Hai detto “cuoco”?

Bloccati a casa da influenze, virus e acciacchi vari, l’unico modo per far passare il tempo è stato ammazzarsi di zapping, e dopo giorni passati a saltellare da un canale all’altro, lo devo proprio dire:
I PROGRAMMI DI CUCINA HANNO ROTTO!
Non se ne può più, la parola più inflazionata nei palinsesti televisivi è “cuoco”.
La prova del cuoco, Cuochi e fiamme, In cucina con…, Max cucina l’Italia, Accademia Montarsino, Le conserve di Camilla, La terra dei cuochi, Masterchef, Chef per un giorno, Fuori menù, I menù di Benedetta, Cucine da incubo, Il piatto preferito di…, Il club delle cuoche, interi canali dedicati all’argomento cibo e cucina…basta, davvero.
Io a furia di sentire parole come “dadolata” “spadellata” e poi lasciate soffriggere, fate evaporare, create un’emulsione, e via di seguito, mi rendo conto che sto maturando un vero e proprio senso di ostilità, e il taglio brunoise, e quello a julienne…. Suvvia si tratta sempre e comunque di verdure tagliate a pezzi…
E mi raccomando: che non manchi mai la nota acida, il croccante (i più fighi diranno “il cruch”), il caldo, il freddo e una bella grattata di zeste di limone (già nota come scorzetta, ma mi rendo conto che scorzetta non è abbastanza cool…)per la freschezza, ovviamente.
Ovunque ti giri c’è un esperto di cucina…pardon “food blogger” che mette insieme piatti che poi ti voglio vedere a buttarli giù, dalla finestra forse…ingredienti che non ci azzeccano niente l’uno con l’altro.
Poche sere fa hanno chiesto a una food blogger come cucinasse le mormore. Risposta: a, sì dunque…faccio prima un fondo di mele tagliate a pezzi, metto un po’ di miele per far caramellare il tutto, poi una leggera panatura di mandorle e pistacchi e come accompagnamento una salsa di yogurt profumata al curry. Scusa tesoro sei ancora single, vero? Immaginavo….Ma te la mangerai te ‘sta schifezza, cosa ti ha fatto di male quella povera mormora da darle una così indegna sepoltura?
Io non capisco questa malsana necessità di creare accostamenti impossibili, va bene sperimentare, va bene ampliare le proprie frontiere del gusto, va bene tutto, ma a tutto appunto, c’è un limite, e ve lo dice una che non si tira indietro, a Hong Kong abbiamo provato pure la cucina cinese molecolare estrema di Alvin Lung, particolarissima, ma con un senso.
Essere “food blogger” non è un salvacondotto per propinare porcherie, perché, come ha detto la signorina di cui sopra ” a noi food blogger piacciono questi accostamenti nuovi con presentazioni design”: ma scendi dall’albero che fino a ieri non sapevi cuocere un uovo…
E la memoria corre a una cena favolosa presso il ristorante di uno dei veri maestri della cucina italiana: l’Albereta di Gualtiero Marchesi. Materie prime esaltate all’ennesima potenza grazie ad accostamenti perfetti, consistenze voluttuose, presentazioni stupefacenti, nessuna traccia di banalità e di bizzarrie gastronomiche. Ad ogni boccone percepivi la cultura che sta dietro alla costruzione di un piatto, alla conoscenza degli ingredienti di cui si compone, infatti spesso è lavoro di mesi, altro che “dieci minuti e via”.
Celebre la frase dello stesso Marchesi “così come per suonare Chopin devi conoscere bene la musica, allo stesso modo per cucinare bene un pesce devi conoscere bene le qualità della sua carne” e a riguardo del fenomeno crescente dei food-blogger dice “…Può essere interessante se ci sono dei maestri, se c’è qualcuno che insegna qualcosa, se no fare per fare non serve a niente”.
E spegnete la televisione.

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Magda’s Daddy

Ho avuto una grande fortuna nella vita.
Ho avuto il privilegio di avere un padre capace di raggiungere le profondità del mare per poi spiegarmi con parole semplici, le mille sfumature di quegli abissi.
Un uomo lapidario che come uno chef esperto, sapeva dosare ogni singola parola per spiegare cose che ad altri ci sarebbero volute intere pagine.
Mi ha voluto un bene immenso, fatto di poche smancerie, molti silenzi e un’intesa invidiabile, ci si capiva con uno sguardo, un mezzo sorriso, un cenno del capo.
Mi ha insegnato il coraggio dettato dalla sicurezza nei propri mezzi, già, perché quando cresci con un padre che costantemente ti fa sentire, con parole e fatti, che lui ha totale fiducia in te e in ciò che fai, poi è inevitabile che questa sicurezza ti rimarrà dentro accompagnando ogni tuo gesto, anche quelli sbagliati perché “anche le esperienze negative portano sempre qualche insegnamento”.
Mi ha fatto capire l’importanza della parola “responsabilità”: “bisogna sempre pagare di tasca propria il prezzo delle proprie azioni”, e il valore inestimabile dell’onestà e della correttezza: “mettiti in condizione di non dover mai abbassare la testa davanti a nessuno”.
Così come dava per scontato che le cose andavano fatte bene, (ai tempi della scuola per lui era assolutamente ovvio e normale che io andassi bene e prendessi dei bei voti), all’opposto era capace di estemporanei gesti di riconoscimento per il raggiungimento di un obiettivo. Conservo ancora gelosamente il biglietto che mi aveva scritto in occasione dell’esame di maturità “al di là di qualunque risultato, con lo stesso impegno con cui hai affrontato questo esame, fallo anche con il proseguo della tua vita. Tuo papà Pino”. Un piccolo biglietto bianco, con una bustina rosa messo sotto il piatto a pranzo il giorno in cui ho sostenuto l’esame orale, nessuno sapeva che voto avrei preso, ma io per prepararmi adeguatamente ci avevo messo l’anima e a lui bastava questo.
Non è stato sempre un idillio il nostro rapporto, ci sono stati anni duri fatti di astio e chiusura totale, anni in cui i nostri codici di comunicazione sono saltati tutti, non ci capivamo più e non parlavamo più, ma sono stati anni importanti comunque, perché il rapporto si è evoluto passando da essere “padre-figlia” a “adulto-adulta” e così, quando la guerra è finita, eravamo ancora più vicini di prima, anche se io ero non abitavo più a casa loro, ma a casa mia.
È stato in questi anni che ho capito quanto fossi importante per mio padre, ogni scusa era buona per passare a farmi un saluto, giusto il tempo di un caffè e una sigaretta fumata insieme a parlare di tutto, a darmi la carica quando ero a terra “io sulla qualità delle tue scelte non ho mai avuto dubbi” e a ricordarmi che ci sono momenti duri ma non bisogna mollare perché “tu sei una destinata a vincere”. A chi non lo conosceva bene poteva sembrare un uomo burbero e pure un po’ duro, io so che è vero il contrario, mio padre era dolce e romantico, solo che concedeva a pochi di vederlo in un momento di tenerezza perché si emozionava, lo so per certo perché io sono uguale a lui. Da lui ho imparato a leggere prima il biglietto e poi ad aprire il regalo, perché il significato del gesto vale più del gesto in sè; sempre come lui mi commuovo fino alle lacrime davanti a una bella emozione, e come lui mi commuovo davanti a un abbraccio inaspettato o una parola gentile.
Cos’altro vi posso dire su di lui che non suoni sdolcinato e melenso?
Questo vi dico, soprattutto a chi di voi ha una figlia femmina: vogliatele bene, ma ancor più importante, insegnatele a volersi bene lei per prima, statele vicino ma insegnatele a cavarsela da sola perché lei ha tutti i mezzi per farlo, e se non ci crede ripeteteglielo mille volte finché non se ne convince.
E poi il più importante di tutti gli insegnamenti di mio padre: il rispetto prima di esigerlo, bisogna darlo. Non si può esigere rispetto se non ci si comporta in maniera corretta e non si da rispetto noi per primi.
Il dolore per la perdita di un genitore è un dolore strano che disorienta, è un rito di passaggio, da figlio diventi adulto e questo dolore ti accompagnerà sempre, ma il dolore per la perdita si trasforma giorno dopo giorno nella dolcezza del ricordo, diventa rifugio.
E smette di fare male.

