Dagli archivi segreti di Magda: correva l’anno 2011…

Tutto comincia con quella strana sensazione di buono, quelle sensazioni che non le sai spiegare ma sai che se le seguirai ti condurranno da qualche parte. Come intraprendere un viaggio bendati, senza conoscere nè strada nè destinazione, ma una parte di te sa, che se ti lascerai guidare dal tuo istinto, che urla e spinge perchè tu lo segua, tutto andrà per il verso giusto.
E poi ci si mette la prudenza, che ti ripete “vai piano, che se cadi poi sono dolori” e la paura, che anche lei vuole dire la sua “e se fosse un clamoroso abbaglio?” e quella subdola dell’insicurezza “che ti credi, perchè questa volta dovrebbe essere diverso?”…un gran vociare e tu ferma lì, combattuta.
Ma quel richiamo è troppo forte, e allora il lampo, l’intuizione: inviti la paura, l’insicurezza e la prudenza intorno a un tavolo da gioco.
Ce la giochiamo.
Dai le carte, chi vince si aggiudicherà il diritto di scelta, tanto sai che prudenza si accontenterà, insicurezza non vuole azzardare e paura trema davanti alle carte. E tu?
Tu, invece, giochi la mano più brillante della tua vita: poche garanzie a disposizione, ma la certezza che nulla può andare storto e così giri le tue carte sul tavolo, guardi fissa negli occhi gli altri giocatori e sorridi, loro intimoriti lasciano. Hai vinto! E mentre ti allontani da quel tavolo senti solo una voce, quella del tuo istinto che ti ripete “corri incontro a quella sensazione, azzarda, corri il rischio che andrà tutto bene”.
E’ passato un anno da quando hai zittito paura, insucurezza e prudenza, sono ancora là, sedute al tavolo con le loro inutili carte in mano e tu sorridi pensando al brivido che hai provato quel giorno, quando hai detto sì a qualcosa a cui non riuscivi a dare un nome, ma dentro di te avevi già tutte le risposte a domande non ancora poste.
E ora puoi solo confermare, è stata la scelta più azzeccata che potessi prendere: un solo sì…mille volte sì.

E ora di anni ne sono passati tre e quei mille sì brillano ancora.

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Magda’s Daddy

Ho avuto una grande fortuna nella vita.
Ho avuto il privilegio di avere un padre capace di raggiungere le profondità del mare per poi spiegarmi con parole semplici, le mille sfumature di quegli abissi.
Un uomo lapidario che come uno chef esperto, sapeva dosare ogni singola parola per spiegare cose che ad altri ci sarebbero volute intere pagine.
Mi ha voluto un bene immenso, fatto di poche smancerie, molti silenzi e un’intesa invidiabile, ci si capiva con uno sguardo, un mezzo sorriso, un cenno del capo.
Mi ha insegnato il coraggio dettato dalla sicurezza nei propri mezzi, già, perché quando cresci con un padre che costantemente ti fa sentire, con parole e fatti, che lui ha totale fiducia in te e in ciò che fai, poi è inevitabile che questa sicurezza ti rimarrà dentro accompagnando ogni tuo gesto, anche quelli sbagliati perché “anche le esperienze negative portano sempre qualche insegnamento”.
Mi ha fatto capire l’importanza della parola “responsabilità”: “bisogna sempre pagare di tasca propria il prezzo delle proprie azioni”, e il valore inestimabile dell’onestà e della correttezza: “mettiti in condizione di non dover mai abbassare la testa davanti a nessuno”.
Così come dava per scontato che le cose andavano fatte bene, (ai tempi della scuola per lui era assolutamente ovvio e normale che io andassi bene e prendessi dei bei voti), all’opposto era capace di estemporanei gesti di riconoscimento per il raggiungimento di un obiettivo. Conservo ancora gelosamente il biglietto che mi aveva scritto in occasione dell’esame di maturità “al di là di qualunque risultato, con lo stesso impegno con cui hai affrontato questo esame, fallo anche con il proseguo della tua vita. Tuo papà Pino”. Un piccolo biglietto bianco, con una bustina rosa messo sotto il piatto a pranzo il giorno in cui ho sostenuto l’esame orale, nessuno sapeva che voto avrei preso, ma io per prepararmi adeguatamente ci avevo messo l’anima e a lui bastava questo.
Non è stato sempre un idillio il nostro rapporto, ci sono stati anni duri fatti di astio e chiusura totale, anni in cui i nostri codici di comunicazione sono saltati tutti, non ci capivamo più e non parlavamo più, ma sono stati anni importanti comunque, perché il rapporto si è evoluto passando da essere “padre-figlia” a “adulto-adulta” e così, quando la guerra è finita, eravamo ancora più vicini di prima, anche se io ero non abitavo più a casa loro, ma a casa mia.
È stato in questi anni che ho capito quanto fossi importante per mio padre, ogni scusa era buona per passare a farmi un saluto, giusto il tempo di un caffè e una sigaretta fumata insieme a parlare di tutto, a darmi la carica quando ero a terra “io sulla qualità delle tue scelte non ho mai avuto dubbi” e a ricordarmi che ci sono momenti duri ma non bisogna mollare perché “tu sei una destinata a vincere”. A chi non lo conosceva bene poteva sembrare un uomo burbero e pure un po’ duro, io so che è vero il contrario, mio padre era dolce e romantico, solo che concedeva a pochi di vederlo in un momento di tenerezza perché si emozionava, lo so per certo perché io sono uguale a lui. Da lui ho imparato a leggere prima il biglietto e poi ad aprire il regalo, perché il significato del gesto vale più del gesto in sè; sempre come lui mi commuovo fino alle lacrime davanti a una bella emozione, e come lui mi commuovo davanti a un abbraccio inaspettato o una parola gentile.
Cos’altro vi posso dire su di lui che non suoni sdolcinato e melenso?
Questo vi dico, soprattutto a chi di voi ha una figlia femmina: vogliatele bene, ma ancor più importante, insegnatele a volersi bene lei per prima, statele vicino ma insegnatele a cavarsela da sola perché lei ha tutti i mezzi per farlo, e se non ci crede ripeteteglielo mille volte finché non se ne convince.
E poi il più importante di tutti gli insegnamenti di mio padre: il rispetto prima di esigerlo, bisogna darlo. Non si può esigere rispetto se non ci si comporta in maniera corretta e non si da rispetto noi per primi.
Il dolore per la perdita di un genitore è un dolore strano che disorienta, è un rito di passaggio, da figlio diventi adulto e questo dolore ti accompagnerà sempre, ma il dolore per la perdita si trasforma giorno dopo giorno nella dolcezza del ricordo, diventa rifugio.
E smette di fare male.

