi è stato facile, complice un’ amica che lavora dove organizzano questi corsi: L’Accademia dei sapori. E così eccoci qui, con il nostro bel grembiulino e il blocchetto dove appuntare tutti i segreti di cucina che ci verranno svelati.
A dire il vero scrivo solo io, Magda, un po’ perché soffro della “sindrome della secchiona” nel senso che adoro prendere appunti, e un po’ perché Furio considera carta e penna strumenti irrimediabilmente obsoleti. Confesso che anche la semplice lista della spesa, dalle nostre parti, viene fatta usando l’apposita app del telefono, e quello che uno dei due scrive viene trasmesso in tempo reale all’i-phone dell’altro in modo da avere la situazione costantemente aggiornata…non chiedetemi spiegazioni su come funziona l’ambaradan, io mi limito a eseguire pedissequamente quanto mi è stato spiegato.
E poi perché, semplicemente, il boss (lui) detta e la segretaria (io) scrive, sì esatto, sempre per via di quella tacita ripartizione dei ruoli….( ma mi ribellerò un giorno).
La prima domanda che ci facciamo è: ma perché sono tutti serissimi mentre noi sembriamo due adolescenti stupidi in gita? Sono tutti seri seri, e fatevela una risata!
La seconda domanda che io mi faccio, invece è: ma perché a impasto ultimato, la postazione di Furio è tutta pulita mentre la mia sembra che abbiano nascosto un petardo nella farina?
C’è farina per terra, farina in faccia, il grembiule è un pasticcio, ho tracce di impasto sui capelli e sulle scarpe…dovranno far brillare la sala per riportare ordine e pulizia.
È anche vero che non esistono artisti ordinati, il genio artistico si nutre di stimoli, caos, confusione….vero? Provate a immaginare lo studio di Picasso: mica lo immaginerete tutto bello lindo, pulito e in ordine? Forse lo studiolo di Giacomo Leopardi, quello sì che era ordinato, alla peggio c’era giusto lui legato alla sedia che si struggeva d’amore per la cara Silvia…ma non c’è paragone.
1 a 0 per Magda.
E Furio che si pavoneggia di essere il più bravo….
Ma torniamo alla focaccia al formaggio. Steso l’impasto arriva il momento di mettere lo stracchino: Furio tutto ligio e preciso distribuisce con ordine certosino i pezzi di stracchino, Magda rigorosamente a casaccio, butta motti di stracchino e grazie a un momento di distrazione del maestro, ruba un altro pezzo di formaggio…doppia farcitura e spuntino; il mondo è degli scaltri, mica dei precisetti.
2 a 0 per Magda.
Alla prova forno devo ammettere che ne usciamo parimerito, Furio cercherà di perorare la sua causa dicendo che la sua era più equilibrata, che nella mia c’era troppo formaggio…ma si chiama “focaccia al formaggio” mica “focaccia equilibratamente al formaggio”, quindi:
3 a 0 per Magda.
Usciamo dall’Accademia ridendo come matti e sazi, già perché una cosa bella di questi corsi è che prima cucini e poi ti mangi tutto insieme agli altri partecipanti, si apre anche qualche bottiglia di vino e ci si diverte un sacco. Insomma una bella serata, con bella gente, buon vino e buon ciblo: cosa chiedere di meglio?
Però ora concedetemi di essere romantica (ma poco, giuro). La focaccia al formaggio più buona in assoluto è quella che poi abbiamo fatto insieme a casa, a quattro mani; durante la preparazione abbiamo battibeccato come al solito, come al solito lui era il grande chef e io il sous-sous-sous chef, come al solito ci sono stati momenti in cui il mattarello glielo avrei rotto in testa, ma va bene così, perché poi basta un sorriso, una battuta e torna l’armonia.
Perchè l’amore si nutre, sì di piccoli gesti…ma anche di ottime focacce al formaggio.