Davanti allo specchio

Il primo sospetto ti viene quando cominciano a darti del “lei” e ti domandi incredula come sia mai possibile che dei tuoi quasi coetanei, si rivolgano a te con così tanto rispetto. Ma il pensiero scivola via veloce e non ci pensi più.
Poi arriva il momento tragico: ti svegli una mattina e lui è lì, come se niente fosse, silenzioso sbeffeggiatore della tua verde età ormai sfiorita: il primo capello bianco.
In preda al panico cominci a spiluccare i capelli alla ricerca di altre prove del tuo incanutimento…tranquilla, le troverai e senza fatica. È ufficiale, sei diventata grande (eufemismo). Che quello dei capelli bianchi è il minore dei mali, fissi un appuntamento dalla parrucchiera ed è bello che risolto, anzi il nuovo colore ti sta meglio dell’originale e sembri pure più giovane.
Olè, 1 a 1 e palla al centro.
In preda al panico davanti all’idea di invecchiare, scattano i controlli alla carrozzeria: si comincia prendendo a pizzicotti la parte posteriore del braccio (non mi dilungo in ulteriori spiegazioni, tanto siete tutte li che pizzicottate nel punto esatto) per vedere se tiene, se potete ancora usare il salino in pubblico se per caso indossate una maglia con le maniche corte – e comunque le maniche a 3/4 sono raffinatissime-o se siete condannate ad una vita di mangiare sciapo. Si prosegue analizzando il vostro profilo allo specchio: il mento? Che dice il mento? Vi garantisce ancora un profilo degno del più spietato dei dolcevita a collo alto, oppure, onde evitare di sembrare una tartaruga che esce dal suo guscio, sarà il caso di optare per scolli un po’ più morbidi che daranno al vostro collo un bella rincorsa?
E poi giù giù giù, verso gli inferi.
Il décolleté…un tempo si faceva la prova della matita. Si metteva una matita sotto la piega del seno, se cadeva eravate salve, se rimaneva bella ferma li voleva semplicemente dire che gli ormeggi avevano ceduto, e bisognava organizzarsi in termini di paranchi e sostegni.
Ora, senza arrivare a tanto, nel dubbio regalatevi un bel push up e buonanotte ai sognatori, alcuni sono veramente miracolosi: alzano, riempiono, regalano una taglia, peccato che rischiate una denuncia per millantato credito, da vestite siamo tutte maggiorate, e poi….
Senza pietà, continuate a scendere: avete anche voi il piercing all’ombelico? Segno tangibile che un tempo il nostro addome era tonico, teso e piatto come la pelle di un tamburo, nulla osava intromettersi fra la pelle e gli addominali, erano un tutt’uno, i jeans a vita bassa non facevano paura e non erano scomodi, erano semplicemente una partita vinta.
Pazienza dai, con circa un miliardo di addominali al giorno la situazione può tornare agli antichi splendori, e se come dieta giornaliera ci facciamo bastare un’oliva (snocciolata) e circa 10 litri di “acqua che elimina l’acqua” (ma vaffanculo va! Te e io che ci credo) possiamo comodamente ritrovare quell’armoniosa e scattante silhouette di un tempo, sì ma sdraiate, fra quattro tavole, al buio e con intorno i nostri cari che piangono.
E adesso giratevi di 180 gradi e toglietevi quei leggings “shape” che strizzano e sollevano così in alto che più in alto non si può. Al buio questa prova non vale, quindi: riaccendete la luce, furbone!
A quale categoria appartenete? A quella che il tempo ha appiattito e livellato tutto al punto che sembra che vi abbiano dato una padellata rovente sul sedere, o a quelle che il rimpolpamento gluteale è proporzionale al tempo che passa? Il cibo entra nella bocca, poi, giusto il tempo di trasformarsi in ciccia e poi attraverso scivoli posizionati in maniera strategica da chissà chi, si va a mettere proprio li al suo posto su chiappe e fianchi: maledetto!!
Delle cosce non voglio parlare, ognuna mediti sulle proprie disgrazie, e amen.
Anche i piedi non sono più gli stessi: prima qualsiasi scarpa calzavate andava a pennello, ora una fa male dietro, l’altra fa male in punta, l’altra ancora vi fa venire il mal di schiena e vi batte sulla nocetta. Cheppalle!!!
Devo ancora capire come mai noi donne man mano che gli anni passano invecchiamo, e gli uomini invece acquistano fascino. Su di loro i capelli grigi sono fichissimi mentre su di noi fanno pena. Le loro manigliette dell’amore sono adorabili, su di noi sono patetiche. La pancetta maschile è indice di benessere su di noi è antiestetica. Un uomo che indossa scarpe brutte ma comode è un furbone, una donna invece diventa subito una vecchia belarda. Un uomo che si abbandona ai piaceri della tavola è uno che si gode la vita, mentre a noi donne viene chiesto di passare la vita mangiando insalata (ma non siamo conigli)….NON È EQUO!
Rivoglio indietro il mio metabolismo super veloce, quello che mi faceva dimagrire mangiando come un bue, quello che bruciava ogni singola caloria che io introducevo impunemente nel mio corpo, senza rinunciare però allo sguardo che ho adesso, al suono della mia risata e alla mia voce matura.
Ho quarant’anni, porto la 44, ho la cellulite, mi tingo i capelli e dovrei perdere qualche chilo…. Sono una donna. Quindi?
Va bene così.