Magda e Furio al corso di cucina.

Magda e Furio al corso di cucina.

E un giorno come tutti gli altri, Furio se ne esce con una trovata delle sue: “potremmo fare un corso di cucina insieme, che te ne pare?”
Anche se confesso di non averci mai pensato, quando me lo ha proposto ho accettato con entusiasmo. Indosso una sgargiante camicia a quadri che Furio odia visceralmente, dice che mi fa assomigliare a un tagliaboschi, io invece la adoro, e sarà che mi ricorda inconsciamente la tovaglia di una trattoria, ma mi sembra molto appropriata, in cucina con un look perfetto, la Cristina Parodi di casa nostra, che farà dei pasticci, non saprà cucinare, tutti la criticano e fanno i sofisticati, ma poi tutti vorremmo essere al suo posto a fare i piaciughi che fa lei, strapagata per farli.
Ma torniamo a noi.
Bene, diventeremo maestri in focaccia al formaggio.
Iscriversi è stato facile, complice un’ amica che lavora dove organizzano questi corsi: L’Accademia dei sapori. E così eccoci qui, con il nostro bel grembiulino e il blocchetto dove appuntare tutti i segreti di cucina che ci verranno svelati.
A dire il vero scrivo solo io, Magda, un po’ perché soffro della “sindrome della secchiona” nel senso che adoro prendere appunti, e un po’ perché Furio considera carta e penna strumenti irrimediabilmente obsoleti. Confesso che anche la semplice lista della spesa, dalle nostre parti, viene fatta usando l’apposita app del telefono, e quello che uno dei due scrive viene trasmesso in tempo reale all’i-phone dell’altro in modo da avere la situazione costantemente aggiornata…non chiedetemi spiegazioni su come funziona l’ambaradan, io mi limito a eseguire pedissequamente quanto mi è stato spiegato.
E poi perché, semplicemente, il boss (lui) detta e la segretaria (io) scrive, sì esatto, sempre per via di quella tacita ripartizione dei ruoli….( ma mi ribellerò un giorno).
La prima domanda che ci facciamo è: ma perché sono tutti serissimi mentre noi sembriamo due adolescenti stupidi in gita? Sono tutti seri seri, e fatevela una risata!
La seconda domanda che io mi faccio, invece è: ma perché a impasto ultimato, la postazione di Furio è tutta pulita mentre la mia sembra che abbiano nascosto un petardo nella farina?
C’è farina per terra, farina in faccia, il grembiule è un pasticcio, ho tracce di impasto sui capelli e sulle scarpe…dovranno far brillare la sala per riportare ordine e pulizia.
È anche vero che non esistono artisti ordinati, il genio artistico si nutre di stimoli, caos, confusione….vero? Provate a immaginare lo studio di Picasso: mica lo immaginerete tutto bello lindo, pulito e in ordine? Forse lo studiolo di Giacomo Leopardi, quello sì che era ordinato, alla peggio c’era giusto lui legato alla sedia che si struggeva d’amore per la cara Silvia…ma non c’è paragone.
1 a 0 per Magda.
E Furio che si pavoneggia di essere il più bravo….
Ma torniamo alla focaccia al formaggio. Steso l’impasto arriva il momento di mettere lo stracchino: Furio tutto ligio e preciso distribuisce con ordine certosino i pezzi di stracchino, Magda rigorosamente a casaccio, butta motti di stracchino e grazie a un momento di distrazione del maestro, ruba un altro pezzo di formaggio…doppia farcitura e spuntino; il mondo è degli scaltri, mica dei precisetti.
2 a 0 per Magda.
Alla prova forno devo ammettere che ne usciamo parimerito, Furio cercherà di perorare la sua causa dicendo che la sua era più equilibrata, che nella mia c’era troppo formaggio…ma si chiama “focaccia al formaggio” mica “focaccia equilibratamente al formaggio”, quindi:
3 a 0 per Magda.
Usciamo dall’Accademia ridendo come matti e sazi, già perché una cosa bella di questi corsi è che prima cucini e poi ti mangi tutto insieme agli altri partecipanti, si apre anche qualche bottiglia di vino e ci si diverte un sacco. Insomma una bella serata, con bella gente, buon vino e buon ciblo: cosa chiedere di meglio?
Però ora concedetemi di essere romantica (ma poco, giuro). La focaccia al formaggio più buona in assoluto è quella che poi abbiamo fatto insieme a casa, a quattro mani; durante la preparazione abbiamo battibeccato come al solito, come al solito lui era il grande chef e io il sous-sous-sous chef, come al solito ci sono stati momenti in cui il mattarello glielo avrei rotto in testa, ma va bene così, perché poi basta un sorriso, una battuta e torna l’armonia.
Perchè l’amore si nutre, sì di piccoli gesti…ma anche di ottime focacce al formaggio.