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Bo Innovation

Beh, il mio primo post non poteva che trattare un argomento culinario, e quindi eccomi qui per raccontarti una serata “estrema”.
Estrema perché il payoff di “Bo innovation” è “extreme chinese cuisine”, e almeno inizialmente ci aveva un po’ intimoriti – diciamolo, estremo e cinese nella stessa frase non tranquillizzerebbe nessuno – però con un pizzico di coraggio e tanta curiosità abbiamo deciso di provare questa esperienza.
Arriviamo con un po’ di anticipo rispetto alla prenotazione, siamo stati più bravi del previsto a trovare il locale che si trova sull’isola di Hong Kong vicino alla metro di Wan Chai, quindi il maître spiazzato dal nostro anticipo ci sistema in un tavolino di fuori, purtroppo però a fine serata i funghi a gas non riusciranno a contrastare la brezza e “fuggiremo” quanto prima per evitare di congelare completamente.
La carta prevede solamente tre tipi di menù degustazione, scegliamo il “tasting menu” meno articolato, che comprende già sette antipasti, un piatto principale e un paio di dessert.
Iniziamo con il “giardino morto”, a prima vista assomiglia ad una zolla di terremo con su qualche ramoscello (in realtà sono funghi enoki passati all’azoto liquido) e un vermicello fritto, poggiati su un letto di “terra” fatta da polvere di porcini disidratati, che nasconde la zolla di spuma al lime.

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Sul sentore di fungo proseguiamo con il secondo assaggio, “Morel” noodle di spugnole con qualche fungo e prosciutto iberico.
Foie gras mui choy è la portata successiva, non chiedetemi cosa voglia dire… Non lo so… Il cameriere sollecitato a parlare più lentamente ha proseguito imperterrito alla stessa velocità, in sostanza è una fetta di foie gras al naturale piastrato con un gelato… Mui choy 😉 non mi ha fatto impazzire ma non sono un amante del foie gras, al contrario Manuela ne era entusiasta.
Il merluzzo invece con una gelatina di zafferano, crema al miso e alghe disidratate mi ha interessato, tutti gli ingredienti insieme hanno creato un’armonia incredibile, in particolare le alghe hanno bilanciato splendidamente il piatto che altrimenti sarebbe stato sovrastato dallo zafferano.

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Ma ora veniamo al “molecolar”, il cameriere ci porge un cucchiaio con all’interno una sfera gelatinosa all’aspetto, ci chiede di chiudere gli occhi e assaggiare il boccone in una sola volta, lo assecondiamo incuriositi. Appena schiacciamo la sfera si schiude e rilascia un intingolo meraviglioso, una sorta di brodo molto sapido, credo – ma il cameriere parla sempre più velocemente – che si tratti di una sorta di raviolo tipico cinese servito in brodo ma al contrario, il brodo è il ripieno di questo raviolo molecolare.

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Dopo una capasanta quelchel’è… Buona ma dopo il raviolo, mi sembra quasi scontata… Arriva un altro piattino che ci ha colpito molto, il “tomato”, un trittico formato da un pomodorino, una specie di oliva… È un enigmatico marshmallow.
Il pomodorino ci spiegano viene lasciamo 45 minuti in immersione nel pat chun, una specie di aceto zuccherato, ci consigliano di mangiarlo con le mani perché è molto “juicy” e sicuramente con le bacchette lo avrei pataccato sulla camicia…
Il pomodorino è incredibile, da spugna ha assorbito il condimento e lo restituisce quasi come la sfera molecolare di prima. Assaggiamo poi l’oliva fermentata che viene fritta e servita con una misteriosa tapenade, e infine assaggiamo questo curioso marshmallow che racchiude un liquido verde, sembra basilico, il gusto nel complesso ci è familiare, sembra quasi un piatto di casa nostra, se non fosse per le diverse ed inaspettate consistenze.

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È il momento dei piatti principali, Manuela ha scelto un pollo long jiang con riso (Acquerello per la cronaca) ed io i gamberi rossi.
Nel complesso ottimi piatti, ma abituati ai fuochi artificiali iniziali siamo rimasti un po’ delusi, però nessuna lamentela.
Proseguiamo con un assaggio di dessert e i petit dim-sum che accompagnano un piccolo the freddo, questi ultimi non ci sono piaciuti particolarmente, un mix dolce, salato e umame che non ha brillato per i nostri gusti.
Due parole con lo chef Alvin Leung e via prima di congelare.
La serata è stata sicuramente da ricordare con piatti e sapori sicuramente inusuali ma allo stesso modo familiari, la cucina cinese estrema si è rivelata una divertente sopresa.
Ora a dormire… Che domani si va da Nobu…