Orchi e pettirossi

C’è una ragazza da queste parti, un po’ troppo distratta….
Una ragazza esile come un giunco, con gli occhi troppo grandi per quel viso minuto, occhi che nascondono qualcosa.
Questa ragazza girando per casa sbatte nei pensili, centra sempre qualche spigolo, cade sempre dalle scale, deve soffrire molto il freddo perché può capitare che indossi le maniche lunghe anche d’estate.
Quando la chiama il fidanzato sul cellulare, le mani le tremano sempre un poco e la sua voce diventa un pochino stridula….spalanca gli occhi e gli chiede sempre scusa.
Quando li vedi insieme però sono proprio una bella coppia, lui confronto a lei è un gigante, lei sarà quaranta chili con le scarpe e lui le appoggia sempre il braccio sulle spalle, la avvolge, come se la volesse proteggere. Lei in casa lo tratta come un principe, gli raccoglie i mozziconi che lui butta a terra e per fargli la pasta fatta in casa come piace a lui, lei si alza alle cinque del mattino, prepara il pranzo, la cena, pulisce casa in silenzio e poi esce chiudendo piano la porta, così non lo sveglia, il suo principe.
Lui è tutto il suo mondo, lei non farebbe nulla per contrariarlo, solo quella volta, quando lei ha fatto tardi al lavoro e lui si è molto preoccupato al punto che è sceso in piazza ed è andato a prenderla in negozio, l’ha riportata a casa trascinandola per un braccio, il giorno dopo lei indossava le maniche lunghe…non lo ricordo con precisione, ma forse era una giornata un pochino più fresca. I giorni dopo aveva gli occhi sbarrati, sembrava un uccellino impaurito, però sorrideva, ha un sorriso splendido. Lui sorride poco e ha gli occhi che sembrano due lame, a me è anche un po’ antipatico, però se la ama va bene così, deve piacere a lei mica a me.
Chissà che spavento si è preso quella sera che i vicini hanno sentito quel gran fracasso e poi quel tonfo: distrattamente lei ha messo male un piede ed è ruzzolata giù dalle scale, tante scale, a giudicare dai lividi che aveva sulle gambe, aveva anche un brutto segno viola sul collo”cavolo, stellin, stai attenta a quello che fai, va a finire che ti ammazzi”.
Però lui fra le lenzuola è un drago e quando ti ricopre di insulti, alla fine, è un giochino divertente per rendere il tutto più eccitante, anche quella volta che ti ha stretto le mani intorno al collo però un po’ troppo a lungo, sì quella volta un pochino di paura te la sei trovata, ma poi hai dormito abbracciata a lui. Che ti ama. Tanto.
L’ho rivista qualche tempo fa, mi è corsa incontro, il sorriso era un po’ tirato, per baciarle le guance le ho scostato i capelli…una brutta ferita con i punti ancora freschi sulla tempia destra “i pensili della cucina” si è prontamente giustificata. I miei occhi hanno incrociato quelli del suo fidanzato, mi sono sentita molto a disagio, un brivido mi ha percorso la schiena e ho dovuto distogliere lo sguardo, ma è come se avessi visto tutto.
Ho visto due mani stringere troppo forte quelle esili braccia e strattonare un corpo indifeso come fosse una bambola di pezza. Ho visto una ragazza poco più che ventenne vivere di paure e ridotta praticamente schiava dall’uomo che dice di amarla, ho sentito il rumore sordo dei calci sulle gambe, dei pugni sulla schiena, gli schiaffi così forti da farla sbattere con la tempia in uno spigolo.
Le decine di messaggi e le telefonate ossessive che se non rispondi subito, a casa sono botte, ancora e ancora, finché non impari come ci si comporta.
Una ragazza in fiore sfiorire fino a diventare l’ombra di se stessa…
Questo vorrei dirle: l’amore quando è sano e vero, rende belle, fa entrare dentro di noi la luce da ogni singolo poro, ci rende sicure e spavalde perché sappiamo di non essere sole, il nostro più grande sostenitore è al nostro fianco.
Un uomo che ti ama non alzerebbe mai nemmeno un dito su di te, nemmeno per scherzo. Un uomo che ti ama non si rivolgerebbe mai nei tuoi confronti a male parole, e non potrebbe tollerare che tu possa avere paura di lui. Un uomo che ti ama ti offre solo il meglio che ti può dare.
Ti avvolgerà le spalle con le sue braccia e saranno rifugio per te, e non le spire di un serpente, sempre più strette e soffocanti. Le sue mani saranno carezze e non sberle… Avrà cura e rispetto dei tuoi sogni e ti aiuterà a combattere tutti i tuoi incubi.
Un uomo violento invece, ti trascinerà talmente a fondo nella sua follia, da farti credere che le botte e gli insulti te li meriti, e che sei stata fortunata a incontrare lui che ti ama anche se il tuo valore come persona è prossimo allo zero. Un uomo violento prima ancora che sul corpo si accanisce sulla tua autostima, sulla tua consapevolezza di donna, riducendole in briciole, il resto poi è un tragico crescendo.
E tu stai lì, ferma immobile, come se fosse l’unico posto sulla Terra dove tu meriti di stare.
E soprattutto un uomo che picchia non smette di farlo per amore tuo, anche perché un uomo violento è un uomo che non sa amare. C’è solo una cosa da fare: scappare via il più lontano e il più velocemente possibile.
Prima che sia troppo tardi.