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Magda e Furio “imbianchini fai da te”

Settimana scorsa, complice una mia settimana di ferie, con il caro Furio abbiamo deciso di dare una bella rinfrescata a casa.
Wow! Che bello! Non vedo l’ora!
Povera…piccola…ingenua Magda…. Eppure lo hai sposato, ci convivi da anni, lo sai come è fatto, lo dovresti sapere ormai che se per il resto del mondo, dare una mano di bianco, significa effettivamente “dare una mano di bianco”, per Furietto tuo, no. Furietto se deve imbiancare casa prima elabora con il suo fidato Mac varie possibili soluzioni, così attendibili da sembrare foto del lavoro già ultimato, peccato che a quel preciso risultato ci si deve ancora arrivare e la strada è lunga e irta di pericoli. Il resto del mondo ci impiega una manciata di ore, noi una settimana di lavoro “matto e disperatissimo”, e tre giorni di casa fisicamente inagibile. Ma perché?
Bisogna fare un programma. Furio è il re dei programmi.
Punto primo: organigramma della squadra.
Furio: architetto/capocantiere/capomastro/vertice supremo della piramide.
Magda: boccia/ sguattero/ galoppino/ base infima della piramide.
….c’era da aspettarselo….
Punto secondo: pianificazione dei lavori.
Furio:progettazione e definizione dei lavori da fare. Mi preme precisare che questa parte Furio l’ha svolta innegabilmente bene, ma altrettanto innegabilmente, comodamente seduto.
Magda: esecuzione materiale delle cose da fare. Postilla: solo una di queste cose presupponeva un assetto quasi comodo, e cioè, reperire tutti i materiali (infatti questa parte è stata fatta in condivisione con Furio); tutte le altre mansioni andavano eseguite o in ginocchio, o arrampicata in cima ad una scala, o infilata nei mille rebighi di casa, o trasportando oggetti da un lato all’altro di casa.
….era la mia settimana di ferie….sob
Punto terzo.Preparazione dei muri: schiavo scelto, Magda (te pareva).
Non avete idea di cosa voglia dire smacchiare un muro dalle macchie di muffa, ho usato ogni solvente chimico possibile e immaginabile, ho grattato, spazzolato, sfregato come una Cenerentola pazza, ho respirato vapori di ogni tipo, mi sono quasi intossicata, ho visto i draghi verdi e gli elefanti volare ma l’ho spuntata io.
Vietato lamentarsi della faticaccia con Furio, perché se la muffa si è accumulata OVVIAMENTE è per negligenza mia che non l’ho tolta tempestivamente, e altrettanto OVVIAMENTE “tutto qui?non hai fatto altvo?” (Per chi non lo conoscesse, Furio vanta una aristocratica erre muta, adorabile o detestabile, dipende dal contesto, in questo caso era decisamente detestabile).
Punto quarto.Preparazione delle stanze da trattare. La mente: Furio.Le braccia: Magda (ca va sans dire).
Ossia come smantellare una casa in due giorni: ammucchiare quante più cose possibile nella stanza superstite in modo da liberare tutte le superfici da pitturare. Fasciare le prese con lo scotch di carta, passare lo scotch intorno alle finestre e sugli zoccolini di ardesia (e cosa ben più faticosa, cercare di non strangolare Furio quando, tornato dall’ufficio ve lo strappa tutto in quanto “messo alla cavlona”), tappezzare tutto il pavimento con fogli di giornale, credo che ne avremo usati una tonnellata, ma qui giocavamo in casa, la mamma di Furio ha un’edicola, fasciare con il cellophane tutti i mobili della cucina, della camera, della sala.
…nel frattempo avete stretto amicizia con i commessi del negozio di pitture perché ogni giorno Furio vi ha spedito a comprare qualcosa “tanto sei a casa”.
E finalmente arriva il gran giorno: si pittura.
A seguire schema di ripartizione dei lavori:
Furio praticamente tutte le superfici raggiungibili a braccio senza scala.
Magda: le parti alte dei muri, i soffitti, gli angoli angusti “falli tu amove che sei magva e ci avvivi bene” “quando ti viene bene sono magra, eh? Brutta BIIIP che non sei altro” (in base all’uso delle “erre” capirete a chi appartengono le battute). Ovviamente Magda è stata più volta redarguita in quanto troppo lenta nell’eseguire i suoi compiti e poco importa se erano mooooolto più difficili e scomodi di quelli di Furio (GRRRRRRRR)
In questa fase abbiamo sfiorato almeno una dozzina di volte il divorzio, almeno una ventina ho meditato di ucciderlo, almeno una trentina ho stramaledetto il giorno in cui ho detto “certo che si potrebbe dare una rinfrescata a casa”.
Arrivavamo a sera sfatti, sporchi, stanchi morti, nel frattempo ci siamo presi pure un raffreddore biblico, la nostra stanza inagibile e quindi ci siamo accampati nello studio dove c’è un divano letto. Abbiamo elemosinato cibo da tutti i parenti, mangiato pizze nel cartone acciambellati sul tappeto foderato nel cellophane.
A lavoro ultimato la soddisfazione è veramente tanta, ma che fatica…
Chiudo con un pensiero a voce alta ricordando le lunghe ore passate in ginocchio: ho passato tanto di quel tempo in ginocchio a pulire, grattare, pitturare e passare nastro che se avessi passato lo stesso tempo in ginocchio davanti a mio marito, probabilmente lui sarebbe l’uomo più felice della Terra e io avrei ottenuto che a “dare una rinfrescata a casa” venisse una squadra di imbianchini.

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Inutile piangere sul cuore spezzato

È capitato a tutte, alle più fortunate non capiterà più, le più ostinate ci sbatteranno ancora il muso.
Di cosa parlo?
Pene d’amore.
Quelle che straziano l’anima, ci fanno piangere, ci fanno invocare la morte ( a botta calda la nostra, sulla via della guarigione, quella altrui) e unica nota positiva: ci fanno dimagrire.
Ma andiamo con ordine. La dinamica è più o meno questa: rapporto traballante, lui diventa piano piano un estraneo, in casa non si parla più, gli istinti sessuali sono schiattati, regna un clima di generale ostilità, alla nostra domanda “c’è qualcosa che non va?” Lui risponde con un telegrafico no…Marca malissimo, fino al fatidico giorno in cui: adieu, good-bye, arrivederci a mai più. O lui raccoglie i suoi pezzi, o voi venite gentilmente invitate a raccogliere i vostri, poco importa, uno dei due uscirà dalla porta.
3…2…1 che il dramma abbia inizio.
Dall’alto della mia esperienza sia come consolatrice che come consolata, posso affermare che, sia che la donna lasci o venga lasciata spargerà fiumi di lacrime, l’uomo fiumi sì…ma di birra.
Ho visto amiche ( e va bene, sì anche io, uff) distruggersi su un amore finito, smettiamo di dormire e di mangiare e puoi riconoscere una donna appena lasciata da due indizi inequivocabili: una mano stretta intorno al cellulare che controllerà ogni cinque secondi, se c’è campo, se c’è credito, e come mai non riceve più messaggi: semplicemente perché non ne arrivano, lui non ci scrive, facciamocene una ragione! Nell’altra una sigaretta perennemente accesa che fumerà in maniera isterica. Diventiamo monotematiche, pesanti come pietre, magre come acciughe, con lo sguardo folle.
E così, sul lento leitmotiv della disperazione passano i giorni, alterniamo momenti di furia cieca “lo voglio vedere morire annegato nel suo sangue” a momenti di euforia “wow come sono magra”, momenti in cui ci proclamiamo seriamente intenzionate a prendere i voti “io con gli uomini ho chiuso” a momenti in cui “uomini venite a me, sono single e disponibile”, persino le nostre fidate amiche faticano a starci dietro….
Arriva poi il tragico, tragicissimo giorno in cui vi proclamate pronte per confrontarvi con il vostro ex “d’altronde lui MI DEVE una spiegazione”…mioddio potessi fermarvi tutte in tempo prima di questa carneficina, vincerei un Nobel, non so a che titolo, ma lo vincerei.
Ci si prepara come se dovessimo partecipare a una battuta di caccia grossa: nessun dettaglio viene trascurato, tacco 15, pantaloni aderenti, scollate, truccate, pettinate da dive, abbiamo speso una follia perché per prepararci adeguatamente abbiamo svuotato intere boutique “deve rendersi conto di cosa ha buttato via, l’infame”…. E via si parte, l’agnello (noi) che corre fra le braccia spalancate del lupo (lui). Già, proprio così, non penserete mica che lui abbia accettato di incontrarci per PARLARE con noi? Mmmmhhhh, non rispondete, va….
L’infame si comporterà da infame (gli uomini sono spesso molto coerenti), ci dirà due frasi stupide, tipo…che so “mi sei mancata”, “ti trovo bene”, noi abboccheremo come bughe (pesce noto per la sua stupidità). La serata finirà con i vostri vestiti sparsi sul pavimento, il vostro orgoglio sotto i piedi, i casi più gravi dichiarano di essere certe di averlo riconquistato….e lui? Bhe, lui dorme della grossa, russa che è un piacere e domani si sveglierà con quella canzoncina in testa: “ti piace vincere facile? Bonci bonci bonci bon”.
STATE A CASA! Siete fragili come uccellini spiumati, sprangate porte e finestre, evitatelo come si evita una brutta malattia, non cercatelo, non chiamatelo e non dimenticate che VI HA LASCIATO, la storia è finita, di sicuro da qualche parte lontanissima dentro di voi, una vocina sta urlando che è giusto così, ascoltatela.
E se proprio sentite la mancanza di un uomo, siete fortunate, oggi la tecnologia vi viene incontro: andate su internet, ci sono centinaia di siti che vendono on-line fantastici surrogati a pile, ce n’è per tutti i gusti, a “lavoro” ultimato lo mettete nel cassetto, soddisfatte e con il cuore al sicuro.
Datevi tempo, state tranquille e fidatevi di quello che vi dico: le pene d’amore fanno soffrire ma non sono letali, siamo sopravvissute tutte. Quando il vostro ex si farà di nuovo avanti (e lo farà, statene certe) voi avrete fatto così tanta strada che faticherete a ricordarvi di chi sia quell’omino che tempo addietro vi fece soffrire così tanto.
Sarete felici, serene e haimè…ingrassate, ma a questo punto basta togliere le pile alla bilancia.
Sorridete, il peggio è passato.