Magda e Furio al corso di cucina.

Magda e Furio al corso di cucina.

E un giorno come tutti gli altri, Furio se ne esce con una trovata delle sue: “potremmo fare un corso di cucina insieme, che te ne pare?”
Anche se confesso di non averci mai pensato, quando me lo ha proposto ho accettato con entusiasmo. Indosso una sgargiante camicia a quadri che Furio odia visceralmente, dice che mi fa assomigliare a un tagliaboschi, io invece la adoro, e sarà che mi ricorda inconsciamente la tovaglia di una trattoria, ma mi sembra molto appropriata, in cucina con un look perfetto, la Cristina Parodi di casa nostra, che farà dei pasticci, non saprà cucinare, tutti la criticano e fanno i sofisticati, ma poi tutti vorremmo essere al suo posto a fare i piaciughi che fa lei, strapagata per farli.
Ma torniamo a noi.
Bene, diventeremo maestri in focaccia al formaggio.
Iscriversi è stato facile, complice un’ amica che lavora dove organizzano questi corsi: L’Accademia dei sapori. E così eccoci qui, con il nostro bel grembiulino e il blocchetto dove appuntare tutti i segreti di cucina che ci verranno svelati.
A dire il vero scrivo solo io, Magda, un po’ perché soffro della “sindrome della secchiona” nel senso che adoro prendere appunti, e un po’ perché Furio considera carta e penna strumenti irrimediabilmente obsoleti. Confesso che anche la semplice lista della spesa, dalle nostre parti, viene fatta usando l’apposita app del telefono, e quello che uno dei due scrive viene trasmesso in tempo reale all’i-phone dell’altro in modo da avere la situazione costantemente aggiornata…non chiedetemi spiegazioni su come funziona l’ambaradan, io mi limito a eseguire pedissequamente quanto mi è stato spiegato.
E poi perché, semplicemente, il boss (lui) detta e la segretaria (io) scrive, sì esatto, sempre per via di quella tacita ripartizione dei ruoli….( ma mi ribellerò un giorno).
La prima domanda che ci facciamo è: ma perché sono tutti serissimi mentre noi sembriamo due adolescenti stupidi in gita? Sono tutti seri seri, e fatevela una risata!
La seconda domanda che io mi faccio, invece è: ma perché a impasto ultimato, la postazione di Furio è tutta pulita mentre la mia sembra che abbiano nascosto un petardo nella farina?
C’è farina per terra, farina in faccia, il grembiule è un pasticcio, ho tracce di impasto sui capelli e sulle scarpe…dovranno far brillare la sala per riportare ordine e pulizia.
È anche vero che non esistono artisti ordinati, il genio artistico si nutre di stimoli, caos, confusione….vero? Provate a immaginare lo studio di Picasso: mica lo immaginerete tutto bello lindo, pulito e in ordine? Forse lo studiolo di Giacomo Leopardi, quello sì che era ordinato, alla peggio c’era giusto lui legato alla sedia che si struggeva d’amore per la cara Silvia…ma non c’è paragone.
1 a 0 per Magda.
E Furio che si pavoneggia di essere il più bravo….
Ma torniamo alla focaccia al formaggio. Steso l’impasto arriva il momento di mettere lo stracchino: Furio tutto ligio e preciso distribuisce con ordine certosino i pezzi di stracchino, Magda rigorosamente a casaccio, butta motti di stracchino e grazie a un momento di distrazione del maestro, ruba un altro pezzo di formaggio…doppia farcitura e spuntino; il mondo è degli scaltri, mica dei precisetti.
2 a 0 per Magda.
Alla prova forno devo ammettere che ne usciamo parimerito, Furio cercherà di perorare la sua causa dicendo che la sua era più equilibrata, che nella mia c’era troppo formaggio…ma si chiama “focaccia al formaggio” mica “focaccia equilibratamente al formaggio”, quindi:
3 a 0 per Magda.
Usciamo dall’Accademia ridendo come matti e sazi, già perché una cosa bella di questi corsi è che prima cucini e poi ti mangi tutto insieme agli altri partecipanti, si apre anche qualche bottiglia di vino e ci si diverte un sacco. Insomma una bella serata, con bella gente, buon vino e buon ciblo: cosa chiedere di meglio?
Però ora concedetemi di essere romantica (ma poco, giuro). La focaccia al formaggio più buona in assoluto è quella che poi abbiamo fatto insieme a casa, a quattro mani; durante la preparazione abbiamo battibeccato come al solito, come al solito lui era il grande chef e io il sous-sous-sous chef, come al solito ci sono stati momenti in cui il mattarello glielo avrei rotto in testa, ma va bene così, perché poi basta un sorriso, una battuta e torna l’armonia.
Perchè l’amore si nutre, sì di piccoli gesti…ma anche di ottime focacce al formaggio.