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I found my love in Portofino

E rieccoci qua.
Dopo quasi un anno e mezzo, Magda torna nel borgo.
Amo questo posto a livelli viscerali per una serie di motivi, per me tutti stravalidi.
A Portofino devo molto.
Quando l’azienda per cui lavoro mi ha comunicato che apriva un punto vendita qui ed era loro intenzione fare di me la responsabile, la tentazione iniziale è stata di darmela a gambe dalla paura, ma poi, dopo aver tediato amici, parenti e colleghi con tutti i miei dubbi, ho deciso di accettare.
Decisione fantastica.
In quel periodo la vita privata era un po’ un dramma: un matrimonio morto ma a cui non si voleva dare la giusta sepoltura, il cuore tutto incerottato e le ossa fragili, le energie che mi servivano per dare il necessario colpo di reni non arrivavano mai. Ero impantanata.
E invece all’improvviso ecco la grande occasione: si cambia aria, e vengo catapultata in questo posto dove, finalmente, non sono più “la moglie di…, la nuora di…., la cognata di…”, sono semplicemente Manuela. Il primo passo nella mia nuova vita è stato fatto.
Portofino è stato il mio porto seguro, i suoi abitanti prima ti studiano ma poi ti accolgono e, sarà la sua forma che assomiglia ad un abbraccio, ma io mi sono sentita subito a mio agio. E poi è di una bellezza commovente, soprattutto in certe giornate quando c’è poca gente, e il borgo si presenta pigro e silenzioso, gli unici rumori sono le grida dei gabbiani e le onde che del mare.
Alle volte basta una panchina per sentirsi i padroni del mondo.
Mi piace quando diluvia, mi piace quando c’è il sole, mi piace quando è deserta, mi piace quando è affollata e ovunque posi lo sguardo c’è qualcosa da guardare e commentare.Di qui passano i vip veri e i sedicenti tali, ho visto matrimoni da favola e altri decisamente cafoni.
Ci sono due cose che non capisco: una è quella sorta di ostilità che c’è nei suoi confronti da parte degli abitanti dei comuni vicini. Voglio dire, vengono da tutto il mondo per vederla e noi che ce l’abbiamo a pochi chilometri la snobbiamo. Le scuse sono le solite: è troppo cara, è un posto da vecchi, è una menata arrivarci. Bhè, io non sono vecchia, ci vengo tutti i giorni e sul fattore prezzi, posso dire che non è poi così proibitiva. Certo che se pensiamo che il massimo della vita sia prendere un aperitivo in uno sfigatissimo bar del centro solo perché “ci vanno tutti”, bhè in questo caso i problemi sono altri…
Provate una sera il programma “serata a Portofino” messo giù dal mio Furio e più volte testato:
-vestitevi carini ( non eleganti….ma carini, è molto diverso)
– raggiungete Rapallo anche in scooter
– prendete il traghetto per Portofino
– scendete dal traghetto (attenti a non cadere in mare – ho visto anche questo)
– intrecciate le mani del vostro lui/lei
– cenate romanticamente in uno dei ristoranti che ci sono ( a me piacciono Puny e la Taverna del marinaio, ma anche U magazin)
– fatevi una romantica passeggiata nel borgo (e magari ci scappa anche un cadeau)
– risalite sul traghetto
– scendete a Rapallo
– recuperate lo scooter e tornate a casa
Avrete passato una bellissima serata e scoprirete che non siete caduti in miseria per così poco.
Dimenticavo, lo stesso programma è valido anche per compagnie di amici, quando si cerca qualcosa da fare e spesso la serata muore li.
Una simpatica signora australiana un giorno mi disse: ho fatto il giro del mondo per venire a vedere a Portofino, ne è valsa la pena. Noi siamo così nesci che non facciamo nemmeno lo sforzo di fare il giro delle Grazie, e poi ci lamentiamo che la gente di fuori “viene nei nostri posti e si comporta come se fossero casa loro”.
Confesso che faccio fatica a comprendere….
Torta di riso? Finitaaa! ( sì perché c’è l’hanno mangiata tutta sotto al naso).

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Un giorno come un altro?

E sia, siamo nazional-popolari, facciamocene una ragione, anche noi che abbiamo la punta del naso all’insù, che vogliamo avere l’ultima parola, che ci piace andare perennemente controcorrente…. Ebbene, anche noi snobine per vocazione non solo guardiamo Festival di Sanremo, ma domani festeggeremo San Valentino.
Due al prezzo di uno.
Sul Festival non mi dilungo, in troppi lo hanno già fatto, la Littizzetto mi è simpatica, Fazio decisamente meno, la musica italiana è un po’ sempre la stessa, fiori nemmeno uno, però non so resistere alla tentazione di guardare e commentare, ovviamente tutti commenti al vetriolo, ma tant’è anche ora mentre scrivo, davanti a me il cantante dei Modà si voleva mettere la bottiglietta dell’acqua nei pantaloni ( meschino, vuol dire che c’è posto…).
E domani, bhe domani è il 14 febbraio, San Valentino. La festa degli innamorati. Forse non tutti sanno che San Valentino è nato in una famiglia patrizia, fu convertito al Cristianesimo e consacrato vescovo di Terni nel 197, a soli 21 anni.
Nell’anno 270 Valentino si trovava a Roma, giunto su invito dell’oratore greco e latino Cratone, per predicare il Vangelo e convertire i pagani.
Invitato dall’imperatore Claudio II il Gotico a sospendere la celebrazione religiosa e ad abiurare la propria fede, rifiutò di farlo, tentando anzi di convertire l’imperatore al Cristianesimo. Claudio II lo graziò dall’esecuzione capitale affidandolo a una nobile famiglia.

20130213-223730.jpgValentino venne arrestato una seconda volta sotto Aureliano, succeduto a Claudio II. L’impero proseguiva nelle sue persecuzioni contro i cristiani e, poiché la popolarità di Valentino stava crescendo, i soldati romani lo catturarono e lo portarono fuori città lungo la via Flaminia per flagellarlo, temendo che la popolazione potesse insorgere in sua difesa. Fu decapitato il 14 febbraio 273, a 97 anni, per mano del soldato romano Furius Placidus, agli ordini dell’imperatore Aureliano.
Sono molte le leggende entrate a far parte della cultura popolare, su episodi riguardanti la vita di san Valentino:
Una di esse narra che Valentino, graziato ed “affidato” ad una nobile famiglia, compì il miracolo di ridare la vista alla figlia cieca del suo “carceriere”: Valentino, quando stava per essere decapitato, teneramente legato alla giovane, la salutò con un messaggio d’addio che si chiudeva con le parole: «…dal tuo Valentino…».
Un’altra, di origine statunitense, narra come un giorno il vescovo, passeggiando, vide due giovani che stavano litigando ed andò loro incontro porgendo una rosa e invitandoli a tenerla unita nelle loro mani: i giovani si allontanarono riconciliati.Un’altra versione di questa storia narra che il santo sia riuscito ad ispirare amore ai due giovani facendo volare intorno a loro numerose coppie di piccioni che si scambiavano dolci gesti d’affetto; da questo episodio si crede possa derivare anche la diffusione dell’espressione piccioncini.
Secondo un altro racconto, Valentino, già vescovo di Terni, unì in matrimonio la giovane cristiana Serapia e il centurione romano Sabino: l’unione era ostacolata dai genitori di lei ma, vinta la resistenza di questi, si scoprì che la giovane era gravemente malata. Il centurione chiamò Valentino al capezzale della giovane morente e gli chiese di non essere mai più separato dall’amata: il santo vescovo lo battezzò e quindi lo unì in matrimonio a Serapia, dopo di che morirono entrambi.
E da qui la sua fama di protettore degli innamorati e di inguaribile romantico.