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Magda e Furio “imbianchini fai da te”

Settimana scorsa, complice una mia settimana di ferie, con il caro Furio abbiamo deciso di dare una bella rinfrescata a casa.
Wow! Che bello! Non vedo l’ora!
Povera…piccola…ingenua Magda…. Eppure lo hai sposato, ci convivi da anni, lo sai come è fatto, lo dovresti sapere ormai che se per il resto del mondo, dare una mano di bianco, significa effettivamente “dare una mano di bianco”, per Furietto tuo, no. Furietto se deve imbiancare casa prima elabora con il suo fidato Mac varie possibili soluzioni, così attendibili da sembrare foto del lavoro già ultimato, peccato che a quel preciso risultato ci si deve ancora arrivare e la strada è lunga e irta di pericoli. Il resto del mondo ci impiega una manciata di ore, noi una settimana di lavoro “matto e disperatissimo”, e tre giorni di casa fisicamente inagibile. Ma perché?
Bisogna fare un programma. Furio è il re dei programmi.
Punto primo: organigramma della squadra.
Furio: architetto/capocantiere/capomastro/vertice supremo della piramide.
Magda: boccia/ sguattero/ galoppino/ base infima della piramide.
….c’era da aspettarselo….
Punto secondo: pianificazione dei lavori.
Furio:progettazione e definizione dei lavori da fare. Mi preme precisare che questa parte Furio l’ha svolta innegabilmente bene, ma altrettanto innegabilmente, comodamente seduto.
Magda: esecuzione materiale delle cose da fare. Postilla: solo una di queste cose presupponeva un assetto quasi comodo, e cioè, reperire tutti i materiali (infatti questa parte è stata fatta in condivisione con Furio); tutte le altre mansioni andavano eseguite o in ginocchio, o arrampicata in cima ad una scala, o infilata nei mille rebighi di casa, o trasportando oggetti da un lato all’altro di casa.
….era la mia settimana di ferie….sob
Punto terzo.Preparazione dei muri: schiavo scelto, Magda (te pareva).
Non avete idea di cosa voglia dire smacchiare un muro dalle macchie di muffa, ho usato ogni solvente chimico possibile e immaginabile, ho grattato, spazzolato, sfregato come una Cenerentola pazza, ho respirato vapori di ogni tipo, mi sono quasi intossicata, ho visto i draghi verdi e gli elefanti volare ma l’ho spuntata io.
Vietato lamentarsi della faticaccia con Furio, perché se la muffa si è accumulata OVVIAMENTE è per negligenza mia che non l’ho tolta tempestivamente, e altrettanto OVVIAMENTE “tutto qui?non hai fatto altvo?” (Per chi non lo conoscesse, Furio vanta una aristocratica erre muta, adorabile o detestabile, dipende dal contesto, in questo caso era decisamente detestabile).
Punto quarto.Preparazione delle stanze da trattare. La mente: Furio.Le braccia: Magda (ca va sans dire).
Ossia come smantellare una casa in due giorni: ammucchiare quante più cose possibile nella stanza superstite in modo da liberare tutte le superfici da pitturare. Fasciare le prese con lo scotch di carta, passare lo scotch intorno alle finestre e sugli zoccolini di ardesia (e cosa ben più faticosa, cercare di non strangolare Furio quando, tornato dall’ufficio ve lo strappa tutto in quanto “messo alla cavlona”), tappezzare tutto il pavimento con fogli di giornale, credo che ne avremo usati una tonnellata, ma qui giocavamo in casa, la mamma di Furio ha un’edicola, fasciare con il cellophane tutti i mobili della cucina, della camera, della sala.
…nel frattempo avete stretto amicizia con i commessi del negozio di pitture perché ogni giorno Furio vi ha spedito a comprare qualcosa “tanto sei a casa”.
E finalmente arriva il gran giorno: si pittura.
A seguire schema di ripartizione dei lavori:
Furio praticamente tutte le superfici raggiungibili a braccio senza scala.
Magda: le parti alte dei muri, i soffitti, gli angoli angusti “falli tu amove che sei magva e ci avvivi bene” “quando ti viene bene sono magra, eh? Brutta BIIIP che non sei altro” (in base all’uso delle “erre” capirete a chi appartengono le battute). Ovviamente Magda è stata più volta redarguita in quanto troppo lenta nell’eseguire i suoi compiti e poco importa se erano mooooolto più difficili e scomodi di quelli di Furio (GRRRRRRRR)
In questa fase abbiamo sfiorato almeno una dozzina di volte il divorzio, almeno una ventina ho meditato di ucciderlo, almeno una trentina ho stramaledetto il giorno in cui ho detto “certo che si potrebbe dare una rinfrescata a casa”.
Arrivavamo a sera sfatti, sporchi, stanchi morti, nel frattempo ci siamo presi pure un raffreddore biblico, la nostra stanza inagibile e quindi ci siamo accampati nello studio dove c’è un divano letto. Abbiamo elemosinato cibo da tutti i parenti, mangiato pizze nel cartone acciambellati sul tappeto foderato nel cellophane.
A lavoro ultimato la soddisfazione è veramente tanta, ma che fatica…
Chiudo con un pensiero a voce alta ricordando le lunghe ore passate in ginocchio: ho passato tanto di quel tempo in ginocchio a pulire, grattare, pitturare e passare nastro che se avessi passato lo stesso tempo in ginocchio davanti a mio marito, probabilmente lui sarebbe l’uomo più felice della Terra e io avrei ottenuto che a “dare una rinfrescata a casa” venisse una squadra di imbianchini.

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Inutile piangere sul cuore spezzato

È capitato a tutte, alle più fortunate non capiterà più, le più ostinate ci sbatteranno ancora il muso.
Di cosa parlo?
Pene d’amore.
Quelle che straziano l’anima, ci fanno piangere, ci fanno invocare la morte ( a botta calda la nostra, sulla via della guarigione, quella altrui) e unica nota positiva: ci fanno dimagrire.
Ma andiamo con ordine. La dinamica è più o meno questa: rapporto traballante, lui diventa piano piano un estraneo, in casa non si parla più, gli istinti sessuali sono schiattati, regna un clima di generale ostilità, alla nostra domanda “c’è qualcosa che non va?” Lui risponde con un telegrafico no…Marca malissimo, fino al fatidico giorno in cui: adieu, good-bye, arrivederci a mai più. O lui raccoglie i suoi pezzi, o voi venite gentilmente invitate a raccogliere i vostri, poco importa, uno dei due uscirà dalla porta.
3…2…1 che il dramma abbia inizio.
Dall’alto della mia esperienza sia come consolatrice che come consolata, posso affermare che, sia che la donna lasci o venga lasciata spargerà fiumi di lacrime, l’uomo fiumi sì…ma di birra.
Ho visto amiche ( e va bene, sì anche io, uff) distruggersi su un amore finito, smettiamo di dormire e di mangiare e puoi riconoscere una donna appena lasciata da due indizi inequivocabili: una mano stretta intorno al cellulare che controllerà ogni cinque secondi, se c’è campo, se c’è credito, e come mai non riceve più messaggi: semplicemente perché non ne arrivano, lui non ci scrive, facciamocene una ragione! Nell’altra una sigaretta perennemente accesa che fumerà in maniera isterica. Diventiamo monotematiche, pesanti come pietre, magre come acciughe, con lo sguardo folle.
E così, sul lento leitmotiv della disperazione passano i giorni, alterniamo momenti di furia cieca “lo voglio vedere morire annegato nel suo sangue” a momenti di euforia “wow come sono magra”, momenti in cui ci proclamiamo seriamente intenzionate a prendere i voti “io con gli uomini ho chiuso” a momenti in cui “uomini venite a me, sono single e disponibile”, persino le nostre fidate amiche faticano a starci dietro….
Arriva poi il tragico, tragicissimo giorno in cui vi proclamate pronte per confrontarvi con il vostro ex “d’altronde lui MI DEVE una spiegazione”…mioddio potessi fermarvi tutte in tempo prima di questa carneficina, vincerei un Nobel, non so a che titolo, ma lo vincerei.
Ci si prepara come se dovessimo partecipare a una battuta di caccia grossa: nessun dettaglio viene trascurato, tacco 15, pantaloni aderenti, scollate, truccate, pettinate da dive, abbiamo speso una follia perché per prepararci adeguatamente abbiamo svuotato intere boutique “deve rendersi conto di cosa ha buttato via, l’infame”…. E via si parte, l’agnello (noi) che corre fra le braccia spalancate del lupo (lui). Già, proprio così, non penserete mica che lui abbia accettato di incontrarci per PARLARE con noi? Mmmmhhhh, non rispondete, va….
L’infame si comporterà da infame (gli uomini sono spesso molto coerenti), ci dirà due frasi stupide, tipo…che so “mi sei mancata”, “ti trovo bene”, noi abboccheremo come bughe (pesce noto per la sua stupidità). La serata finirà con i vostri vestiti sparsi sul pavimento, il vostro orgoglio sotto i piedi, i casi più gravi dichiarano di essere certe di averlo riconquistato….e lui? Bhe, lui dorme della grossa, russa che è un piacere e domani si sveglierà con quella canzoncina in testa: “ti piace vincere facile? Bonci bonci bonci bon”.
STATE A CASA! Siete fragili come uccellini spiumati, sprangate porte e finestre, evitatelo come si evita una brutta malattia, non cercatelo, non chiamatelo e non dimenticate che VI HA LASCIATO, la storia è finita, di sicuro da qualche parte lontanissima dentro di voi, una vocina sta urlando che è giusto così, ascoltatela.
E se proprio sentite la mancanza di un uomo, siete fortunate, oggi la tecnologia vi viene incontro: andate su internet, ci sono centinaia di siti che vendono on-line fantastici surrogati a pile, ce n’è per tutti i gusti, a “lavoro” ultimato lo mettete nel cassetto, soddisfatte e con il cuore al sicuro.
Datevi tempo, state tranquille e fidatevi di quello che vi dico: le pene d’amore fanno soffrire ma non sono letali, siamo sopravvissute tutte. Quando il vostro ex si farà di nuovo avanti (e lo farà, statene certe) voi avrete fatto così tanta strada che faticherete a ricordarvi di chi sia quell’omino che tempo addietro vi fece soffrire così tanto.
Sarete felici, serene e haimè…ingrassate, ma a questo punto basta togliere le pile alla bilancia.
Sorridete, il peggio è passato.

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I found my love in Portofino

E rieccoci qua.
Dopo quasi un anno e mezzo, Magda torna nel borgo.
Amo questo posto a livelli viscerali per una serie di motivi, per me tutti stravalidi.
A Portofino devo molto.
Quando l’azienda per cui lavoro mi ha comunicato che apriva un punto vendita qui ed era loro intenzione fare di me la responsabile, la tentazione iniziale è stata di darmela a gambe dalla paura, ma poi, dopo aver tediato amici, parenti e colleghi con tutti i miei dubbi, ho deciso di accettare.
Decisione fantastica.
In quel periodo la vita privata era un po’ un dramma: un matrimonio morto ma a cui non si voleva dare la giusta sepoltura, il cuore tutto incerottato e le ossa fragili, le energie che mi servivano per dare il necessario colpo di reni non arrivavano mai. Ero impantanata.
E invece all’improvviso ecco la grande occasione: si cambia aria, e vengo catapultata in questo posto dove, finalmente, non sono più “la moglie di…, la nuora di…., la cognata di…”, sono semplicemente Manuela. Il primo passo nella mia nuova vita è stato fatto.
Portofino è stato il mio porto seguro, i suoi abitanti prima ti studiano ma poi ti accolgono e, sarà la sua forma che assomiglia ad un abbraccio, ma io mi sono sentita subito a mio agio. E poi è di una bellezza commovente, soprattutto in certe giornate quando c’è poca gente, e il borgo si presenta pigro e silenzioso, gli unici rumori sono le grida dei gabbiani e le onde che del mare.
Alle volte basta una panchina per sentirsi i padroni del mondo.
Mi piace quando diluvia, mi piace quando c’è il sole, mi piace quando è deserta, mi piace quando è affollata e ovunque posi lo sguardo c’è qualcosa da guardare e commentare.Di qui passano i vip veri e i sedicenti tali, ho visto matrimoni da favola e altri decisamente cafoni.
Ci sono due cose che non capisco: una è quella sorta di ostilità che c’è nei suoi confronti da parte degli abitanti dei comuni vicini. Voglio dire, vengono da tutto il mondo per vederla e noi che ce l’abbiamo a pochi chilometri la snobbiamo. Le scuse sono le solite: è troppo cara, è un posto da vecchi, è una menata arrivarci. Bhè, io non sono vecchia, ci vengo tutti i giorni e sul fattore prezzi, posso dire che non è poi così proibitiva. Certo che se pensiamo che il massimo della vita sia prendere un aperitivo in uno sfigatissimo bar del centro solo perché “ci vanno tutti”, bhè in questo caso i problemi sono altri…
Provate una sera il programma “serata a Portofino” messo giù dal mio Furio e più volte testato:
-vestitevi carini ( non eleganti….ma carini, è molto diverso)
– raggiungete Rapallo anche in scooter
– prendete il traghetto per Portofino
– scendete dal traghetto (attenti a non cadere in mare – ho visto anche questo)
– intrecciate le mani del vostro lui/lei
– cenate romanticamente in uno dei ristoranti che ci sono ( a me piacciono Puny e la Taverna del marinaio, ma anche U magazin)
– fatevi una romantica passeggiata nel borgo (e magari ci scappa anche un cadeau)
– risalite sul traghetto
– scendete a Rapallo
– recuperate lo scooter e tornate a casa
Avrete passato una bellissima serata e scoprirete che non siete caduti in miseria per così poco.
Dimenticavo, lo stesso programma è valido anche per compagnie di amici, quando si cerca qualcosa da fare e spesso la serata muore li.
Una simpatica signora australiana un giorno mi disse: ho fatto il giro del mondo per venire a vedere a Portofino, ne è valsa la pena. Noi siamo così nesci che non facciamo nemmeno lo sforzo di fare il giro delle Grazie, e poi ci lamentiamo che la gente di fuori “viene nei nostri posti e si comporta come se fossero casa loro”.
Confesso che faccio fatica a comprendere….
Torta di riso? Finitaaa! ( sì perché c’è l’hanno mangiata tutta sotto al naso).