Questi i cenni biografici, se li conoscevate già, scusate la lungaggine.
La cosa che non capisco è l’approccio che si ha a questa festa. Sembra quasi che se domani osi festeggiare, vuol dire che sei un po’ sfigato. Vai di matasse di retorica “bisogna amarsi tutti i giorni, non solo oggi”, “San Valentino è la festa di ogni cretino che crede di essere amato e invece rimane fregato” e via di questo passo. Io penso che sia un po’ come la storia della volpe e l’uva.
Vado a spiegarmi. Se sei stato lasciato, se sei solo, se non ti vuole nessuno, se sprizzi antipatia da ogni poro, ecco, in questo caso è ovvio che San Valentino sia per te una festa detestabile, ed è pur sempre ovvio che tu consideri i romantici festaioli come un manipolo di anacronistici illusi. Le torte a forma di cuore patetiche, le rosse rosse hanno le spine e farsi i regali un’inutile perdita di tempo e denaro. Roba da Grinch, insomma.
Ma (adoro i ma, presagiscono sempre una svolta positiva e possibilista), se siete felicemente innamorati, se vi svegliate tutte le mattine ringraziando il Padreterno per avervi messo di fianco il vostro lui/lei, se avete raschiato il fondo del barile della solitudine e siete riusciti a risalire, se la vostra vita era già piena, ma ora trabocca da ogni parte, se amate e siete amati, da un giorno o da una vita, perché dico, perché dovete privarvi del piacere di ribadirlo una volta in più?
Come ha detto oggi il signore presso cui oggi ho preso il regalo per Furio: io e mia moglie siamo insieme da quarant’anni, litighiamo ogni giorno e ogni giorno facciamo pace, domani non faremo niente di speciale, ma io una rosa gliela porto lo stesso, e anche un po’ di gelato, che le piace tanto. La mia vita senza di lei, magari, sarebbe stata diversa, ma a me piace così, siamo innamorati, sa?
Io festeggerò alla grande, pacchetto completo: regalo, cenetta fuori, vestitino elegante e sguardi languidi. Con buona pace di chi reputa questa festa un’occasione consumistica e banale, non mi interessa.

20130213-223635.jpgLo amo da pazzi, siamo sposini novelli, se penso a lui mi sento come il pezzetto di puzzle quando trova il suo incastro perfetto.Quindi in alto i calici e abbassate le luci: San Valentino in corso.

Magda in love

Non è cambiato niente, eppure niente è più come prima. Vivevamo già come una coppia sposata a tutti gli effetti da anni ormai, ma dal 15 di dicembre qualcosa è cambiato.
Come posso spiegarvi: una consapevolezza nuova, come se la nostra pianta, già robusta, avesse ora una radice in più, e più profonda, in grado di andare a pescare acqua laddove le altre non riescono. Come se la nostra squadra, già vincente, fosse ora ammessa a partecipare alle Olimpiadi. Come se avessimo ora nelle mani l’ingrediente segreto per rendere sublime il nostro già perfetto piatto preferito.
Dirsi “ti amo” è bello, avere il coraggio, soprattutto in questi tempi così volubili, di dirsi “ti amo e ti voglio sposare”, bhe…è una frase che, a sentirsela dire, il cuore prima si gonfia di gioia, e poi fa un salto mortale. Viene richiesto di rispondere con un “sì” o con un “no”, la risposta più corretta, forse, dovrebbe essere “perché”.
Perché mi vuoi sposare, nonostante tu conosca a menadito tutti i miei difetti.
Perché mi vuoi sposare nonostante tu sappia che verranno giorni in cui maledirai questo giorno.
Perché mi vuoi sposare nonostante io stessa qualche volta non mi sopporti.
Perché mi vuoi sposare nonostante entrambi sappiamo che verranno giorni meno romantici di questo, giorni in cui ci sarà da rimboccarsi le maniche e lavorare sodo per portare la nostra barca in un porto sicuro, tu al timone e io alle vele.
Te lo spiego io perché: perché abbiamo scelto laddove esistevano un “tu” ed “io” di sostituirli con un noi, e perché se mai un giorno io non dovessi avere voce, voglio che sia tu e solo tu a parlare per me. Perché l’espressione “per sempre” a noi non fa paura, e chiamarti “mio marito” e non “il mio compagno”, “il mio uomo”, “il mio fidanzato” mi fa stare bene e voglio che tutti lo sappiano.
Perché sposarsi, piaccia o no, è un punto di partenza, non di arrivo e, finché le cose non cambieranno, bisognerà accettarlo, e un conto è subirlo, un altro è esserne consapevolmente felici.
Ti sposo perché voglio essere legata a te con un doppio filo: la scelta e il vincolo. La scelta maturata dal cuore vivendoti accanto; il vincolo, scelto razionalmente, di avere obblighi e diritti ben precisi nei tuoi confronti e di volermene fare carico.
Ecco perché ho accettato di sposarti, e ancora adesso, quando distrattamente l’occhio mi cade sulla mano sinistra, mi stupisco della presenza di quel cerchietto luccicante, e l’assoluta consapevolezza del passo fatto insieme è la perfetta discriminante fra guardare un’onda gigantesca frangersi sulla riva, oppure vedere quella stessa onda arrivare, prendere una tavola e cavalcarla, insieme: O si tocca riva in due, o si finisce fra i suoi flutti, ma sempre e comunque in due.