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Un giorno come un altro?

E sia, siamo nazional-popolari, facciamocene una ragione, anche noi che abbiamo la punta del naso all’insù, che vogliamo avere l’ultima parola, che ci piace andare perennemente controcorrente…. Ebbene, anche noi snobine per vocazione non solo guardiamo Festival di Sanremo, ma domani festeggeremo San Valentino.
Due al prezzo di uno.
Sul Festival non mi dilungo, in troppi lo hanno già fatto, la Littizzetto mi è simpatica, Fazio decisamente meno, la musica italiana è un po’ sempre la stessa, fiori nemmeno uno, però non so resistere alla tentazione di guardare e commentare, ovviamente tutti commenti al vetriolo, ma tant’è anche ora mentre scrivo, davanti a me il cantante dei Modà si voleva mettere la bottiglietta dell’acqua nei pantaloni ( meschino, vuol dire che c’è posto…).
E domani, bhe domani è il 14 febbraio, San Valentino. La festa degli innamorati. Forse non tutti sanno che San Valentino è nato in una famiglia patrizia, fu convertito al Cristianesimo e consacrato vescovo di Terni nel 197, a soli 21 anni.
Nell’anno 270 Valentino si trovava a Roma, giunto su invito dell’oratore greco e latino Cratone, per predicare il Vangelo e convertire i pagani.
Invitato dall’imperatore Claudio II il Gotico a sospendere la celebrazione religiosa e ad abiurare la propria fede, rifiutò di farlo, tentando anzi di convertire l’imperatore al Cristianesimo. Claudio II lo graziò dall’esecuzione capitale affidandolo a una nobile famiglia.

20130213-223730.jpgValentino venne arrestato una seconda volta sotto Aureliano, succeduto a Claudio II. L’impero proseguiva nelle sue persecuzioni contro i cristiani e, poiché la popolarità di Valentino stava crescendo, i soldati romani lo catturarono e lo portarono fuori città lungo la via Flaminia per flagellarlo, temendo che la popolazione potesse insorgere in sua difesa. Fu decapitato il 14 febbraio 273, a 97 anni, per mano del soldato romano Furius Placidus, agli ordini dell’imperatore Aureliano.
Sono molte le leggende entrate a far parte della cultura popolare, su episodi riguardanti la vita di san Valentino:
Una di esse narra che Valentino, graziato ed “affidato” ad una nobile famiglia, compì il miracolo di ridare la vista alla figlia cieca del suo “carceriere”: Valentino, quando stava per essere decapitato, teneramente legato alla giovane, la salutò con un messaggio d’addio che si chiudeva con le parole: «…dal tuo Valentino…».
Un’altra, di origine statunitense, narra come un giorno il vescovo, passeggiando, vide due giovani che stavano litigando ed andò loro incontro porgendo una rosa e invitandoli a tenerla unita nelle loro mani: i giovani si allontanarono riconciliati.Un’altra versione di questa storia narra che il santo sia riuscito ad ispirare amore ai due giovani facendo volare intorno a loro numerose coppie di piccioni che si scambiavano dolci gesti d’affetto; da questo episodio si crede possa derivare anche la diffusione dell’espressione piccioncini.
Secondo un altro racconto, Valentino, già vescovo di Terni, unì in matrimonio la giovane cristiana Serapia e il centurione romano Sabino: l’unione era ostacolata dai genitori di lei ma, vinta la resistenza di questi, si scoprì che la giovane era gravemente malata. Il centurione chiamò Valentino al capezzale della giovane morente e gli chiese di non essere mai più separato dall’amata: il santo vescovo lo battezzò e quindi lo unì in matrimonio a Serapia, dopo di che morirono entrambi.
E da qui la sua fama di protettore degli innamorati e di inguaribile romantico.

Questi i cenni biografici, se li conoscevate già, scusate la lungaggine.
La cosa che non capisco è l’approccio che si ha a questa festa. Sembra quasi che se domani osi festeggiare, vuol dire che sei un po’ sfigato. Vai di matasse di retorica “bisogna amarsi tutti i giorni, non solo oggi”, “San Valentino è la festa di ogni cretino che crede di essere amato e invece rimane fregato” e via di questo passo. Io penso che sia un po’ come la storia della volpe e l’uva.
Vado a spiegarmi. Se sei stato lasciato, se sei solo, se non ti vuole nessuno, se sprizzi antipatia da ogni poro, ecco, in questo caso è ovvio che San Valentino sia per te una festa detestabile, ed è pur sempre ovvio che tu consideri i romantici festaioli come un manipolo di anacronistici illusi. Le torte a forma di cuore patetiche, le rosse rosse hanno le spine e farsi i regali un’inutile perdita di tempo e denaro. Roba da Grinch, insomma.
Ma (adoro i ma, presagiscono sempre una svolta positiva e possibilista), se siete felicemente innamorati, se vi svegliate tutte le mattine ringraziando il Padreterno per avervi messo di fianco il vostro lui/lei, se avete raschiato il fondo del barile della solitudine e siete riusciti a risalire, se la vostra vita era già piena, ma ora trabocca da ogni parte, se amate e siete amati, da un giorno o da una vita, perché dico, perché dovete privarvi del piacere di ribadirlo una volta in più?
Come ha detto oggi il signore presso cui oggi ho preso il regalo per Furio: io e mia moglie siamo insieme da quarant’anni, litighiamo ogni giorno e ogni giorno facciamo pace, domani non faremo niente di speciale, ma io una rosa gliela porto lo stesso, e anche un po’ di gelato, che le piace tanto. La mia vita senza di lei, magari, sarebbe stata diversa, ma a me piace così, siamo innamorati, sa?
Io festeggerò alla grande, pacchetto completo: regalo, cenetta fuori, vestitino elegante e sguardi languidi. Con buona pace di chi reputa questa festa un’occasione consumistica e banale, non mi interessa.

20130213-223635.jpgLo amo da pazzi, siamo sposini novelli, se penso a lui mi sento come il pezzetto di puzzle quando trova il suo incastro perfetto.Quindi in alto i calici e abbassate le luci: San Valentino in corso.

Perché lo fai….

Ehilà ragazze, Magda è tornata e vuole dirvi due o tre cosette in fatto di stile. Per l’amore del cielo, lungi da me l’idea di dettare regole assolute, però vedo in giro cose che a me personalmente hanno stufato e, sempre personalmente, trovo che abbiano fatto il loro tempo. Ve le racconto, facendo un elenco facile e pratico, a vostro uso e consumo.
Jeans seconda-pelle infilato a forza dentro a stivali neri con tacco: semplicemente basta. È da troppi anni che sfruttiamo questa mise, che all’inizio era sexy e intrigante, poi come spesso accade, dopo anni e anni di sovraesposizione ha rotto le scatole. È molto semplice spezzare questo binomio: i jeans con le scarpe (poi definiamo quali e come), stivali con gonne o abiti ( ma anche in questo caso ne riparliamo).
Unica occasione concessa: la Regina Elisabetta vi ha invitato a una battuta di caccia alla volpe. Andate pure vestite da neo-amazzoni, e mi raccomando: accalappiate un principe e non fate male alla volpe.
Se proprio non potete farne a meno: i tacchi bassi per favore, e magari optate per un modello cuissard appena (APPENA ho detto) sopra il ginocchio e senza troppi ammennicoli tipo lacci, stringhe, borchie e di buona fattura.

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Le unghie ricostruite con il gel ultralunghe, ultradecorate, ultrabrutte. Chiedete a un uomo che cosa ne pensa: se le avete correrete a casa e ve le strapperete con le pinze, se non le avete ma l’idea vi stuzzica, abbandonerete per sempre questo progetto. A Natale gli alberelli, a Pasqua i coniglietti e tutto l’anno glitter, ma fatemi il piacere, dateci un taglio e riprendetevi cura delle vostre unghie vere.
Unica occasione concessa: a Carnevale…si ma se vi mascherate da tamarra.
Se proprio non potete farne a meno: usate il buonsenso, niente esagerazioni, devono sembrare le vostre. Non transigo.

Gli scaldamuscoli: a volte ritornano, purtroppo. Negli anni Ottanta, soggiogate dal fascino di un film come Flashdance, li abbiamo indossati con il cuore gonfio di orgoglio, le più invasate hanno spedito i loro curriculum in fabbriche testosteroniche nella speranza di venire assunte proprio come Alex nel film. Ma avevamo diciotto anni e in gioventù si commettono errori. Il dramma è che sono tornati prepotentemente alla ribalta e ringalluzziti come mai avrei pensato, se ne vedono in giro di tutti i colori: lisci o lavorati ai ferri, con piccoli decori traforati, con bizzarri pon pon, in lana mohair, buclè, felpa e chi più ne ha più ne metta. La tragedia è che a indossarli sono le stesse teen ager dei tempi del film… Sì ma con più del doppio degli anni, e avventatamente abbinati a gonne e décolleté. Un dramma.
Unica occasione concessa: in palestra. Non intendo aggiungere altro.
Se proprio non potete farne a meno: Iscrivetevi a un corso di aerobica e diventate fan del gruppo “Jane Fonda lives inside me”.

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Le minigonne: sarò lapidaria, vale una e una sola regola. La lunghezza della gonna è direttamente proporzionale agli anni che avete, quindi non barate e carta d’identità alla mano fate da sole i conti con voi stesse. A vent’anni tutto è concesso, a trenta usate il buonsenso, cortezza massima concessa una spanna sopra il ginocchio, dai quaranta in su usate il buongusto, orli al ginocchio e minigonne nel sacco della Caritas, intanto, quando torneranno di moda voi sarete in pensione, loro pure. Per l’amor del cielo non fate stupidate: più corta è la gonna più basso deve essere il tacco. Il massimo dello chic: gonna a matita, orlo al ginocchio, calza coprente opaca scarpa tacco 8.
Unica occasione concessa: avete vent’anni. O siete colleghe di Giulia Roberts in Pretty Woman.
Se proprio non potete farne a meno: fate appello al vostro amor proprio, e fatene a meno. Salvaguarderete il vostro stile e rafforzerete il carattere, meglio di così si muore.

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E ora una chicca: quando siete in dubbio su qualcosa che riguarda il vostro stile, chiedete a un uomo, sì bhè certo, un uomo con un minimo di buongusto, che sappia almeno abbinare due colori in maniera plausibile, e state a sentire cosa vi dice. Sarà illuminante scoprire che gran parte delle cose che noi consideriamo super sexy, ai loro occhi lo sono pochissimo, per non dire per niente.
Meditate ragazze mie, meditate…
E mettete giù quella bizzarra maglia maculata, per fare le gatte non è necessario anche sembrarlo.