Tous à Paris

Una delle rare occasioni in cui provo un po’ di sincero imbarazzo circa il nostro essere italiani è a bordo di un aereo. È più forte di noi, nel bozzolo sicuro e protetto dell’aereo, consapevoli di non essere più individui singoli, ma di fare parte di un branco, e che quindi il nostro comportamento non è più giudicabile, ci abbandoniamo agli atteggiamenti più assurdi.
Ho sviluppato una teoria e più a lungo sono a bordo di questo aereo e più mi convinco che è veritiera: i voli delle compagnie low cost straniere che si appoggiano ad aereoporti italiani, altro non sono che provvedimenti disciplinari per il personale di volo che è a bordo. Una punizione, severa per giunta.
Glielo leggo negli occhi mentre lo steward spiega in inglese a un branco di vacanzieri che di inglese non capiscono nemmeno una parola, come salvarsi la vita in caso di necessità. Credo che a un certo punto ci abbia pure rinunciato, si è sfilato il giubbotto di salvataggio di cui stava spiegando funzionamento e uso, e lo ha lanciato in un angolo, tanto nessuno lo seguiva…c’era la signora tracagnotta che vagava per il corridoio tentando, inutilmente, di schiacciare il giaccone che lo Yeti le ha prestato in una cappelliera, peccato che la signora sfiorava forse il metro e cinquanta e le cappelliere sono ben più in alto….povera tutta rossa in viso e nessuno che l’aiutava, le braccia allungate a dismisura nel tentativo di fare un canestro impossibile.
C’era il bambino piccino al suo primo volo che piangeva come un dannato e non c’era verso di calmarlo, urlava talmente tanto da coprire la voce della hostess, e lei che lo guardava con la disperazione negli occhi.
C’era pure una valigia abbandonata da chissà chi, e hai voglia a chiamarlo al microfono il signor Cappellini, presunto proprietario della stessa. E se fosse una valigia piena di tritolo? Senti me: teniamo a bordo la valigia rischiando di saltare in aria e lasciamo giù il bambino indemoniato, dai mettiamolo ai voti!! Arzilli vecchietti colti da improvvisa frenesia che si alzano con un sincronismo impressionante, proprio mentre passano le povere hostess con il carrello delle bibite, creando ingorghi degni dell’ora di punta, in centro, a Roma.
Gente che pensando di sfidare il sistema occulta all’occhio delle hostess il cellulare acceso: tanati subito. Altri invece più educati che chiedono se lo si può tenere acceso, peccato che lo steward è inglese e ne viene fuori un dialogo surreale…mah..
Si avvicina il momento dell’atterraggio, il bambino indemoniato continua a urlare, ormai se lo palleggiano i nonni, le zie e la mamma, ma lui di smettere di piangere non ne vuole sapere. Atterriamo: dalla coda dell’aereo parte un timido tentativo di applauso, il personale di bordo si guarda negli occhi e ride, si vede che stanno pensando ” sfigati, siete gli unici al mondo ad applaudire uno che fa solo il suo lavoro.” Ci odiano, non ho dubbi.
Quando l’aereo si ferma, la voce registrata non riesce a finire la frase “…vi preghiamo di rimanere seduti fino a quando il segnale luminoso non si spegne” che a bordo regna il caos: tutti in piedi, cappelliere che si aprono, trolley che passano di mano in mano, gente che urla, gente che si spinge, gente che litiga, le hostess ci guardano come se stessero guardando le scimmie allo zoo e ridacchiano fra di loro. Abbiamo una sola possibilità: rinnegare per qualche minuto i nostri italici natali e aspettare seduti che la folla si plachi e poi dileguarci il più in fretta possibile e “Vive l’Italie et vive Les Italiens”.

Ci sposiamo

Ci sposiamo! Ebbene sì, la decisione è presa. Non saprei dire quando lo abbiamo deciso, non è una cosa che si decide a tavolino. È il mutamento di uno stato d’animo, quando senza un motivo preciso, tutto quello che prima era “mio” “tuo” “suo”, perde tutta la sua connotazione individualista per diventare “nostro”. Per me Manuela, posso dire che ho oltrepassato il confine, quando ho cominciato a pensare a “casa nostra” e non più “la-casa-di-Luca-dove-io-vivo”; Luca non saprei dire, bisognerebbe chiederglielo, anzi, nodo al fazzoletto, che così poi ci ricordiamo di chiederglielo.
Se vi dicessimo che per festeggiare l’evento volevamo fare una cosa semplice, ci conoscete abbastanza per non crederci, quindi via ai preparativi, e sull’onda dell’entusiasmo, ora ci troviamo a fare i conti con, in ordine sparso:
Centoventi invitati e cento sedie
Spetalate, scandelate, sbocciolate, sbicchierate che al confronto Re Sole era un tipo sobrio
Un artigiano che passa le notti sulle nostre bomboniere
Invitati in ansia da “dress code”
Fiori non ancora scelti, ma sicuramente la nostra scelta cadrà su qualcosa di rarissimo che cresce solo in qualche sperduto angolo di mondo
Musicisti degni della Royal Albert Hall
La casellina “imprevisti” che potrebbe mettersi a lampeggiare da un momento all’altro
Insomma, a farla breve, una grande festa. Molti potranno accusarci di “grandeur”, non importa; anzi, trovo bello che in un mondo ogni giorno sempre più brutto, ci siano ancora giovani(!) che hanno ancora la voglia e l’entusiasmo di festeggiare un evento così importante. Per un giorno, solo per un giorno, proviamo a dimenticarci parole come crisi, spread, politica italiana e affini, non cambierà il mondo ma, almeno, noi ci proviamo.
Tornando a bomba, si parlava di preparativi… Resta solo da decidere se i clown e i saltimbanchi li facciamo entrare in scena prima o dopo del taglio della torta: durante no, si accavallerebbero ai fuochi d’artificio!